Étoile, dalla fine di aprile su Amazon Prime, è la nuova serie di Amy Sherman-Palladino e Daniel Palladino, già creatori di Gilmore Girls (Una mamma per amica) e The Marvelous Mrs. Maisel. Di entrambi i successi mantiene i punti di forza e, se possibile, li attualizza e amplifica: i dialoghi ben scritti, rapidi, al punto da costringere gli attori a esercizi di respirazione; il ritmo; l’estetica. In questo caso è quella della danza classica, reinterpretata in maniera decisamente punk.
Le storie spesso iniziano con un personaggio che deve partire, o con un personaggio che arriva da fuori. In questo caso la questione è collettiva e reciproca: c’è uno scambio di talenti tra due scuole di danza, una nordamericana e l’altra francese, e il gioco del più classico viaggio dell’eroe è proprio in questa struttura corale e speculare.
La vera rivelazione della serie è Lou de Laâge, che interpreta l’indimenticabile personaggio di Cheyenne. È lei l’étoile, la stella, la prima ballerina. Bella anche senza trucco, tutti la temono, e a ragione: la ragazza ha evidenti tratti psicopatici, è piena di rabbia che agisce senza sosta, ma quando danza funziona meglio di tutti; nella serie si dà carne a qualcosa che già la psicologia sociale ha rilevato, e cioè che viviamo in una società che, in effetti, non di rado premia individui dalle personalità con tratti psicopatici. Cheyenne crede nel darwinismo e lo incarna, ma - in totale contrapposizione con queste idee - ha anche velleità da ecologista. Lo è nel modo più scemo in cui lo si possa essere (quello individualista) e usa la causa a sostegno della propria ferocia. La redime (la redime davvero?) solo la danza.
«Ami danzare, vero Cheyenne?», le chiedono tutti preoccupati ed esasperati per il suo evidente odio nei confronti del prossimo.
«No», risponde onesta. «Ma è quello che sono».
Si aggira come una pantera nelle sale di danza, terrorizza tutti con la sua aura, dà corpo al dramedy raccontando storie dalla dubbia veridicità (indelebile la scena in cui parla del villaggio in cui venivano uccisi gli uomini, e lascia lo spettatore nel dubbio che davvero la ragazza discenda da una genìa di Giuditte che uccidono gli Oloferne del caso senza troppi complimenti).
All’inizio sembra che Étoile stia citando una nota serie francese di libri per bambini incentrata sulla danza classica: Nina polvere di stelle di Anne-Marie Pol. C’è, infatti, anche qui una bimba che non ha abbastanza soldi per seguire le lezioni, ma ha talento ed entra come borsista, come la protagonista dei libri di Pol. L’originalità però in questo caso è garantita, perché le dinamiche fiabesche e ottimiste che circondavano la Nina di quegli agili libri per ragazzi sono sostituite da qualcosa di molto più interessante, oscuro e realistico. È infatti proprio Cheyenne a decidere che SuSu (la figlia della donna delle pulizie) potrà essere una ballerina. Ma Cheyenne non fa mai niente per niente. Come scriveva Molière ne La scuola delle mogli: «Potrò plasmarne l’anima così come mi aggrada, docile come cera ell’è fra le mie mani, le posso conferire la forma che mi piace». Fare un patto con lei è come stringere un patto col diavolo.
Nonostante tutto, però, Cheyenne è una forza. Con la sua energia prepotente muove la storia, la fa progredire a calci. O meglio, a colpi di enjambements. Al di là del suo evidente carisma e della bravura mozzafiato di Lou de Laâge, ogni singolo personaggio è ben costruito e difficile da scordare. Sono tutti incredibilmente talentosi. E strani. La neurodivergenza qui si spreca, e ognuno è quel che è in maniera non apologetica. L’accondiscendenza, in Étoile, non è di casa.
Se si parla di neurodivergenza - Asperger?, what else? - non si può non citare un altro grande protagonista, Tobias. Coreografo completamente fuori controllo, autentico disagiato, ispira tenerezza e soggezione. Per tutta la serie ci domandiamo se sia un abile manipolatore (gli basta una mano su una spalla per illudere un ballerino di una reale connessione), se sia uno che fa impazzire la gente o perfino un narcisista covert. La serie sceglie un’altra chiave - stavolta sì, più ottimistica - e decide di darne una lettura luminosa, invece. Tobias è così a suo agio con la propria evidente e a tratti geniale unicità che diventa veicolo delle battute più inattese, quelle che spezzano in due dalle risate. Consigliato arrivare fino alla puntata “Il disastro” per incappare nella storia sulla sorella (ex sorella, a questo punto) e un albero di Natale decorato con uno schema monocromatico molto particolare, con tante sfumature di grigio. L’aneddoto, che qui non sarà spoilerato, fa rotolare giù dalla sedia.
Gli ultimi due appunti sulla serie: è recitata in inglese ma anche in francese, ed è consigliato - qui più che in altri casi - vederla in originale, al massimo con i sottotitoli, per goderne appieno.
Un unico difetto è che gli antagonisti alla fine risultano i buoni del mondo, gli ecologisti. Inoltre ci sono, proprio rispetto al discorso dell’ecologia, delle notevoli imprecisioni, si spera non volute. Quando nella serie viene proposto stereotipicamente di “fare i Qr per non uccidere gli alberi”, si ignora la verità sull’inquinamento da uso di dispositivi elettronici. Tutto quello che facciamo su internet inquina: spedire una mail, per fare un esempio, emette circa 19 grammi di anidride carbonica nell’atmosfera. La questione dei Qr code come soluzione ecologista è superficiale e soprattutto irrealistica.
I coniugi Palladino si confermano una delle punte di diamante della squadra creativa di Prime: che è, sempre e comunque, nella galassia di Amazon. Non sorprende allora lo sfottò agli ecologisti. Un peccato, per una serie di indubbia, altissima qualità.
Echi da Cannes e nuove uscite
Tra le righe 29.05.2025, 14:00
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