L’impresa non era tra le più semplici e - malgrado l’entusiasmo per l’operazione e per l’evento - una certa dose di scetticismo era timidamente in circolazione tra addetti ai lavori e appassionati di cinema già all’annuncio della presenza del film in concorso a Venezia.
“White Noise” di Noah Baumbach - che al Lido ha presentato nel 2019 “Marriage Story”, una delle sue prove di regia migliori - ha l’ambizioso obiettivo di portare in sala uno dei romanzi chiave della letteratura statunitense postmoderna, l’omonimo libro pubblicato nel 1985 da Don DeLillo.
Divenuto ben presto un cult, il testo di DeLillo ci parla di una famiglia americana composta da Jack, professore universitario di studi hitleriani, dalla moglie Babette, che organizza lezioni di postura per gli anziani del vicinato, e dai loro quattro figli, ognuno nato da un matrimonio differente (i coniugi sono entrambi al loro quarto matrimonio). La loro vita, che si alterna tra lezioni nel campus, spedizioni mistiche al supermercato, dialoghi tra accademici e serate spese davanti alla televisione, viene sconvolta da un incidente ferroviario che rilascia una misteriosa nube tossica sulla città, costringendo la popolazione all’evacuazione.
In quel libro DeLillo scatta una delle più fedeli immagini della cultura occidentale degli anni ’80, con netto anticipo sui tempi e grande capacità di analisi. Sono molteplici i temi che vengono trattati: il supermercato come nuova forma di “resurrezione” spirituale attraverso il consumo, i mass media come creatori di una realtà più assurda della finzione e al contempo più reale del reale, lo sgretolamento della famiglia tradizionale, il “rumore bianco” di fondo della televisione che avvolge ogni istante, divenuto qualcosa che appiattisce tutto, anche le catastrofi.
Questi temi, così come il susseguirsi degli eventi, Noah Baumbach li riprende fedelmente. È minuziosa la sua ricostruzione di alcune scene, dai rumori delle stoviglie durante la cena del giorno dell’incidente ai momenti d’intesa tra moglie e marito. Anche i dialoghi sembrano perfettamente ripresi dal libro, al punto da risultare quasi forzati. Altre sequenze, tra queste alcune con scelte di regia davvero brillanti, assumono toni inaspettati o stranamente fuori posto, come ad esempio la stessa nube tossica, che sembra estratta da una sequenza di Stranger Things, tra colori acidi e un’imponente CGI. Un’estetica che finisce per risultare più come una scelta stilistica non percorsa completamente, che strizza l’occhio ad altri immaginari senza un’apparente motivo.
“White Noise” di Noah Baumbach è un lavoro che in qualche modo ci dovrebbe mettere allo specchio, ci dovrebbe far confrontare con il passato: con gli sprechi, con lo sfarzo, con l’illusione di un periodo storico che ci ha portati a questo 2022 fatto di crisi energetiche, disastri climatici e una pandemia globale a quanto pare superata. Eppure quest’esperienza filmica, con un ottimo cast (Adam Driver, Greta Gerwig e Don Cheadel), spunti interessanti e trovate anche ad effetto, lascia emotivamente piuttosto indifferenti.
Quando la nube tossica inizia a raggiungere la città dove vivono Jack e famiglia, la radio dà indicazioni sui sintomi che si potrebbero avvertire a causa dell’agente chimico rilasciato nell’aria. Tra questi c’è anche “una sensazione di déja-vu”. Ecco, “White Noise” sembra un gigantesco déja-vu che non stranisce ma lascia impassibili. Che fosse proprio questo lo scopo? Mostrarci quanto siamo già coscienti del nostro distacco di fronte alla tragedia, che sia lontana o vicina? Mostrarci come le paure e le ansie dei protagonisti siano le stesse che abbiamo oggi e che per quasi 40 anni le abbiamo solo rese più forti, senza pensare a porvi rimedio?
La risposta è più probabilmente un’altra. DeLillo nel 1985 ha visto l’alba di una (nuova) crisi sociale ed individuale che - proprio come una nuvola nera - iniziava a farsi strada. L’ha individuata, l’ha capita e l’ha resa accessibile attraverso un racconto di finzione. Quello di Baumbach sembra più un tributo a quest’opera che un tuffo al suo interno. Il regista la indica, la declama, la omaggia, la illumina ad arte ma sembra non affrontarla. Non la vuole davvero guardare per vederne il dramma e quando inizia a provare a farlo nella parte finale del film, prendendosi anche delle legittime libertà di trasposizione, risulta distaccato, artificioso, forzato. “White Noise” è un buon film ma è un film indeciso, probabilmente troppo intimorito dal confronto con il libro per diventare davvero la visione di Noah Baumbach del testo di DeLillo, una visione che si intravvede - interessante e prorompente - nelle scene di dialogo più teatrali del film. Un vero peccato non essere andati dritti in quella direzione.
Il film sarà nelle sale a fine novembre e su Netflix a fine dicembre 2022.