Il fatto che Robert Prevost, presentandosi come nuovo pontefice, abbia subito dichiarato di esser figlio di sant’Agostino, non è da considerarsi di secondaria importanza. Leone XIV non voleva certamente solo ricordare la sua appartenenza a un ordine religioso, piccolo anche se di illustre tradizione – notiamo, ad esempio, che il suo predecessore non sottolineò affatto di esser membro di un ordine religioso ben più numeroso e importante, la Compagnia di Gesù – ma indicare soprattutto la sua aderenza a un pensiero, a una impostazione teologica e spirituale, appunto quella agostiniana.
Non sappiamo, ovviamente, cosa Leone XIV farà, ma è lecito chiedersi in che senso si orienterà il suo agostinismo, ovvero cosa di specifico di colui che i medievali chiamavano Augustinus magister porterà nel suo ministero papale. Rispondere a questa domanda non è facile, dal momento che in Agostino si trova tutto – o quasi – il cristianesimo occidentale, e non solo quello cattolico, dato che agostiniano era anche Lutero, che venerò sempre il numquam satis laudatus Augustinus – il mai troppo lodato Agostino - ma possiamo comunque abbozzare un’ipotesi di risposta, puntando su alcuni dei punti essenziali, non accidentali e transitori, del pensiero del vescovo di Ippona.
Il primo punto è sicuramente quello dell’interiorità: «Non uscire fuori di te, rientra in te stesso; la verità abita nell’uomo interiore», scrive Agostino nel libro La religione vera, opera più di ogni sua altra amata e citata dai mistici, nella quale si descrive il passaggio dal dubbio – condizione comune dell’essere umano pensante, oggi come ieri – alla verità, che si mostra però non come una o più proposizioni da credere, o cui aderire, bensì come una luce interiore: «non la luce di questo sole, ma la luce vera, che illumina ogni uomo», e che è, per il platonico ma cristiano Agostino, la luce del Cristo (Gv 1,9). Ricordiamo le celebri, toccanti parole che nelle Confessioni, rammentando il suo passato di incredulo, il vescovo di Ippona rivolge a Dio: «Tardi ti ho amato, tardi ti ho amato, o bellezza tanto antica e e sempre nuova [...]Tu eri dentro di me, ma io ero fuori. Tu eri con me, ma io non ero con te...». Questa concezione della verità, che è Dio, e che risplende nel profondo dell’anima di ogni uomo «senza mediazione alcuna», implica, a ben vedere, mettere almeno in secondo piano, se non del tutto da parte, la dipendenza da rivelazioni esteriori, e dunque dal biblicismo. In un tempo in cui la scienza storica ha fatto piazza pulita del valore sacrale della Scrittura, mostrandone l’origine umana, fin troppo umana, cosicché la scelta contraria, operata dal Concilio Vaticano Secondo, di dare il bando alla filosofia greca e puntare tutto sulla Bibbia ha avuto come esito quello di vuotare le chiese ed i seminari, e comunque ridurre la religione al puro devozionalismo, il richiamo al carattere interiore, razionale ed universale della verità, e dunque all’inscindibile legame tra fede e ragione, potrebbe essere uno degli elementi agostiniani di riferimento, da parte di papa Leone XIV.
In stretto rapporto col punto precedente, ovvero la contrapposizione prima platonica, poi paolina, tra uomo interiore ed uomo esteriore, uno dei cardini dell’agostinismo su cui si potrebbe riportare l’attenzione è la distinzione tra natura e grazia, il che significa, in poche parole, ricordare il passaggio dalla esistenza comune, soggetta al determinismo naturale, ad una vita nuova, nella dimensione della libertà dello spirito. In un tempo come quello attuale, in cui l’umanità è smarrita nella molteplicità, ricercando invano la felicità nell’esteriorità, offerta a pagamento da infiniti maestri, scuole di meditazione, ecc., gioverebbe senza dubbio ricordare il messaggio di un uomo che, come sanno i lettori delle sue Confessioni, vagò anch’egli a lungo in quella che chiama «regione della dissomiglianza», prima di conoscere la grazia, con la sua beatitudine. Certamente i nostri tempi non accettano il pensiero dell’ ultimo Agostino, che, nella foga della polemica contro Pelagio, che gli sembrava render vana la croce di Cristo (come poi penserà anche Lutero), si espresse con un pessimismo davvero radicale nei confronti della natura umana, ma quell’ «agostinismo ponderato» che la Chiesa latina accolse come valido non sarebbe male di fronte allo «scipito ottimismo del cristianesimo dei nostri tempi», come scriveva già Schopenhauer. ormai quasi due secoli fa.
Sintetizzando in certo modo i due precedenti punti, possiamo rilevare che Leone XIV, fin dai primi giorni del suo ministero papale, ha ricordato il destino eterno dell’uomo, non limitato alla sua breve vita terrena. E qui non si può non pensare all’opera maggiore di Agostino, la Città di Dio, con la distinzione tra la realtà sociale, politica, e quella spirituale, essenzialmente opposte, anche se intrecciate l’una con l’altra, fino alla fine dei tempi. Non dice forse la Bibbia che Caino fu il primo fondatore di città (Gn 4,27)? Ed anche Roma, la civitas per eccellenza, non fu forse fondata dall’omicida di suo fratello? – sottolinea il vescovo di Ippona. A questo proposito, si può sperare che il pensiero agostiniano contribuisca almeno un po’ a liberare l’intelligenza dall’illusione nelle «magnifiche sorti e progressive» dell’umanità, cui già irrideva Leopardi, ovvero dalla contemporanea presunzione nella «maturità del mondo» (vedi Bonhoeffer) – un’idea che, di fronte alla realtà presente, appare non solo senza senso, ma addirittura grottesca.
Infine, come punto essenziale, pensiamo al rilievo che Agostino dà all’amore: pondus meum amor meus, La pregnante concisione del latino non permette di tradurre adeguatamente una frase come questa, che alla lettera significa che il mio amore è il mio peso, ovvero la mia effettiva consistenza, quella che mi conduce nella direzione verso cui comunque mi muovo. Sempre nelle Confessioni, ricordando i suoi giovanili amori per le belle ragazze, l’ormai anziano vescovo scrive che in realtà, in essi, amare amabam, ovvero era l’amore che stava amando, anche se ancora non lo aveva compreso, giacché è dall’Amore, che è Dio, che procede ogni vero amore. In un tempo di banalizzazione delle relazioni d’amore, tale che ormai spesso non si ha più neppure il coraggio di chiamarle tali, quello della bellezza e profondità dell’amore è un tema agostiniano, a tutti comprensibile, cui Leone XIV non mancherà – credo – di insistere.
Un Papa dalle Americhe più che a “stelle e strisce”
Modem 09.05.2025, 08:30
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