Valentina Pini - artista attiva tra Zurigo e il Ticino - presenta al Museo Vincenzo Vela di Ligornetto “Calibrando l’occhio” sull’invisibile. Il progetto espositivo si sviluppa come un percorso visivo e concettuale che mette in relazione le opere dell’artista con la collezione storica del Museo, generando connessioni inaspettate e nuove letture. Ad accompagnare il progetto, una pubblicazione curata da Antonia Nessi, con un testo critico di Raphael Gygax. La mostra sarà visitabile fino all’11 gennaio 2026.
Valentina Pini ha concepito lo spazio espositivo del Museo Vincenzo Vela come una sorta di palcoscenico sul quale mettere in scena le sue creazioni, invitando il pubblico a interrogarsi sulla percezione degli oggetti quotidiani, mettendone in discussione la fisicità e il valore simbolico.
Fulcro della mostra è un video proiettato nel grande Salone centrale del Museo, ispirato direttamente alla celebre statua equestre in gesso di Carlo II di Brunswick. Nella videoinstallazione, una scultura simile a una marionetta cavalca grottescamente un cavallo giocattolo. L’opera genera un senso di inquietudine e coinvolge lo spettatore in un’esperienza immersiva, configurandosi come una contro-narrazione che suscita una riflessione sulla relazione tra potere e immagini, memoria e caducità.
«La marionetta non soltanto diventa parodia della vecchia ambizione monarchica al controllo e all’eternità, ma svela anche il carattere artificiale, instabile e in definitiva inquietante di tale ambizione » ha spiegato il curatore Raphael Gygax.
Valentina Pini - “Calibrando l’occhio”
RSI Cultura 29.06.2025, 08:30
Il duca che voleva sfidare la morte
Il duca Carlo II di Brunswick, nobile tedesco dal carattere solitario e anticonformista, è ricordato non solo per la sua ricchezza, ma soprattutto per le sue idee eccentriche sulla morte. Dopo essere stato costretto all’esilio nel 1830 a causa di disordini politici, si stabilì a Ginevra, dove visse fino alla sua morte nel 1873.
Alla città lasciò in eredità una grande fortuna, chiedendo in cambio la costruzione di un mausoleo in suo onore, ispirato alle tombe scaligere di Verona, con una statua equestre a dominare la scena. Gli esecutori testamentari incaricarono lo scultore Vincenzo Vela di progettare il monumento, ma a causa di attriti con i committenti, l’opera non fu mai completata. Del progetto restano però bozzetti e modelli, tra cui la statua equestre in gesso di Carlo II.
Affascinato dal mistero dell’aldilà, il Duca espresse anche il desiderio – mai realizzato – di essere pietrificato. All’epoca, la pietrificazione era una pratica a metà tra scienza e alchimia, studiata da medici e naturalisti che cercavano di conservare i corpi umani come statue. Questi “pietrificatori” erano spesso visti con sospetto, e molti finirono dimenticati, portando con sé i segreti delle loro tecniche.
Il tema centrale del progetto di Pini: il concetto freudiano del “perturbante” che genera inquietudine e spaesamento. Questo prende forma anche nelle opere esposte al primo piano, in particolare nella serie fotografica “Displaced Fractures”, realizzata con la collaborazione tecnica del fotografo Sebastiano Carsana.
Il progetto si concentra su quei dettagli nascosti delle sculture in gesso di Vincenzo Vela che normalmente sfuggono allo sguardo: ganci metallici, chiodi, strutture di supporto. “Corpi estranei” che non sono semplici aggiunte, ma parti fondamentali della struttura. I ganci servono a sostenere le parti più fragili, come mani e braccia, mentre i chiodi aiutano a misurare e posizionare con precisione ogni segmento della scultura.
Questi interventi tecnici diventano anche simboli di fragilità e imperfezione. Le fotografie li isolano dal contesto museale e li reinterpretano, offrendo una nuova chiave di lettura: quella del corpo frammentato, vulnerabile, tipico della scultura contemporanea.
In fondo, queste immagini ci invitano a guardare oltre la superficie, a scoprire la bellezza nascosta nei dettagli tecnici, e a riflettere su cosa significhi davvero essere “interi”.
Completano il percorso espositivo nuovi bassorilievi in Acrystal, un materiale composito a base di gesso particolarmente resistente, ispirati alla vegetazione del giardino storico del museo, e l’installazione “Ungraspable” (2023), incentrata sul motivo della Mano di Buddha, un frutto dalla forma digitiforme che richiama i mudra, gesti simbolici delle mani nell’induismo e nel buddismo.

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