Storia sociale

Anna Kuliscioff, il coraggio di non appartenere

Una vita di rivoluzione, cura e autonomia femminile: a 100 anni dalla morte, la figura luminosa e inquieta della “dottora dei poveri” continua a interrogare il presente

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  • Fondazione Anna Kuliscioff
Di: Elizabeth Camozzi  

Il 29 dicembre 1925, in un appartamento sotto i portici di corso Vittorio Emanuele a Milano, si spegneva Anna Kuliscioff: la donna che osò essere libera, implacabile, inquieta e – come ricorda Fiorenza Taricone nel suo volume Oltre il tempo patriarcale (Gruppo editoriale Tab, 2025) – straordinariamente lungimirante. Neppure nel giorno dell’ultimo saluto le fu concesso un istante di quiete: un gruppo di fascisti irruppe nel corteo funebre, aggredendolo e strappando drappi e corone.

Il suo vero nome era Anja Rosenstein – modificato in seguito per sfuggire alle autorità di polizia – ma la storia l’avrebbe per sempre ricordata come una delle figure più luminose e al tempo stesso più controverse del socialismo europeo. Straniera divenuta milanese d’adozione, offrì alla città non solo nuove forme di emancipazione femminile, ma anche una concezione di medicina sociale e di politica come responsabilità civile.

A cento anni dalla morte, riemerge il volto – e le ombre – di un’intellettuale che visse sul crinale sottile fra ribellione e cura, fra autonomia e dedizione, fra rivoluzione e quotidiano. Un anniversario importante, celebrato da Taricone attraverso il suo volume rivolto in particolare alle giovani generazioni, per educare e promuovere la parità di genere grazie alle gesta di una protagonista fondamentale del primo femminismo socialista italiano.

Secondo la tradizione biografica, Anna nasce presumibilmente in Crimea il 9 gennaio 1854 in una famiglia benestante di commercianti ebrei. Fin da giovanissima mostra un acume raro e, quando la Russia nega alle donne l’accesso agli studi universitari, sceglie la via dell’esilio: raggiunge la Svizzera e nel 1871 si iscrive al Politecnico di Zurigo, una delle poche istituzioni europee aperte alle studentesse, dove intreccia formazione scientifica e impegno politico.

Costretta a lasciare il paese per ordine dello zar, aderisce poi al movimento dell’“andata verso il popolo”, un’iniziativa spontanea e di forte carica politica nata in Russia tra il 1873 e il 1874, in cui migliaia di giovani studenti radicali abbandonarono le città per immergersi nei villaggi contadini, diffondendo idee rivoluzionarie di matrice populista (narodnik) e cercando di risvegliare la coscienza sociale e politica delle masse rurali. Il movimento fu duramente represso dal regime zarista, e in reazione al dispotismo russo, Anna matura la convinzione che la lotta politica possa richiedere anche l’uso di violenza, posizione che in seguito abbandonerà per un orientamento via via più legalitario.

Anna Kuliscioff

Anna Kuliscioff

Dopo l’esilio definitivo del 1877, attraversa Svizzera, Francia e Italia - tra arresti, espulsioni e clandestinità - accanto ad Andrea Costa, da cui avrà la figlia Andreina. Gli anni Ottanta sono per lei una stagione di transizione e vulnerabilità: la malattia contratta in carcere, la maternità, la fine dolorosa del legame con Costa. Si rifugia allora a Berna, dove intraprende gli studi in medicina e individua l’origine batterica delle febbri puerperali, aprendo la strada alla riduzione delle morti post partum. Rientrata in Italia, diventa la “dottora dei poveri” e intreccia una relazione sentimentale con Francesco Turati, che si tradusse fin da subito anche in un solido sodalizio politico, fondato sull’emancipazione femminile e sulle riforme sociali.

Tuttavia, né con Costa né con Turati volle mai sancire un’unione formale. Non per distacco, ma per un principio insieme intimo e pubblico: il diritto a non appartenere. Lo affermò con decisione nel 1893, durante un congresso socialista a Zurigo, quando respinse l’etichetta di «moglie di Turati» con le parole che la rappresentano tuttora: «Non sono la signora di nessuno, sono Anna Kuliscioff». Pur in assenza di verbali ufficiali, la frase resta viva nella memoria storica e nelle antologie moderne.

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Anna Kuliscioff: la signora di nessuno

Alphaville 12.11.2024, 11:45

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  • Sabrina Pisu

Per lei Milano fu un lungo laboratorio di impegno civile. La città, allora vibrante di fabbriche, cooperative e giornali, offriva uno spazio fertile a un movimento operaio in cerca di voce. Kuliscioff, come medico, si dedicò ai più poveri e agli esclusi, comprendendo per prima che la questione femminile non poteva essere separata dalla questione sociale: era, piuttosto, il suo cuore pulsante. Nell’appartamento di corso Vittorio Emanuele 23 fondò con Turati la redazione di Critica Sociale, trasformandolo in un luogo di confronto e strategia politica frequentato da figure come Giacomo Matteotti, Carlo Rosselli, Angelica Balabanoff, Rosa Genoni, Claudio Treves e Gaetano Salvemini. In quegli anni, nel 1890, al Circolo Filologico tenne la conferenza II monopolio dell’uomo, poi pubblicata nel 1894: un attacco lucido e frontale alle strutture patriarcali che negavano alle donne autonomia economica, civile e professionale.

Le sue battaglie per la parità salariale, la tutela delle lavoratrici e il suffragio femminile segnarono l’ultima fase della sua vita, mentre l’Italia scivolava verso un clima sempre più antisocialista. E il suo funerale – interrotto dalla violenza fascista – fu l’ultimo, doloroso sigillo di una vita interamente spesa nella lotta per la dignità umana.

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100 anni dalla morte di Anna Kuliscioff

La corrispondenza 26.11.2025, 07:05

  • Cristiana Coletti

A un secolo di distanza, Anna Kuliscioff non appare come un monumento immobile, ma come una precisa domanda aperta: che cosa significa davvero libertà?

Le sue battaglie – per l’autonomia delle donne, per la solidarietà di classe, per il rispetto dei più vulnerabili – continuano a interrogare e a interrogarci. Ricordarla significa dunque non limitarsi all’eredità ricevuta, ma soprattutto assumersi la responsabilità di ciò che resta ancora da fare e da costruire.

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