Arte del volto

Cosa si nasconde dietro a questo autoritratto?

Dürer si eleva a icona, Rembrandt si scava dentro, Kahlo trasforma il dolore in immagine. L’autoritratto è un campo di tensioni tra ciò che si mostra e ciò che si nasconde

  • Oggi, 12:00
Albrecht Dürer, L'Autoritratto con pelliccia

Albrecht Dürer, L'Autoritratto con pelliccia

Di: Mat Cavadini 

L’autoritratto è uno dei generi più affascinanti della storia dell’arte perché, più di ogni altro, mette in scena il rapporto tra immagine e identità. Non è mai stato un semplice esercizio tecnico: è un dispositivo culturale che riflette, secolo dopo secolo, il modo in cui l’essere umano concepisce se stesso. Ripercorrere la storia dell’autoritratto significa dunque attraversare le metamorfosi dell’io.

Nel Medioevo l’artista è quasi invisibile: la sua presenza è marginale, spesso relegata a piccole figure inginocchiate ai piedi della scena sacra. È solo con il Rinascimento che l’autoritratto assume un ruolo centrale. Jan van Eyck, nel Ritratto dei coniugi Arnolfini, si inserisce come riflesso nello specchio convesso: un’apparizione discreta ma rivoluzionaria, perché afferma la presenza dell’autore come testimone e garante della verità pittorica. Poco dopo, Albrecht Dürer porta questa consapevolezza a un livello radicale: nel suo autoritratto del 1500 si rappresenta frontalmente, con un’impostazione quasi cristologica. Non è solo un volto: è la dichiarazione dell’artista come individuo dotato di dignità intellettuale.

Nel Seicento, l’autoritratto diventa un laboratorio psicologico. Rembrandt, con oltre ottanta autoritratti, costruisce un racconto visivo della propria esistenza: giovinezza, successo, fallimento, vecchiaia. Ogni immagine è un atto di introspezione, un tentativo di catturare non l’apparenza, ma la verità emotiva del soggetto.

Rembrandt, Autoritratto con due cerchi

Rembrandt, Autoritratto con due cerchi

In parallelo, Artemisia Gentileschi utilizza l’autoritratto come strumento di affermazione professionale e identitaria in un mondo dominato dagli uomini. Nel suo Autoritratto come allegoria della Pittura, Artemisia non si limita a mostrarsi: si identifica con la personificazione stessa dell’arte, rivendicando un ruolo che la società le negava.

Artemisia Gentileschi, Autoritratto come allegoria della Pittura

Artemisia Gentileschi, Autoritratto come allegoria della Pittura

L’Ottocento introduce una nuova sensibilità. Vincent van Gogh usa l’autoritratto come diario psicologico, un modo per misurare la propria instabilità emotiva. Le pennellate nervose, i colori accesi, gli sguardi inquieti non sono semplici scelte stilistiche: sono la traduzione visiva di un’identità in frantumi. Allo stesso tempo, Gustave Courbet inaugura un autoritratto teatrale e provocatorio: ne Le Désespéré l’artista si mette in scena come protagonista di un dramma esistenziale, anticipando la dimensione performativa che diventerà centrale nel Novecento.

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"Francis Bacon: Human Presence Hardcover Catalogue", immagini di Francis Bacon (omonima mostra), National Portrait Gallery

I ritratti e gli autoritratti di Francis Bacon 

Alphaville 04.03.2025, 11:05

  • npg.org.uk
  • Cristina Artoni

Il secolo successivo porta l’autoritratto verso territori ancora più complessi. Egon Schiele deforma il proprio corpo fino a renderlo un campo di tensioni erotiche e psicologiche. Frida Kahlo trasforma l’autoritratto in un manifesto autobiografico e politico, raccontando attraverso il proprio volto il dolore fisico, la cultura messicana, l’identità femminile. Con Francis Bacon, il volto diventa una materia instabile, un grumo di carne che riflette la fragilità dell’esistenza. E con Cindy Sherman, infine, l’autoritratto implode: l’artista non si rappresenta, ma interpreta ruoli, smascherando la natura costruita dell’identità.

Autoritratto con collana di spine, Frida Kahlo
  • Frida Kahlo, Autoritratto con collana di spine

Nell’era dei social media, il selfie ha reso l’autoritratto un gesto quotidiano, spesso superficiale, ma culturalmente rivelatore. L’identità diventa una performance continua, un flusso di immagini curate e filtrate. Gli artisti contemporanei, da Amalia Ulman a Zanele Muholi, interrogano criticamente questa proliferazione visiva, mostrando come l’autoritratto possa ancora essere un luogo di resistenza, di verità e di trasformazione.

Attraverso i secoli, l’autoritratto ha cambiato forma, funzione e linguaggio, ma ha conservato una costante: la capacità di rivelare che l’identità non è mai un dato, ma un processo. E ogni autoritratto, antico o contemporaneo, non dice mai semplicemente “ecco chi sono”, ma piuttosto “ecco come mi sto cercando”.

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