Si può passare dai corridoi del Tribunale internazionale dell’Aia, nei Paesi Bassi, alle Alpi grigionesi, per svolgere il ministero pastorale presso una comunità riformata?
Evidentemente sì. Marie-Ursula Kind, giurista che ha svolto inchieste sui più atroci crimini di guerra, è da un anno e mezzo pastora a Saint Moritz. Per quindici anni ha esplorato la malvagità di cui è capace l’essere umano, in particolare in Ruanda e nella ex Jugoslavia. Poi la svolta con la decisione di riqualificarsi per esercitare il ministero pastorale. Kind, fin da piccola, ha respirato gli insegnamenti della tradizione riformata. Il nonno era pastore e anche lei da bambina sognava di diventare pastora. A nove anni perde il padre, ma spiega che è in famiglia che ha sviluppato un forte senso per la giustizia, grazie anche agli insegnamenti dell’etica cristiana.
La perdita del padre ha aperto nella vita di Kind «un periodo difficile». Dice a “Chiese in diretta”, settimanale ecumenico di informazione religiosa della RSI: «Ero la maggiore di quattro figli. Le famiglie di entrambi i miei genitori ci hanno molto sostenuto, così come la nostra parrocchia. Il pastore, in particolare, è stato per me una figura fondamentale. Mi ha supportato inoltre la fede, la consapevolezza di un Dio presente anche quando intorno a noi tutto cambia improvvisamente».
Kind racconta così il suo percorso professionale: «Da giovane ero molto impegnata nella Chiesa. A 18 anni, però, mi sono resa conto di essere troppo giovane per guidare una comunità. Mi sentivo immatura. Decisi così di studiare legge, spinta dalla passione per i temi della giustizia e dell’ingiustizia. Da lì sono arrivata ai diritti umani e ai crimini di guerra. La fede, comunque, mi ha sempre accompagnato e sostenuto, anche in quel periodo».
L’Aia «ha rappresentato una grande sfida». E «Carla Del Ponte una figura centrale». Spiega: «Il nostro era un piccolo team inizialmente. È stato un periodo intenso, con molti casi difficili, ma ero supportata da colleghi con cui ho stretto ottimi rapporti. La mia àncora è sempre stata la fede. Cantare nel coro della Chiesa mi ha aiutato a mantenere un equilibrio personale e professionale».
Il mondo è scosso da più conflitti, molti dei quali durano da anni. Dice ancora Kind: «Mi rattrista molto vedere come tutto ciò per cui abbiamo lavorato al Tribunale Penale Internazionale dell’Aia sia stato in parte vanificato. Abbiamo sperato di poter contribuire a una pace duratura, di far rispettare le convenzioni di Ginevra. Invece, assistiamo a nuovi conflitti, con l’ONU spesso bloccata e i tribunali internazionali limitati nella loro azione. Vedere con quale scelleratezza certi crimini vengono quasi legittimati mi fa davvero paura».
Sulla decisione di cambiare carriera, Kind spiega: «Dopo 15 anni, ho sentito che era abbastanza. Mi ero occupata degli abissi del comportamento umano ed era il momento di voltare pagina. La possibilità di riqualificarmi come pastora mi è sembrata l’occasione giusta per approfondire quell’aspetto della fede che mi aveva sempre accompagnato. Non si trattava più solo di guardare al passato, ma di plasmare il futuro insieme ad altri».
Riguardo al coinvolgimento dei giovani nella Chiesa, Kind dice che «è fondamentale seguire i giovani nell’insegnamento religioso e nei corsi di confermazione. Poter discutere con loro di fede, vita e Dio, essere punti di riferimento anche quando la vita diventa difficile. Dobbiamo essere interlocutori disponibili nel corso della loro vita, anche dopo la Confermazione».
Da più parti il nome di Dio è usato per fini egoistici e personali. Ne è consapevole Kind, per la quale «usare Dio e la religione per opprimere altri popoli è sempre un abuso, un gioco di potere molto pericoloso». E ancora: «Vorrei invece che le persone comunicassero di più tra loro. Siamo sempre connessi con il mondo attraverso i nostri dispositivi, ma spesso non con chi ci sta accanto. Dovremmo aprire gli occhi, avvicinarci al prossimo, ascoltarlo e parlarci di più. Questo è ciò che veramente conta».