Cinema

La Missione di Tom Cruise

A Cannes è stato mostrato Mission: Impossible - The Final Reckoning, probabile ultimo capitolo della saga cinematografica d’azione, in arrivo nelle sale della Svizzera italiana dal 21 maggio

  • Ieri, 09:03
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Di: Chiara Fanetti 

Chissà se per Tom Cruise era già chiaro nel 1996 che Ethan Hunt sarebbe diventato il suo alter ego sul grande schermo. Il primo film della saga di Mission: Impossible è stato anche il suo esordio come produttore, ruolo che ha mantenuto per tutti i capitoli della serie, a dimostrazione del particolare affetto e della forte dedizione che la superstar prova per questo gigantesco progetto. Oggi però l’agente segreto che abbiamo conosciuto a Praga ormai trent’anni fa - alle prese con trafficanti d’armi, liste di membri della CIA da rubare e complicate azioni sospeso a dei cavi - è molto lontano, come lo sono le finezze di regia di Brian De Palma, che aveva firmato quel primo lungometraggio ispirato a una nota serie televisiva degli anni ’60.

Non si tratta di pigra nostalgia ma di un fascino, quello tipico delle storie di spionaggio, che è andato via via sfumando, un film dopo l’altro - con qualche apprezzato recupero - lasciando sempre più spazio alla fragorosa spettacolarizzazione delle scene d’azione. Impeccabili, meticolose, enormi, emozionanti e divertenti, ma meno intriganti.

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“Devi fidarti di me, un’ultima volta”

The Final Reckoning, ottavo - e sembrerebbe ultimo - capitolo della serie, il quarto diretto da Christopher McQuarrie, si inserisce nella continuità della saga, proponendo gli ingredienti essenziali della sua ricetta: inseguimenti, ambientazioni in paesi diversi, bombe da disinnescare e nemici che vogliono distruggere il mondo. Il film però rappresenta anche un livello nettamente superiore per le ambizioni acrobatiche di Tom Cruise, questa volta decisamente fuori scala persino per l’agente speciale dell’Impossible Mission Force, Ethan Hunt, qui chiamato a fermare una super intelligenza artificiale fuori controllo, pronta a scatenare la terza guerra mondiale.

Tom Cruise, o “The Last Movie Star”, come è stato definito, ha concentrato gli ultimi decenni della sua carriera su una recitazione fisica, spettacolare, incredibilmente rischiosa, malgrado l’età e le sue ben più ampie capacità attoriali. In costante competizione con sé stesso e in perenne ammirazione dei grandi attori comici dell’epoca del muto - come Charlie Chaplin, Harold Lloyd e Buster Keaton - Cruise ha paradossalmente portato il mestiere d’intrattenitore indietro nel tempo, riconnettendolo al suo ruolo iniziale, al servizio di uno strumento - il cinema delle origini - che prima di tutto voleva divertire, stupire, far provare emozioni. Qualcosa che era più vicino al circo, alle compagnie itineranti, agli spettacoli di strada. Lo ha fatto però utilizzando i mezzi più potenti attualmente disponibili nell’industria cinematografica, creando un bizzarro cortocircuito tra una forma di estremo realismo - rifiutando categoricamente di ricorrere a controfigure per le scene più rischiose - e una enorme disponibilità di risorse artificiali ed economiche per creare le situazioni più inverosimili possibili.

Un cortocircuito che oggi lo vede tra i più grandi promotori della sala cinematografica come luogo di fruizione, a scapito delle piattaforme, e come un gran sostenitore del lavoro delle maestranze, rispetto all’intelligenza artificiale. La semplice trama di questo film ne è la manifestazione più plateale: un uomo si oppone al dominio della tecnologia. Ma Tom Cruise/Ethan Hunt si percepisce davvero solo come un uomo?

