Si intitola Delio Cantimori e la Svizzera. Filoelvetismo e spirito europeo il nuovo volume di Nicola D’Elia, ricercatore e storico del pensiero politico europeo tra età moderna e contemporanea, pubblicato recentemente da Edizioni di Storia e Letteratura.
Un’opera che riporta l’attenzione su una figura complessa e difficile da incasellare: quella di uno degli storici più influenti del Novecento italiano. Delio Cantimori, nato a Russi nel 1904 e morto a Firenze nel 1966, attraversò un percorso intellettuale e politico tormentato, simile a quello di molti intellettuali della sua generazione, passando dall’adesione al fascismo alla scelta comunista nel secondo dopoguerra. Meno noto, ma decisivo per comprenderne la traiettoria, è il suo intenso e duraturo rapporto con la Svizzera: un nodo biografico che D’Elia (intervistato da Mattia Pelli) indaga con rigore, evidenziando come questo capitolo, finora rimasto ai margini, sia in realtà cruciale per misurare la profondità della sua formazione.
Le prime tracce risalgono al 1927, quando il giovane studioso visita Basilea per la prima volta, rimanendo colpito dal fervore religioso e politico che aveva segnato la città nei secoli precedenti. Ma è soprattutto nel 1931, grazie a una borsa di studio ministeriale ottenuta dopo la laurea pisana e il perfezionamento alla Normale con Giovanni Gentile, che Basilea diventa uno snodo fondamentale. Cantimori si iscrive alla Facoltà teologica per comprendere dall’interno le tensioni dottrinali del Cinquecento: un ambiente libero e refrattario alla disciplina militaresca che incominciava a caratterizzare l’Italia fascista. In una lettera del 1960 a Werner Kägi – eminente intellettuale elvetico e docente nella città renana – ricorderà quegli anni come un periodo nel quale “gli piaceva essere senza radici”: una confessione che rivela il peso esistenziale di quell’esperienza.
Da quel soggiorno basilese germogliarono le ricerche poi confluite nella sua opera maggiore, Eretici italiani del Cinquecento (1939), un lavoro monumentale che proprio in Svizzera conobbe la sua unica traduzione in lingua straniera, pubblicata a Basilea nel 1949. Una scelta, osserva D’Elia, tutt’altro che fortuita: la versione tedesca dell’opera fu resa possibile grazie al rapporto saldo e fecondo che Cantimori instaurò con Kägi, un’amicizia intellettuale che si dispiegò nell’arco di più di trent’anni.

"Delio Cantimori e la Svizzera. Filoelvetismo e spirito europeo" di Nicola D'Elia, Edizioni di Storia e Letteratura (dettaglio di copertina).
Nicola D’Elia – che aveva già dedicato a Cantimori un volume nel 2007 (Delio Cantimori e la cultura politica tedesca (1927-1940), Feltrinelli) – in questo nuovo lavoro rivolto al versante elvetico si è servito di un’ampia documentazione proveniente da archivi e biblioteche di diversi Paesi, ricostruendo con precisione il trentennio di frequentazioni svizzere dello storico e mettendo in luce il valore che egli attribuiva a una ricerca libera, svincolata da pressioni politiche o ideologiche.
La Svizzera, osserva l’autore, fu probabilmente il Paese straniero che Cantimori frequentò con maggiore assiduità: Zurigo, Coira, Ginevra e soprattutto Basilea, il cui ateneo nel 1960 gli conferì un doctor honoris causa, suggellando un legame intellettuale intenso e duraturo. Ogni tappa contribuì a delineare quello che D’Elia definisce il suo autentico filoelvetismo: l’ammirazione per un ambiente culturale capace di preservare con rigore la distinzione tra ricerca disinteressata e impegno politico. Un modello che colpì Cantimori nel profondo e che tornò a essergli prezioso nei momenti di crisi con il Partito Comunista Italiano. Il ruolo dell’intellettuale, secondo lo storico, doveva infatti essere riformulato svincolandolo dall’obbligo di una rigida fedeltà di partito e restituendogli un profilo più autonomo, più critico, più libero.
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Tuttavia, pur allontanandosi dalla militanza nel PCI, Cantimori non rinnegò mai le sue convinzioni di fondo: come scrisse a Werner Kägi, continuò a sentirsi vicino agli ideali del movimento comunista, pur non accettando più la disciplina culturale imposta dal partito. Questa posizione, complessa e articolata, alimentò numerosi dibattiti negli ambienti intellettuali italiani, soprattutto in un’epoca in cui il PCI esercitava un ruolo centrale nell’orientare gli studi storici del Paese. Al contrario, il panorama dei suoi riferimenti teorici era molto più ampio: decisiva per la sua maturità fu la lezione di Jacob Burckhardt, ma anche figure come Max Weber e naturalmente Karl Marx contribuirono a modellare la sua visione della storia e della politica.
Oggi, in Italia, Cantimori è spesso ricordato soprattutto per le sue scelte politiche, talvolta al centro di polemiche vivaci; assai meno, invece, si riconosce il valore del suo lavoro di studioso. È proprio questo vuoto che Nicola D’Elia si propone di colmare, riportando al centro il Cantimori ricercatore, pensatore rigoroso e inquieto, la cui vicenda intellettuale non può essere compressa nella sola dialettica tra fascismo e comunismo. Il suo rapporto con la Svizzera – conclude l’autore – apre infatti una prospettiva più ricca e stratificata, essenziale per comprendere davvero la profondità del suo percorso e del suo pensiero.
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Alphaville 25.11.2025, 11:45
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