Cinema

La vita da grandi: l’esordio alla regia di Greta Scarano racconta una fratellanza

Particolare e universale, il film tratto da un libro (un memoir a due mani) ci porta nello spettro autistico senza stereotipi, in una piccola grande storia sulla ricerca della felicità  

  • 10 giugno, 17:00
vita da grandi
Di:  Valentina Mira 

Greta Scarano, classe 1986, è nota ai più come attrice, a chi ha intercettato un’intervista esilarante come campionessa di Cod (Call of Duty), e ora la conosciamo anche come regista. C’erano i prodromi in Feliz Navidad, un corto del 2022, ma ora è al cinema con il suo lungometraggio, La vita da grandi.

Tratto dal libro Mia sorella mi rompe le balle, scritto da Damiano e Margherita Tercon e ispirato alla loro storia di crescita, fratellanza, caregiving, “autismo normale”, come lo definiscono, il film ha come protagonisti Matilda De Angelis e Yuri Tuci. Una prima nota a favore di Scarano come regista è proprio la scelta di Yuri Tuci, che autistico lo è davvero, un bel passo avanti nel discorso della rappresentazione e la conferma che nessuno può interpretare una persona nello spettro meglio di una persona nello spettro. Si può fare un discorso analogo per ogni categoria oppressa, un tema con cui gli attori hanno a che fare da sempre; da quando, per esempio, le donne venivano interpretate da uomini. Prova riuscitissima dunque per Yuri Tuci, ma anche per Matilda De Angelis, fuor di stereotipo una sorella schietta fino alla ferocia. Chi ha detto che i caregiver debbano essere perfetti? La loro iper-responsabilizzazione dipende dalle lacune sociali, non è detto che debbano essere all’altezza. Nella storia in questione, essere all’altezza ha esattamente a che fare con l’imperfezione, con l’amore che accetta e non giudica, che non vuole cambiare l’altro.

È l’unico modo di agire e ragionare da Asperger, quello trasposto sullo schermo ne La vita da grandi? No, né vuole esserlo. È per questo che occorre ricordare che quando si parla di neurodivergenze ha senso farlo al plurale; alcuni, come Damiano, guardano negli occhi, altri no. Alcuni sono più o meno talentosi nei loro interessi speciali. Alcuni (alcune, soprattutto) sanno fare masking fino al punto da non risultare nello spettro agli occhi di nessuno; è un prezzo che pagano loro: di donne e Asperger si parla da pochissimi anni e addirittura lo psichiatra (nazista, va ricordato) che dà il nome a questa sindrome che poi sindrome non è, quanto piuttosto un modo meno comune di funzionare, le bambine non le considerò nemmeno.

Ricordato dunque il necessario, e cioè che questa è una storia di autismo, ma non è la storia di tutti i modi di essere nello spettro, va evidenziato che La vita da grandi è soprattutto un racconto di fratelli e sorelle. Di crescita, di conquista dell’autonomia. Di desiderio, quello di realizzare i propri sogni.

Damiano compare nella prima scena nascosto dietro a un lettino, una sorta di gabbia sul suo viso. Il tema qui è la mostruosità, da monstrum, che voleva dire sì “mostro”, ma anche “prodigioso”, “fuori dal comune”. Il tutto richiama a La mostruositrans di Filo Sottile, sul riappropriarci di certe parole e percezioni, e renderle la nostra forza. Damiano da quella gabbia si libererà, e con il suo esempio aiuterà anche la sorella a ribellarsi a una strada più borghese, già definita, con il personale conflitto di lei che esplode a un passo dall’acquisto di una casa col compagno.

«Ci vogliamo sistemare, sì o no?», le chiede lui.
«Io non mi voglio sistemare. Io voglio essere felice»

È il manifesto programmatico di Margherita. È il manifesto programmatico del film.

Ne La vita da grandi c’è la partecipazione speciale, a sorpresa, di Valerio Lundini, Malika Ayane, Ozpetek e Mara Maionchi. Ci sono momenti di sincerità spontanea esilaranti, come l’idiosincrasia assoluta che porta Damiano a sbottare: «Mi fanno schifo i baffi». C’è la ferocia a cui porta la troppa vicinanza, la rabbia del voler cambiare gli altri e non accettarli così come sono, tutte le sbeccature dell’umanità che si acuiscono nelle - nella storia sono tutte donne - caregiver. C’è anche la cattiveria del mondo, il desiderio di alcuni di approfittarsi di chi è generoso, pulito e ingenuo. E le offese: “mongoloide”, “mongospastico”, “ciccione di merda”, “ritardato”. Di solito pronunciate da qualcuno di più stupido della persona a cui sono rivolte, è vero che parlano più di lui che dell’offeso, ma fanno sempre tanta rabbia ed è giusto trovare il modo di darle sfogo. Certe rabbie sono potenzialmente rivoluzionarie.

Si esce dal cinema più sereni, più tranquilli e meno vergognosi di sé; si scorda infatti di quanto ci censuriamo per conformarci a una certa idea di normalità condivisa. Poi guardi La vita da grandi, e per un momento ti consenti di vivere e lasciar vivere. Con meno paura degli altri, e meno paura di te.

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