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Decidere, accettare

Con il tempo le missioni di Ethan Hunt sono diventate “la” missione di Tom Cruise, determinato a imparare qualsiasi disciplina o abilità utile per sbloccare nuovi livelli di sopportazione e sfida fisica, al fine d’intrattenere noi, il pubblico.

In questo film lo fa soprattutto in una delle sequenze più interessanti e riuscite dell’intera saga, ambientata in un sottomarino russo, il Sevastopol, inabissato all’inizio di Dead Reckoning. Evidentemente costosissima, l’intera scena recupera la tensione che tanto abbiamo amato nel primo film del 1996, riapparsa poi sporadicamente in altri capitoli, come Protocollo fantasma o Rogue Nation. Una sequenza lunga, claustrofobica, complessa e silenziosa. Anche alcuni combattimenti sono molto riusciti, quando la bravura del cast e della regia si fondono in vere e proprie coreografie dove l’azione trova anche una vena “comica”, un tratto che quando emerge in Mission: Impossible non stona mai. Ciò evidenzia un altro aspetto: quando il gruppo capitanato da Hunt lavora insieme, il film diventa più interessante, divertente, eccitante e dinamico, rispetto a quando Cruise agisce in solitaria. Per quanto possa essere spettacolare ed estremo tutto quello che fa, Ethan funziona soprattutto nella dinamica di gruppo, quando Benji (Simon Pegg) gli dà indicazioni a distanza, quando Grace (Hayley Atwell), o prima ancora Ilsa (Rebecca Ferguson), combattono insieme a lui o quando Luther (Ving Rhames) gli infonde fiducia e sicurezza.

L’enfasi particolare per il sacrificio è una parte centrale di tutta la serie ed è ben riassunta nel motto dell’Impossible Mission Force: “vivere e morire nell’ombra, per chi ci è vicino e per chi non incontreremo mai”. È una vocazione, una scelta presa da tutti gli agenti in un punto di non ritorno delle proprie vite: far parte dell’IMF o andare in prigione. La Decisione, spesso evocata dai personaggi, viene continuamente rinnovata e il famoso messaggio che si “autodistruggerà in cinque secondi” non è mai un ordine e si conclude sempre con la stessa formula: “se deciderà di accettare la missione”. Tom Cruise incarna questa filosofia (salvo per la questione del “vivere nell’ombra”, ovviamente), ricordandoci nei film - ma anche nelle sue apparizioni pubbliche - che lui su schermo esiste soprattutto per un pubblico, una massa gigantesca di persone, indefinite, che entra nelle sale di tutto il mondo per vederlo rischiare la vita un’altra volta.

È un tono questo che emerge in modo prepotente in The Final Reckoning, troppo, fino a trasformare definitivamente Hunt/Cruise in una sorta di super uomo, un salvatore disposto non solo a stare in piedi su un biplano in volo, ma anche a far esplodere i propri polmoni o a contorcere ogni suo muscolo nel Mar Glaciale Artico. Quest’idea dell’espansione del potenziale dell’individuo è in linea con la dottrina di Scientology, alla quale l’attore aderisce da più di trent’anni, ed è difficile non scorgere una connessione con questa trama.

Quando gli è stato chiesto se questo sarà davvero l’ultimo Mission: Impossible, Tom Cruise a Cannes, durante un incontro pubblico, non ha davvero risposto e ha invitato le persone a concentrarsi su questo film. Il finale di The Final Reckoning lascia aperte molte possibilità e secondo chi vi scrive questa non è l’ultima avventura di Ethan Hunt. Speriamo solo che nella prossima missione si torni a dimensioni più terrene, riportando tutto il team a fare qualcosa che è sempre riuscito a fare benissimo, con risultati favolosi: prendersi un po’ meno sul serio.

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Cannes: ecco l'ultimo "Mission Impossible"

Telegiornale 15.05.2025, 20:00

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Cannes, Mission: impossible, Coyote vs Acme

Fresco di Zona 15.05.2025, 13:00

  • Julie Arlin e Claudia Demircan

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