23 anni dopo. No, non è un refuso, è il tempo passato per il ritorno sul luogo del delitto di Alex Garland, sceneggiatore di quel 28 giorni dopo che nel 2002 scrisse una pagina brillante del cinema del XXI secolo, e che oggi torna in sala - sempre a firma di Danny Boyle - con 28 anni dopo. Nel mezzo c’è stato pure un 28 settimane dopo di Juan Carlos Fresnadillo (2007), ma in quel caso i due, Garland-Boyle, furono solo produttori esecutivi. Ora invece penna e macchina da presa sono tornate in mano loro, per il primo capitolo di una trilogia che sarà interamente scritta da Garland. Il quale, per non farsi mancare nulla e insistere con il pessimismo, in agosto sarà di nuovo al cinema con Warfare - Tempo di guerra, scritto e diretto con Ray Mendoza, suo military advisor in Civil War (2024). Perché intanto, quello che nel 2002 era “solo” un giovane scrittore di notevole successo, oggi è diventato una potenza hollywoodiana.

Alex Garland, 2025
In principio fu una spiaggia. Anzi la spiaggia: The Beach.
Alex Garland nasce lì, tra le pagine di un romanzo scritto a 26 anni che da zero diventò prima un cult grazie al passaparola e poi un film grazie alla folgorazione di Danny Boyle, che lo volle portare sul grande schermo incollandoci le facce di Leonardo DiCaprio, Tilda Swinton e Guillaume Canet. The Beach è un libro-droga, che dose dopo dose, microcapitolo dopo microcapitolo, ti trascina dentro un viaggio (in Thailandia) tra distruzione autobiografica (i trip di Garland, in tutti i sensi…) e disillusione generazionale.

Leonardo DiCaprio in "The Beach"
Una scrittura immediata e contagiosa, schietta, ventiseienne, globetrotter, che non poteva trovare volto migliore che DiCaprio, il bel giovane morto sul Titanic ma sopravvissuto a Titanic. Un altro ventiseienne che in quegli anni stava dimostrando al mondo che non era solo bello da morire, ma che proprio lì poteva dare il suo meglio: tra bellezza e morte, occhi azzurri e maledizione: Romeo + Giulietta, La stanza di Marvin, La maschera di ferro, The Aviator.
The Beach funziona: Boyle salpa verso l’Oscar (che raggiungerà con il successivoThe Millionaire, 2008), DiCaprio verso Scorsese (Gangs of New York nel 2002 e poi altri cinque). Garland continua a scrivere. E un anno più tardi, spinto da un successo troppo veloce e acerbo, torna in libreria e sul grande schermo con The Tesseract, dimenticabile sia su carta, sia su pellicola. Poi, valicato il terzo millennio, ecco la prima sceneggiatura: 28 giorni dopo.
28 giorni dopo è un film a cavallo. Tra i secoli, le generazioni, le pagine di Garland e i cinema. Tra i secoli perché è del 2002. Tra le generazioni perché celebra definitivamente l’arrivo di quella X, a sua volta generazione di transizione tra boomers e millennials. Tra le pagine di Garland perché tra Richard (Leo DiCaprio) e Jim (Cillian Murphy), i due protagonisti di The Beach e 28 giorni dopo, c’è molto in comune: protagonisti che diventano vittime, trip di cui si perde il controllo, autodistruzione del singolo e/o della specie, sostanze o virus che hanno la meglio, futuro che fa rima con angoscia. E poi tra i cinema, quello analogico e quello digitale: con 8 milioni di budget (moltiplicato poi per dieci al botteghino) non c’era modo di fermare o ricostruire una Londra post-apocalittica, quindi tutti in strada alle 5 del mattino e al posto delle pesanti e lente macchine da presa in pellicola, largo alle snelle Canon XL1, digitali (che sono anche la risposta alla domanda “perché si vede così male?”). Una situazione, quella a cavallo, né di qua né di là, che racconta alla perfezione quella generazione; quella di Garland, la Generazione X.

L’ultimo sabato sul Divano di Spade
Il divano di spade 21.06.2025, 18:00
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American Psycho di Ellis (1991), La ragazza interrotta di Kaysen (1993), Pulp di Bukowski (1994), Alta fedeltà di Hornby (1995), Fight Club di Palahniuk (1996)… I romanzi che formano e plasmano la Generazione X sono (anche) questi. Letture che con i Nirvana e i Pearl Jam in sottofondo raccontano la difficoltà di quella generazione a trovare un posto nel mondo, ma che grazie al loro immaginario veloce e potente ci mettono un niente a trovarne uno al cinema. Biografie biodegradabili che illustrano e conducono a una nuova marginalità a origine inversa: non più destino esclusivo degli ultimi della terra; anche il benessere in un Amen può diventare un toboga verso i lati della società; un tunnel buio da cui si esce sì, ma sfasciati. Pieni, ma di qualcosa che svuota.
Di nuovo, quella degli Xennials è una generazione a cavallo tra il mondo analogico e quello digitale: nati con radio, tubo catodico e telefono attaccato al muro, crescono tra internet, pixel e smartphone, ancora una volta cercando di trovare il proprio posto. Che per Alex Garland - provato tutto quello che poteva provare - non è più dentro un trip solitario, ma in un impiccio collettivo. È ai confini del reale, surrealismo, iperrealismo o fantascienza che sia. È nelle paradossali ispirazioni che lo hanno guidato nella scrittura di 28 giorni dopo: Resident Evil, la finzione di un videogioco, e Ebola, la ferocia della realtà.
Lì, nel mezzo, umanamente impantanato e artisticamente industrioso, ecco Garland, classe 1970 in una generazione che va dal 1965 al 1980. Un autore che non ha un linguaggio che sia il suo, ma che li maneggia tutti. Per farsi un’idea restando al cinema, Alex Garland ai film ha fatto di tutto: li ha scritti (28 giorni dopo, Sunshine, Non lasciarmi…), li ha ispirati (The Beach, The Tesseract…), li ha adattati (Annientamento, dall’omonimo romanzo di Jeff VanderMeer), li ha diretti (Ex Machina, Men, Civil War…) e li ha prodotti (Dredd, 28 anni dopo). E non c’è parte in cui almeno una volta non gli sia riuscita bene. Perché se di The Beach e 28 giorni dopo abbiamo già detto, Ex Machina è uno dei film che ha trattato il tema dell’AI in maniera più intelligente e consapevole, ai limiti del profetico (è del 2015!), Civil War sa essere coinvolgente, disturbante e fastidioso quanto può esserlo un futuro orrendo non così distante dalla realtà, e di 28 anni dopo si sta già parlando, e bene.
Poi, prima e durante il cinema, c’è il Garland in libreria; e il Garland nelle console, quello che ha sempre navigato anche il linguaggio dei videogame. Autore di Enslaved e DmC Devil May Cry, ha scritto un adattamento di Halo mai andato in porto e sta lavorando alla trasposizione cinematografica di Elden Ring. Un multiverso artistico-artigianale-generazionale che fa di Alex Garland un vero e proprio parco di divertimenti, che suona come Gardaland ma appare come Dismaland. Il suo ruolo? A voi decidere: X-Man, o Mister X?