L’Eat-in: un pasto condiviso e politico
Scopriamo in cosa consiste questa "tavola” organizzata per festeggiare i 30 anni di Slow Food Svizzera
Slow Food Svizzera festeggia quest’anno i suoi 30 anni di vita e l’evento che ha dato il via alla campagna di giubileo dei 30 anni è stato un “Eat-in”, ovvero: un “incontro di persone che vivono e amano una cultura alimentare sostenibile e giusta”. È stato organizzato in occasione del mercato di Slow Food a Zurigo, luogo di incontro per consumatori e produttori, che hanno potuto esporre non solo i loro alimenti rispettosi dell’ambiente, delle tradizioni, e dei lavoratori, ma anche raccontare la loro filosofia e storia.
Per capire meglio le motivazioni e il significato dell’Eat-in, abbiamo incontrato Philippe Kämpf, gastronomo e responsabile della comunicazione e del marketing di Slow Food Svizzera, che ci ha anche raccontato i suoi ricordi legati a questo momento di convivialità.
Ciao Philippe, mi spieghi in cosa consiste un Eat-in?
Dal nome intuisco una somiglianza con il “sit-in” - protesta pacifica che consiste nel sedersi in strada con l’obbiettivo di fermare il traffico -. Ci sono dei parallelismi?
Sì, certo. L’Eat-in è una grande cena (o pranzo) conviviale ed è anche un gesto politico. Nella pratica, è una cena organizzata in uno spazio pubblico in cui ognuno porta del cibo – fatto in casa o comprato - da condividere con gli altri.
È un gesto politico perché è una protesta contro il fast food - che per definizione è fatto per essere mangiato velocemente - e quello che esso comporta: origini degli ingredienti poco chiare, catena di produzione lunga, impatto sull’ambiente e sulla salute, e via dicendo. Al contrario, un Eat-in vuole omaggiare il cibo buono, pulito e giusto, renderlo accessibile a tutte le persone e omaggiare chi lo produce, chi lo vende e chi lo prepara. È un invito a spegnere i dispositivi elettronici e dimenticarsi delle distrazioni per fermarsi, sedersi a tavola insieme e godersi questo pasto nato dalla condivisione.
Quindi sì, ci sono parallelismi con il sit-in perché anche in questo caso si rivendicano dei valori ben precisi, quelli della sostenibilità, dell’accessibilità e della condivisione. Si è attenti anche agli sprechi: se rimane del cibo, infatti, questo viene riportato a casa; ecco perché l’ideale, per partecipare a un evento come questo, sarebbe di arrivare con le proprie stoviglie da casa!

L’importanza di queste cene è anche mettere in contatto produttori e consumatori, giusto?
Esattamente. Infatti, il cibo che si porta può essere fatto in casa, ma anche comprato in luoghi in cui si possono trovare prodotti tradizionali, locali e sostenibili, come per esempio botteghe, panetterie, macellerie e bancarelle del mercato; oppure, addirittura sono i produttori o venditori stessi che portano il loro cibo all’Eat-in. L’obbiettivo è anche quello di saltare quello che è la grande distribuzione organizzata, vedere chi produce quello che stai mangiando e magari anche porgli delle domande.
Mi sembra di capire che hai partecipato a molte di queste cene. Qual è stato il tuo primo Eat-in?
La prima volta che ho sentito parlare dell’Eat-in è stato nel 2015, quando ho iniziato i miei studi all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo. Infatti, è tradizione organizzare un Eat-in all’inizio di ogni anno scolastico per accogliere gli studenti del primo anno. Quello che succede è che gli studenti del terzo anno portano le matricole a Bra (il paese che si trova a pochi chilometri dall’Università e sede e città natale di Slow Food), per mostrare loro i mercati contadini e i migliori negozietti alimentari del paese, che saranno utili sia per la cena della sera, sia per la spesa dei successivi tre anni di università. È stata un’occasione per conoscere di persona i produttori e i proprietari dei negozi, instaurando delle genuine relazioni umane.
Dopo aver girato il paese alla ricerca di ingredienti, ci si reca a gruppi di una decina di persone negli appartamenti degli studenti più grandi per cucinare quello che si è comprato, per conoscersi e per ascoltare i consigli e gli aneddoti derivanti dai numerosi viaggi – chiamati stage – organizzati dall’Università.
Le pietanze cucinate dovrebbero rappresentare il più possibile la storia, la cultura e la tradizione della regione di provenienza. Io quel giorno preparai una torta di ricotta e spinaci alla paprika affumicata con una farina semi-integrale. Gli spinaci freschi provenivano dal mercato dei contadini e la ricotta di pecora da una piccola azienda casearia. La paprika invece era un souvenir di un viaggio didattico di uno studente.
Dopo aver preparato le pietanze, ci si incontra con gli altri gruppi alla grande tavolata per mangiare tutti insieme. È stata davvero una giornata memorabile, in cui ci è stata data l’opportunità di conoscere alcune piccole realtà gastronomiche ma anche di condividere questo momento con tutti gli altri studenti, per passare tutti insieme un momento di festa e convivialità.
L’Eat-in, in effetti, nasce proprio a Pollenzo, nel 2008, da un gruppo di studenti dell’Università di Scienze Gastronomiche e attivisti Slow Food che, mossi dalla passione verso il cibo e influenzati dalla connotazione internazionale dell’Università, hanno deciso di organizzare un evento che potesse sottolineare l’importanza della comunità e della condivisione.
Questa atmosfera di convivialità, in effetti, l’ho sentita anche io quando, dopo la chiacchierata con Philippe, sono andata all’Eat-in del mercato di Slow Food di Zurigo. Non avendo avuto il tempo di cucinare ho comprato alcuni prodotti al mercato: pane con lievito madre, formaggio di capra al tartufo e un paté di olive, che ho aggiunto alla tavolata già piena di salumi, formaggi, salse, e altre pietanze fatte in casa. A tavola l’ambiente era familiare e le persone allegre. Mi rendevo conto di non stare soltanto mangiando, ma di essere coinvolta in una scelta politica: optare per un pasto locale e sostenibile e dedicargli tempo di qualità, con piacere e consapevolezza.
Si trovavano al mercato di Zurigo anche i nostri colleghi di Rete Uno per la trasmissione SEIDISERA e ci hanno fornito un interessante intervista a Laura Rod, copresidente di Slow Food Svizzera, che approfondisce la strada fatta dall'associazione in territorio elvetico fino ad oggi:
- Seidisera 05.03.2023
Fonti:
slowfood.ch
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