Musica Rock

Gianna Nannini vuole diventare venerata maestra

L’artista senese indica la strada per il futuro partendo da un passato forse mai davvero valorizzato: il suo

  • 11 aprile, 08:00
  • 14 giugno, 10:07
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  • Keystone
Di:  Patrizio Ruviglioni 

Sei nel l’anima, l’ultimo disco di Gianna Nannini (22 marzo 2024), ventesimo di una carriera cominciata nel 1976, è un piccolo tassello da inserire in un contesto più ampio. Quello, cioè, di un generale rilancio della rocker di Siena, dopo anni in cui, anche per scelta, se n’è rimasta in disparte. Il prossimo 2 maggio, per esempio, su Netflix uscirà un biopic su di lei (Sei nell’anima scritto però tutto attaccato, come la sua canzone più famosa, lei è interpretata da Letizia Toni), per raccontare quella che tutt’ora resta una delle artiste più attuali della musica italiana. Una di quelle che, davvero, può costruire un ponte con le nuove generazioni, per come da giovane ha sfidato stili e convenzioni, e ha avuto coraggio. I tempi sono maturi, ci si può costruire un impero su queste coordinate.

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Musica di seta: Gianna Nannini (9./15)

Arpeggi 01.09.2023, 17:53

  • Courtesy: Chiara Raggi

Il disco – nonostante un titolo che trae in inganno, far pensare a una raccolta o a un lavoro passatista – è un tentativo di misurarsi con il soul, come i precedenti Amore gigante (2017) e La differenza (2019) lo erano rispettivamente con il blues e l’elettropop, rimasti fuori dal pop-rock sanguigno di sempre. Di nuovo: mettersi alla prova così, a questo punto del percorso, con i numeri che non sono assicurati, è già una prova di coraggio.

Anche perché negli ultimi vent’anni, il grosso del talento messo in mostra riguarda il saper giocare con il pop e il suo linguaggio: da Un’estate italiana in poi del 1990 (anche se lei, in un’intervista per Vanity Fair, ha fatto risalire la cesura addirittura al 1983) è stato tutto uno scendere a patti a modo proprio con il nazionalpopolare, che si tratti di trasformare in hit un pezzo dei CCCP, Amandoti, o di scriverne di sue, come Meravigliosa creatura o Sei nell’anima, Io, Maledetto ciao e le altre con cui ha scolpito il proprio nome negli anni zero. Come già Lucio Dalla, è stata maestra nel modellare la canzone da radio mettendoci dentro un elemento di stranezza, di pazzia, che spesso corrisponde all’interpretazione feroce che garantisce lei stessa. E già questo la rende una di quelle artiste con cui chi fa musica oggi, visto il generale appiattimento, deve fare i conti. Fosse anche solo per una questione di attitudine e di visione, considerando che nel 2008 duettò con Fabri Fibra nel pezzo In Italia, in un momento in cui rappresentava il mainstream e il rap, al contrario, era sovversivo: vedendo com’è finita, ha capitalizzato bene il proprio ruolo.

Ma con Sei nel l’anima l’intenzione è più grande. Gianna Nannini compie 70 anni (14 giugno 2024) e ha l’intenzione di ascendere al ruolo di venerata maestra, e in questo senso l’aver indicato come sua erede la cantautrice simbolo della generazione zeta Ariete potrebbe esserne un segnale – è quando si cede lo scettro, a volte, che in maniera più o meno esplicita si riconosce di averlo avuto in mano. Anche fare un disco così coraggioso, per quanto non sempre magari ispirato, lo è. Anche se poi ascende a modo suo. Per citare un termine a lei caro, è infatti ancora uno «scandalo»: non scade su posizioni reazionarie, anzi ribadisce di essere nata «senza genere» («sono stata sia con uomini e sia con donne», anche se «ho una forte sessualità ma la sfogo nella musica. Il sogno è godere sul palco»), parla del colonialismo culturale americano in Occidente e di altri temi sociali, ed è un simbolo di tante battaglie per i diritti delle donne e della comunità lgbt senza voler esserne un’icona.

L’accoppiata Sei nel l’anima e biopic, insomma, sembrano un tentativo di mettere i puntini sulle i, e di prendersi una legittimazione che, forse, non c’è mai stata. Dialogare con le nuove generazioni, essere riconosciuti come maestri, è fondamentale in questo caso. E in Italia è già successo, tra gli altri, già a Vasco Rossi, di cui solo di recente è stato accredito il vero valore dei suoi primi album e degli esordi spericolati, e dopo un lungo osteggiamento da parte della critica oggi per chi fa musica è un modello. E Nannini sembra ambire, giustamente, alla stessa posizione.

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Telegiornale

Telegiornale 28.07.2022, 20:00

Lo fa ricordando, per esempio, gli inizi avventurosi, in cui ha rinnegato gli agi borghesi di famiglia per darsi al rock, un genere che per una donna era inimmaginabile, alla fine degli anni settanta. E poi i tratti del personaggio com’era negli anni ottanta: l’ambiguità androgina, la provocazione, la vita randagia (Ragazzo dell’Europa racconta proprio di quei pellegrinaggi bohemien), il fatto che nei suoi pezzi parlasse spesso di sesso – la copertina di California (1979), si sa, ritrae la Statua della Libertà con in mano un vibratore, e lì dentro c’è America, un saggio sfacciato sull’autoerotismo –  e non nel modo classico in cui il pop ritrae le donne, come oggetto del desiderio maschile, stereotipo sexy; Nannini, semmai, è vicina ai canoni rock, quasi un’amazzone, come quando in Germania nel 1985 durante un live si tirò su la maglia e mostrò il seno.

Tra l’altro, la notorietà internazionale è un altro aspetto del suo percorso abbastanza sottovalutato, con collaborazioni come quelle con Conny Plank, leggenda dei sintetizzatori al fianco di Kraftwerk ed Eurythmics, qui nel capolavoro Latin lover (1982). Il resto lo fanno una serie di canzoni in cerca di giustizia, specie quelle della prima fase, più audace, da Profumo a I maschi, fino a Fotoromanza. Non hanno mai avuto enormi riconoscimenti o tributi, sono sempre state date per scontate come si danno per scontate le belle canzoni pop, ma in realtà rappresentano una via originale, radicale e sincera al rock e alla new wave internazionali in voga allora. In un momento di scarso coraggio come questo, Nannini potrebbe voler indicare la strada per il futuro partendo da un passato forse mai davvero valorizzato: il suo. 

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