Storia

Madonna del Sasso: un silenzio che parla

Sei frati, un santuario e il tempo della fede che cambia. La comunità di religiosi affronta la fine di un’epoca e si interroga sul significato della fede oggi

  • Un'ora fa
immagine
1:04:26

I custodi della Madonna del Sasso

Storie 21.12.2025, 20:45

Di: Storie/Camel 

Sulla collina di Orselina, il convento della Madonna del Sasso si erge come un osservatore discreto della storia e del tempo. Sei frati cappuccini, tra i sessanta e i novantasette anni, vi abitano quali custodi di un mondo che sfuma lentamente.

Le loro giornate scorrono tra preghiera, meditazione, lavori manuali e cura del santuario, scandite dal ritmo lento e sicuro delle stagioni. Il più anziano, ospite di una casa di riposo, mantiene ancora un legame profondo con la comunità: la sua presenza invisibile ricorda la continuità di un patrimonio spirituale che rischia di scomparire. L’arrivo di fra Gianluca, giovane e tra le ultime vocazioni, porta con sé un soffio di novità. La sua presenza, come un ponte tra passato e futuro, segna la transizione delicata di una fraternità fragile, che si interroga sul senso del proprio cammino e sulla sopravvivenza della missione.

San Francesco diceva che bisogna vivere come pellegrini e forestieri. Oggi questo significa creare relazioni profonde, vivere insieme e con il creato.

Fra Mauro, teologo e alpinista

Un ponte inatteso nasce però anche dall’esterno. Gaia Volonterio, pittrice non credente, entra nel convento con uno sguardo curioso e rispettoso e dipinge una serie di tavole a olio con i volti dei cappuccini che alloggiano nel convento della Madonna del Sasso. La sua arte diventa così lente attraverso cui osservare la vita dei frati: ritratti, gesti, silenzi. «Volevo capire chi fossero davvero», racconta. E i suoi dipinti dialogano con le fotografie e con le opere che testimoniano un passato in cui la comunità religiosa era numerosa e centrale nella vita sociale del Ticino, in contrasto con il presente: più fragile e raccolto. Ne emerge una delicata tensione, che testimonia che ciò che è sopravvissuto non è solo materiale, ma umano, spirituale.

Una vita sospesa (catturata nel documentario di Patrick Sörgel) nella quale i frati pregano, lavorano in cucina, curano il giardino, accolgono visitatori, si fermano sotto la pergola per momenti di condivisione. Sono gesti semplici, eppure carichi di senso, come un linguaggio silenzioso che parla direttamente dell’essenza della loro scelta di vita. «La nostra fraternità è come una famiglia», osserva fra Gianluca. «Con tutte le problematiche, certo, ma anche con tutte le ricchezze della relazione».

La vita del convento, lontana dai clamori, diventa così un microcosmo della spiritualità contemporanea: un luogo in cui la fragilità del corpo si accompagna alla forza del vincolo, e dove la preghiera e la cura reciproca rappresentano strumenti di resilienza interiore. L’interesse dei visitatori oggi è spesso più estetico che religioso, eppure ogni passo, ogni gesto, ogni silenzio conserva la capacità di parlare a chi cerca autenticità e significato.

L’opera della pittrice non è dunque solo documentazione: è dialogo. Le sue immagini catturano la pazienza dei frati, il ritmo dei loro gesti, la profondità dei loro sguardi. In esse, la vita quotidiana si trasforma in poesia visiva, e il silenzio, in racconto.
Così, tra preghiera e lavoro, meditazione e accoglienza, il convento diventa spazio di riflessione su ciò che resta quando il numero dei custodi diminuisce: la testimonianza discreta ma potente di una vita dedicata al senso, alla relazione e alla presenza.

In un tempo in cui la fede sembra farsi lontana, ciò che resta della comunità dei cappuccini non è misurabile in numeri o rituali, ma nella coerenza del vivere, nella bellezza del silenzio, nella cura che ogni frate riversa sul luogo e sull’altro.

È la poesia quotidiana di uomini che, con delicatezza e fermezza, mantengono vivo un frammento di eternità.

Correlati

Ti potrebbe interessare