La storia di oggi inizia nel 1977, quando due amici, Trevor Horn e Geoff Downes decidono di dedicarsi alla musica, fondando un duo. I Buggles. Pubblicheranno due soli album, “The Age of Plastic” uscito all’inizio del 1980 e “Adventures in Modern Recording” che vede la luce verso la fine del 1981. In quei quasi due anni di distanza, oltre a promuovere quella che è stata l’unica canzone di grandissimo successo prodotta, “Video Killed the Radio Star” (che sì, lo sappiamo, è stato il primo video trasmesso da MTV all’inizio delle sue trasmissioni, il 1° agosto 1981 alle 00:01, grazie al video diretto da Russell Mulcahy, bla bla bla...) i due si dilettano a far parte dello storico gruppo degli Yes.
Ma non è questo ciò che vi vogliamo raccontare...
Facciamo un altro passo in avanti. Nel 1983, lo stesso Trevor Horn, la manager Jill Sinclair e il giornalista del New Musical Express Paul Morley decidono di fondare un’etichetta discografica dedicata a quelle band e solisti che non riescono a trovare spazio, nel pieno boom della new wave, tra le etichette tradizionali, che in quegli anni ricevono demo a pioggia, alcune buone, altre decisamente meno.
Questo loro progetto, che nasce dalle ceneri della Perfect Recordings, che pubblicò oltre al secondo disco dei citati Buggles, anche “The Lexicon of Love” degli ABC, decidono di chiamarlo ZTT Records, omaggio al poeta e maestro del futurismo Filippo Tommaso Marinetti, che descriveva “zang tumb tumb” come il suono di una mitragliatrice. Anche se questa attribuzione non è mai stata confermata al 100% (solo intorno al 97%... dettagli).
I primi artisti messi sotto contratto sono un quintetto di ragazzi di Liverpool, città che alla musica aveva già dato parecchio... sono Holly Johnson (voce), Paul Rutherford (seconda voce e cori), Mark O’Toole (basso), Brian Nash (chitarra) e Peter Gill (batteria). Suonano insieme dal 1980 e, tra le altre cose, vantano di essere dichiaratamente gay e paladini dei diritti gay e della sessualità libera. Giusto per sottolinearlo, erano gli anni dell’AIDS, ufficialmente registrato con i primi casi il 5 giugno 1981.
Anche il nome che si erano scelti non era proprio abituale: la band, infatti, si esibiva come Frankie Goes to Hollywood. Ok, ci siamo... è di loro che vogliamo parlare!
Messi sotto contratto nel 1983, i cinque ragazzi iniziano a lavorare al loro primo disco. Tra i brani scritti fino ad allora, uno in particolare cattura l’attenzione di Horn, che funge anche da mentore e produttore: “Relax”. Il lavoro si concentra proprio su quel brano, che aveva un immenso potenziale ma non trovava una sua versione definitiva, finché proprio Horn decide di costruire un arrangiamento basato su un tessuto sonoro completamente elettronico, senza gli strumenti tradizionali, usando addirittura uno dei primissimi e costosissimi campionatori sequencer, il Fairlight. Quella versione piace e convince tutti; a ottobre viene pubblicata e attira l’interesse di radio e tv, finché i FGTH non pubblicano il video ufficiale, ambientato in un locale sadomaso, e non vanno ospiti ad uno show di Channel 4 e al mitico “Top of the Pops” della BBC, vestiti in latex e con atteggiamenti che poco lasciano immaginare. Risultato? I critici li esaltano, le vendite cominciano ad esplodere, portandoli in testa alle classifiche di tutta Europa, grazie anche alla censura della BBC stessa, che rimuoverà la canzone da ogni suo canale.
Insieme a “Relax”, i FGTH scrivono e incidono quelli che saranno altri due singoli di incredibile successo come “Two Tribes” pubblicato nel giugno del 1984 (brano contro le guerre, con testi iperbolicamente maliziosi e accompagnato da un video in cui i pupazzi di gomma di Ronald Reagan e Konstantin Černenko si sfidano su un ring di Sumo) e “The Power of Love”, una ballad lentissima e decisamente differente da quanto ascoltato dai Frankie Goes To Hollywood fino ad allora.
Queste hit finiscono tutte nell’album di esordio: “Welcome to the Pleasuredome”, che viene pubblicato il 29 ottobre del 1984, quarant’anni fa. Un progetto ambizioso, che vede la commercializzazione di un doppio album, nonostante i 64 minuti totali divisi tra sedici “canzoni”. Le virgolette servono perché tutta la struttura del disco è decisamente inusuale. Intanto ogni facciata è simbolizzata con una lettera. F-G-T-H... Frankie Goes to Hollywood. Poi perché, ad esempio, nel primo lato ci sono solo due pezzi: “The World Is My Oyster” di poco meno di 2 minuti di lunghezza, e la title-track “Welcome to the Pleasuredome”, che dura invece 13 minuti e 40 (ovviamente il singolo è una intelligente versione editata, mentre quella dell’album è una suite piena di arzigogoli, riff, divertissement vari).
La seconda facciata si apre con la super-hit “Relax (Come Fighting)“, seguita da “War (...and Hide)“, eclettica rielaborazione del brano di Edwin Starr, da “Two Tribes” e dai 35 secondi di “Tag”.
Le cover proseguono con i primi 3 brani del terzo lato: nell’ordine “Ferry (Go)“ che altro non è se non l’omaggio scritto da Gerry Marsden e portato al successo 20 anni prima da Gerry and the Pacemakers per Liverpool, la loro città, ovvero “Ferry Cross the Mersey”, a cui si lega – sì perché altra caratteristica saliente è che i brani del disco sono uno attaccato agli altri, senza soluzione di continuità... e sai che fatica a farsi le cassette! - “Born to Run”, il grande successo di Bruce Springsteen, che per la prima volta concede di registrare una cover di una sua canzone, praticamente a un gruppetto di sconosciuti inglesi. Per finire con “San Jose (The way)“ di Burt Bacharach e Hal David scritta per Dionne Warwick.
Il resto del disco è interessante, ma onestamente trascurabile, fino all’epilogo, dove staziona il terzo singolo numero uno, “The Power of Love”.
A una accoglienza critica entusiastica, il primo album dei FGTH abbina un notevole successo commerciale. Debutta al primo posto delle classifiche inglesi grazie al milione di copie prenotate in prevendita; a queste se ne affiancheranno, nel mondo e nel tempo, altri tre milioni.
Se pensate che quattro milioni di album (doppi) venduti siano pochi, sappiate che nel 1985 Holly Johnson e compagni lasciano precipitosamente l’Inghilterra per questioni fiscali: in Irlanda scriveranno e incideranno il secondo e ultimo album, “Liverpool” che sarà decisamente un flop, anche perché la stella di Holly aveva decisamente preso la piega del buco nero, accentrando in sé ogni forma di vita artistica della band, che si separerà ufficialmente, in malo modo, da lì a poco.