Bergamo custodisce due eredità che raccontano la sua capacità di resistere e innovare: le Mura Venete e il primo vocabolario moderno. Al centro di entrambe le vicende troviamo gli Agostiniani, protagonisti silenziosi di trasformazioni che hanno segnato la città e la cultura europea.
Nel 1561 Venezia decise di trasformare Bergamo in una fortezza di frontiera. La costruzione della cinta bastionata comportò demolizioni imponenti, compreso il Duomo paleocristiano di Sant’Alessandro. Eppure un complesso sopravvisse: il convento di Sant’Agostino. La sua salvezza, come ricorda lo storico Massimo Tedeschi (al microfono di Franco Brevini in Laser), ha del miracoloso: «La fede, si dice, può spostare le montagne. I frati agostiniani di Bergamo non arrivarono fin lì, ma le possenti mura veneziane… quelle sì riuscirono a spostarle e il loro monastero fu salvo».
La sfida degli agostiniani
Laser 16.12.2025, 09:00
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La scelta di preservare il convento non fu casuale. Come spiega la professoressa Monica Rosmini (professoressa di storia dell’architettura e docente all’Università di Bergamo), il progetto di Sforza Pallavicino prevedeva l’abbattimento di gran parte della città medievale, ma l’ambasceria bergamasca a Venezia chiese di risparmiare gli edifici più significativi. Il peso delle famiglie che avevano nel convento le proprie sepolture e l’autorevolezza dell’ordine agostiniano contribuirono alla decisione. Gli Agostiniani cedettero parte delle loro proprietà per la fascia militare, ma il loro complesso venne inglobato e protetto all’interno delle nuove mura.
Oggi le Mura Venete, patrimonio UNESCO, sono molto più di un’opera difensiva: rappresentano un confine identitario e insieme un ponte tra “Bergamo de Sota” e “Bergamo de Sura”, una «cesura ma anche, in fondo, una cucitura prospettica urbanistica», come osserva ancora Tedeschi. L’abbraccio di quasi 12.000 cittadini nel 2016 testimonia quanto questo monumento sia radicato nell’immaginario collettivo.
Ma la storia degli Agostiniani non si esaurisce nella conservazione del loro convento. Proprio tra quelle mura, nel Quattrocento, nacque un’opera destinata a rivoluzionare la cultura europea: il Calepinus, il primo vocabolario moderno. Il suo autore, Ambrogio da Calepio, scelse la via degli studi entrando in convento, perché «la sua passione era trovarsi tra i libri», ricorda Giulio Orazio Bravi (già direttore della Biblioteca Civica Angelo Mai e studioso di storia del libro).
Immerso in una biblioteca all’avanguardia, Calepio comprese la portata della stampa e iniziò a raccogliere sistematicamente le voci incontrate nelle sue letture di autori greci, latini e italiani. Il risultato, pubblicato nel 1502, divenne un fenomeno editoriale europeo con oltre 200 edizioni. Bravi sintetizza così la sua intuizione: «Fare un vocabolario a stampa che fosse uno strumento per tutti quelli che leggevano i nuovi testi».
Il Calepinus introdusse criteri destinati a diventare standard: ordine alfabetico, funzione grammaticale, etimologia, esempi d’autore. Non stupisce che venga considerato «l’inventore del vocabolario moderno». Il manoscritto autografo, conservato alla Biblioteca Angelo Mai, porta ancora i segni dei caratteri tipografici, testimonianza del passaggio dalla penna alla stampa.
Le Mura Venete e il Calepinus raccontano due forme diverse della stessa forza: la capacità di Bergamo di difendere la propria identità e, allo stesso tempo, di generare innovazione. Una doppia eredità resa possibile anche dagli Agostiniani, custodi di pietra e di sapere, che hanno contribuito a proiettare la città nel cuore della storia europea.


