L’industria orologiera svizzera sarà duramente colpita dai dazi imposti dal presidente statunitense Donald Trump. Quello americano è infatti il principale mercato di esportazione.
Nella prima metà del 2025, la Svizzera ha esportato orologi negli Stati Uniti per un valore di 2,56 miliardi di franchi. A titolo di confronto, nello stesso periodo sono stati esportati orologi per 932 milioni di franchi in Giappone, per 894 milioni in Cina e per 824 milioni a Hong Kong. Come rileva il Wall Street Journal, il mercato è estremamente dinamico, con una crescita costante di circa il 14% all’anno dal 2019.
I dazi al 39% potrebbero rallentare la crescita e a subire maggiormente dovrebbero essere, secondo le stime del broker Jefferies, le aziende specializzate Rolex e Swatch, meno Richmond, che produce anche gioielli.
La delocalizzazione non è una soluzione
Per aggirare l’ostacolo, però, non è un’opzione la delocalizzazione della produzione. Un orologio svizzero deve essere prodotto in Svizzera. Senza contare che la manodopera qualificata necessaria è difficile da trovare altrove.
Il CEO di Swatch, Nick Hayek, non è però così preoccupato. All’agenzia specializzata AWP ha detto che, come lo ha dimostrato la storia, i dazi su prodotti unici che la gente desidera non sono un problema.
E a proposito di storia, si ricorda un’altra guerra dei dazi tra Stati Uniti e Svizzera che ha coinvolto proprio il settore orologiero. Bisogna tornare indietro di settant’anni: il 28 luglio 1954 gli Stati Uniti aumentarono dal 35 al 53% i dazi sugli orologi svizzeri. Il motivo? Sostenere l’industria statunitense. La guerra degli orologi ebbe un impatto grave sui produttori. A Bienne, La Chaux-de-Fonds e in altre località la gente scese in piazza per manifestare. Venne convocato l’ambasciatore americano a Palazzo Federale, ma solo nel 1967 l’aumento dei dazi fu revocato.

Il peso dei dazi di Trump sull'industria
Il Quotidiano 02.08.2025, 19:00