Cinema

Mohammad Rasoulof (non) è un uomo libero

Il regista del “Seme del fico sacro” ha vinto decine di premi con i suoi film, ma non può mostrarli agli spettatori del suo Paese natale, l’Iran

  • Ieri, 10:00
  • Ieri, 10:48
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Mohammad Rasoulof a Locarno, 2024

  • IMAGO / Independent Photo Agency Int.
Di: Alessandro De Bon 

Non è facile essere Mohammad Rasoulof, ma qualcuno deve pure farlo. E lui, da decenni, lo fa con meraviglioso ed elegante coraggio. Protagonista di una memorabile notte d’agosto di un anno fa, in questi giorni il regista iraniano è di nuovo a Locarno: oggi l’incontro con il pubblico al Forum.

Nel 2024, pochi mesi dopo essere scappato clandestinamente dal suo Paese, aveva portato con sé Il seme del fico sacro, per lasciarlo germogliare in una Piazza Grande che salutò lui e il suo film con una standing ovation. Quest’anno invece nessun film, ma un riconoscimento: il Premio Locarno Città della Pace, che ha ricevuto ieri nel corso del Diplomacy Day di Locarno78. Perché il cinema di Rasoulof corre inevitabilmente a cavallo tra l’arte e la politica; la sua e quella di un Paese che non ammette voci ostinate e contrarie, che con la narrazione di pochi esige il silenzio di molti sulla verità di tutti. Fino a quando non si schianta su artisti e uomini come lui.

In vent’anni di cinema clandestino, maledetto (dagli altri) e faticoso, Rasoulof ha raccontato l’Iran e denunciato chi lo governa. Partendo spesso e volentieri dalla più piccola forma di società - la famiglia - ha raccontato le proteste popolari, la soppressione, la pena di morte e la dissidenza. Ha dato voce a chi ha la gola strozzata, e una chance in più per sapere e capire a chi è lontano migliaia di chilometri. Quello che non è riuscito a fare è raccontarlo ai suoi connazionali.

Regista iraniano, di Mohammad Rasoulof in Iran non si è mai visto un solo film. Nessuna distribuzione, schermo nero. La sua filmografia vive tra Cannes e Berlino, Locarno, Venezia; nei festival e nelle sale d’Europa, su schermi liberi che non aspettano altro se non accogliere la sua voce tradotta in immagini, puntualmente clandestine. Rasoulof gira senza chiedere. Perché dalle sue parti domandare non è lecito – e men che meno è cortesia rispondere.

Arrestato nel 2010 per propaganda antigovernativa, nel 2011 viene condannato a sei anni di reclusione e vent’anni di divieto di girare, produrre, scrivere film. Giusto pensarli, che i pensieri vivono nel silenzio. Intanto, in quegli stessi mesi, a Cannes il suo Be omid-e didār è a Un Certain Regard, dove era già stato nel 2005 per Jazire-ye āhani. Ridotta la pena a un anno, nel 2013 gira Dastneveštehā nemi-sōzand, Premio della critica internazionale. E allora, per fermare “il dissidente”, al governo non resta che togliergli il passaporto. Pratica che viene rinnovata nel 2017, quando Lerd trionfa a Cannes conquistando proprio Un Certain Regard. Nuovo processo, nuova condanna.

Ma lui, Rasoulof, continua a girare senza chiedere, e nel 2020 Il male non esiste illumina Berlino con un Orso d’oro che lui non può ricevere, perché non c’è. E nel dramma di una situazione insopportabile esplode tutta la potenza del cinema, che può far essere ovunque, in qualsiasi momento. Anche quando, nel 2022, la sentenza di un anno di reclusione per aver realizzato Lerd diventa esecutiva, e per Mohammad Rasoulof si aprono le porte del carcere di Evin, a Teheran: il penitenziario per prigionieri politici. Ci resta sette mesi, fino a febbraio 2023, quando viene liberato per amnistia. E Rasoulov ricomincia a girare senza chiedere. Lo fa in un appartamento, ne esce Il seme del fico sacro e Cannes lo chiama di nuovo, in concorso.

A chiamarlo, di nuovo, sono pure le autorità iraniane: passaporto revocato un’altra volta e di lì a breve una nuova condanna: otto anni di carcere, fustigazione, multa e confisca dei beni per aver messo a rischio la sicurezza del Paese con le sue azioni: i suoi film. In quei giorni Rasoulof prende una delle decisioni più difficili della sua vita: lasciare la sua terra, su cui si arrampica un’ultima volta, tra le montagne, per superare il confine e raggiungere la Germania.

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Locarno78: il cinema si racconta

Alphaville 11.08.2025, 12:35

  • © Ti-Press / Carlo Reguzzi
  • Francesca Rodesino

È da lì che un anno fa il regista iraniano è arrivato a Locarno per la proiezione del film in Piazza Grande. E sempre dalla Germania è arrivato in questi giorni. Nel 2023, scriveva sul magazine del Festival:

Qualsiasi idea del futuro è esagerata e vaga, in una situazione del genere. Secondo gli astronomi, nell’universo a noi visibile si possono calcolare più di duemila miliardi di galassie; sono infinite le domande che sorgono quando si considera una tale vastità. Immaginate di trovarvi in una situazione in cui, da un lato siete sopraffatti dalla vastità delle galassie e dell’universo, mentre dall’altro dovete ottenere l’approvazione per le vostre storie dall’Organizzazione per la Censura Islamica. In una situazione del genere dove finisce l’idea di futuro?

Esiste una terra in cui un regime totalitario ha preso in ostaggio l’idea di futuro. La mia visione del futuro è in prigione, e in una situazione del genere non posso che pensare alla libertà.

Un articolo due anni fa, un film l’anno scorso, di nuovo il cinema oggi. In questa edizione di Locarno a parlare le lingue di Rasoulof, l’iraniano e il cinema libero, è anche Jafar Panahi, in Piazza Grande venerdì con Un simple accident, il film vincitore dell’ultima Palma d’oro. Rasoulof e Panahi insieme, quindici anni dopo. Perché nel 2010, in una di quelle tante giornate di buio pesto, insieme a Mohammad fu arrestato anche Jafar; e guai pensare che oggi, a Locarno, siano uomini liberi. Liberi lo saranno il giorno in cui potranno fare e dire le stesse cose in Iran, a casa loro.

Venerdì, intanto, incontreranno uno di fianco all’altro i ragazzi e le ragazze della Filmmakers Academy, per raccontargli il cinema. E questa sì è una notizia bellissima, e libera.

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