Società

Cresce il disagio a scuola

Merito e performatività non piacciono: gli studenti non vogliono brillare, ma vogliono essere. Tra valutazione ossessiva e identità negata, gli studenti rispondono con il silenzio ad una scuola sempre più asservita alle logiche della società e dell’economia

  • Ieri, 14:49
  • Ieri, 20:18
Al questionario hanno risposto in prevalenza allievi di istituti medio-superiori
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Di: Red. 

«Il piacere dell’insegnamento è un atto di resistenza». Bell hooks (pseudonimo di Gloria Jean Watkins, figura centrale del pensiero femminista afroamericano e della pedagogia critica) lo scriveva trent’anni fa in Insegnare a trasgredire, e mai come oggi quella frase sembra scolpita nel presente. A ricordarcelo è una scena muta: quella di alcuni studenti italiani durante l’orale di maturità, non per timidezza ma per protesta. Un gesto silenzioso, ma potente, contro un sistema educativo che educa più all’ubbidienza che alla comprensione.

A partire da questo episodio e dal libro di Marco Rovelli Non siamo capolavori, che raccoglie voci e malesseri degli adolescenti di oggi, emerge una domanda urgente: cosa dovrebbe essere oggi la scuola? Alessandro Frigeri, docente liceale e co-presidente del Movimento della Scuola, non ha dubbi: «La scuola sta vivendo una crisi di identità».

Secondo Frigeri, intervistato in Alphaville da Elisa Rossello, le riforme degli ultimi decenni hanno spinto verso la cosiddetta scuola delle competenze, una formazione che risponde ai bisogni della società – e soprattutto dell’economia – prima che a quelli degli studenti. «La scuola dovrebbe permettere ai giovani di guardare criticamente la realtà, non solo di inserirsi nel mondo del lavoro. Storicamente ha sempre avuto anche una funzione autonoma».

15:33

Studenti scontenti

Alphaville 15.07.2025, 11:45

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  • Fabio Mario e Elisa Rossello

La pressione al rendimento, la competizione, la performatività: sono queste le dinamiche che alimentano il disagio. E il dissenso, spiega Frigeri, non è una novità: è il sintomo di un sistema che, sin dal dopoguerra, ha democratizzato l’accesso agli studi ma non ha saputo curare le ferite di un’educazione fondata sul giudizio. «Colpisce il carattere individuale della protesta degli studenti: è sempre più difficile trovare una dimensione collettiva nel dissenso. E la pandemia ha esasperato tutto».

Al Liceo Lugano 1 è stato fatto un esperimento radicale: niente più voti numerici in alcune materie. Una scelta che intende valorizzare la valutazione come momento formativo, non come classificazione gerarchica. Ma la resistenza è forte. «Da una parte cerchiamo di andare oltre il voto, dall’altra cresce la pressione a misurare in modo sempre più preciso il raggiungimento degli obiettivi. È una tensione permanente».

E nella gestione del conflitto tra scuola e studenti, emerge la necessità di strumenti nuovi. «I mediatori scolastici sono un passo avanti, ma il problema è strutturale», dice Frigeri. L’obiettivo, secondo lui, è costruire una scuola che favorisca relazioni sane, cooperazione, partecipazione attiva: «Bisogna creare anticorpi contro la competitività, valorizzando tutte le componenti della scuola nella sua gestione».

Questo è il nodo. In un sistema che misura, ordina, certifica, il corpo studentesco reclama spazio per essere visto non come capolavoro perfetto, ma come essere in crescita. Non capolavori, ma voci. Non unità da formare, ma coscienze da ascoltare.

Se la scuola vuole essere davvero il luogo dell’apprendimento e della libertà, non può restare impigliata nella logica della prestazione. Deve tornare a essere il laboratorio del possibile, dove si impara anche a dissentire, anche a trasgredire. Perché un’educazione che non contempla il dubbio e il disordine non forma cittadini: forma soldatini.

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