«Non credo che abbiamo sbagliato a portar loro via questo grande paese... C’erano moltissime persone che avevano bisogno di nuove terre, e gli indiani cercavano egoisticamente di tenersele per sé».
Marion Morrisson, in arte John Wayne, per alcuni icona dell’eroe western, si era spesso lasciato andare a commenti razzisti e sprezzanti verso le ingiustizie e le violenza inflitte alle popolazioni native americane. Non che fosse un opinion leader, ma le sue parole erano “oro colato” per i molti che già appoggiavano e praticavano la segregazione del black people.
Negli anni Sessanta del secolo scorso, però, anche John Wayne e i Mister Jones, ossia i rappresentanti della maggioranza silenziosa degli States cantati da Bob Dylan (Ballad Of A Thin Man, 1965), si resero conto del fatto che i tempi stavano per cambiare.
Infatti, nel clima sociale e politico di quegli anni, reso incandescente dal movimento per i diritti civili degli afroamericani, dalle proteste contro la guerra USA in Vietnam e dall’emergere di una controcultura fortemente antisistemica, sulla scia delle esperienze maturate nelle lotte per i propri diritti e l’autodeterminazione sviluppate sin dall’inizio del XX secolo, riprese forza anche il Red Power ossia il movimento dei nativi americani.
Organizzazioni come l’American Indian Movement o il National Indian Youth Council (NIYC) diedero così inizio a un’era di attivismo combattivo, con proteste, occupazioni e marce contro la loro discriminazione. Il Red Power non tardò a legarsi al movement universitario già impegnato sul fronte antirazzista e antimilitarista. In questo clima di ribellione, a mettere però definitivamente “in soffitta” il mito di John Wayne e quello dei suoi tanti epigoni, fu proprio Hollywood. Spinta da una crisi sempre più accentuata (e dovuta in parte anche al crescente disinteresse delle nuove generazioni “ribelli” verso i generi tradizionali e i valori rappresentati dal cinema classico), tra la fine degli anni Sessanta e i Settanta, la cinematografia hollywoodiana “si rifece il lifting” presentandosi al mondo come New Hollywood. Per ottenere il nuovo look non solo “arruolò” una nuova generazione di cineasti, spesso vicini ai movimenti controculturali (Francis Ford Coppola, Martin Scorsese, Robert Altman, Arthur Penn per citare solo alcuni registi diventati poi famosi), ma diede spazio a nuove storie, nuovi stili e nuove sensibilità. Ad esempio, proprio a proposito dei nativi americani, la New Hollywood affrontò il tema in modi molto diversi rispetto alle epoche precedenti. Invece di presentare i nativi come “selvaggi ostili”, alcuni film iniziarono a mostrare i massacri e le violenze perpetrate dall’esercito statunitense nei loro confronti e, parallelamente, a dar voce al punto di vista indigeno.
Era nato quello che venne chiamato Western revisionist. Ad aprire il nuovo corso, due pellicole del 1970: Soldato blu e Il piccolo grande uomo.
Soldato blu, diretto da Ralph Nelson, divenne famoso per la rappresentazione esplicita della violenza dei Confederati contro i nativi. La storia era quella di un giovane soldato semplice, Honus Gant (Peter Strauss) che, testimone diretto della brutale violenza contro un villaggio Cheyenne (il massacro di Sand Creek avvenuto nel 1864), alla fine decideva di schierarsi con i nativi americani. Il film creava volutamente un’analogia tra i nativi e il popolo vietnamita che, a distanza di un secolo, in quel momento subiva la potenza militare statunitense.
Dustin Hoffman in Il piccolo grande uomo del regista Arthur Penn
Il piccolo grande uomo diretto da Arthur Penn, è invece narrato attraverso i ricordi dell’ultracentenario Jack Crabb (Dustin Hoffman), l’ultimo sopravvissuto della battaglia di Little Bighorn che, in gioventù, pur essendo un “bianco”, era stato adottato da una tribù Cheyenne. Attraverso la sua narrazione, il film, con uno sguardo che alterna umorismo, satira e drammaticità, ripercorre episodi cruciali della storia del West, come il massacro di Washita River, messo in atto dal tristemente famoso tenente colonnello George Armstrong Custer.
Queste pellicole furono considerate positivamente dalle comunità dei nativi americani perché ribadivano la loro lapalissiana verità: «Non abbiamo attraversato l’oceano per venire da voi. Eravamo qui fin dall’inizio».
Kevin Costner e Graham Greene in Balla coi Lupi
La cinematografia nei decenni successivi, anche con il contributo di registi e attori indigeni, ha continuato a sensibilizzare il pubblico sulle storie, la cultura e le ingiustizie subite dai nativi. Film come Balla coi Lupi (1990), Geronimo (1992), Wind River (2017), Indian Horse (2018), Killers of the Flower Moon (2023) e serie tv come 500 Nations (1995) o Tutto è connesso (2024), sono solo alcuni esempi di come la rappresentazione dei nativi americani continui a essere in evoluzione, con un crescente numero di voci indigene che prendono il controllo delle loro storie.
Fino a oggi, tutto ciò, è servito a cambiare la condizione delle popolazioni native?
No. Quelle sono tutt’ora costrette a lottare contro gli stereotipi diffusi da scuole che insegnano la loro storia e cultura in modo distorto; nelle loro comunità, il tasso di povertà è significativamente più alto e l’aspettativa di vita è più bassa rispetto alle medie nazionali (e ciò è dovuto anche all’impossibilità di accedere a un’assistenza sanitaria di qualità). Il futuro poi è ancora più incerto: il presidente Trump, ad esempio, ha espresso una forte opposizione ai programmi di Diversità, Equità e Inclusione (DEI) e le direttive mirate a smantellare queste iniziative, con tagli a finanziamenti e opportunità di impiego avranno un impatto determinante sulle comunità: ci sono già state segnalazioni di congelamento di migliaia di sovvenzioni federali e licenziamenti di dipendenti in agenzie come l’Indian Health Service (IHS).
In questa situazione, si rivitalizzerà il Red Power? Tra i giovani molti lo sperano e cantano i versi del rapper Lakota Frank Waln: «Sfollati e confinati in campi di concentramento chiamati riserve siamo morti per la nascita della vostra nazione... Veniamo dalla Terra, ci ha resi forti».

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La Pulce nell’Orecchio 27.04.2024, 11:05
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