Amnesty International, in un rapporto pubblicato giovedì, avverte che il diritto all’aborto è sempre più minacciato in Europa. L’ONG, che si batte per la tutela dei diritti umani, evidenzia un aumento degli ostacoli legali, amministrativi e politici che limitano l’accesso all’interruzione di gravidanza. L’organizzazione denuncia “preoccupanti passi indietro” in diversi Paesi. “È grande il rischio di vedere i risultati conquistati in materia di diritti riproduttivi messi in discussione da un’ondata di misure retrograde”, ha dichiarato Monica Costa Riba, esperta dei diritti delle donne di Amnesty International.
“Quando i diritti non valgono per tutte: la lotta per l’accesso all’aborto in Europa”
Il rapporto, dal titolo “Quando i diritti non valgono per tutte: la lotta per l’accesso all’aborto in Europa”, elenca una serie di ostacoli: tempi di attesa e consultazioni obbligatorie senza giustificazione medica, obiezione di coscienza del personale sanitario, costi elevati o assenza di rimborso e restrizioni legali oltre un certo numero di settimane di gravidanza. Le donne appartenenti a gruppi emarginati (giovani, LGBTIQ+, migranti o senza status legale) sono le più colpite.
La situazione in Italia, Ungheria, Croazia, Slovacchia, Turchia
Tra i Paesi in cui i governi o i gruppi religiosi cercano di limitare l’accesso all’aborto, Amnesty cita in particolare l’Italia, l’Ungheria, la Croazia e la Slovacchia. In Ungheria le donne sono costrette ad ascoltare il battito cardiaco del feto prima di poter interrompere una gravidanza, mentre in Turchia le donne sposate devono ottenere il consenso del marito per abortire nelle prime 10 settimane.
In Svizzera i costi rimangono un ostacolo importante
In Svizzera, dove l’aborto è depenalizzato nelle prime 12 settimane, il rapporto sottolinea che i costi rimangono un ostacolo importante per le persone a basso reddito: le franchigie e le partecipazioni finanziarie elevate possono ritardare o impedire l’accesso al diritto all’interruzione di gravidanza. A partire dal 2027, le assicurazioni sanitarie dovranno coprire integralmente i costi. Una riforma salutata come un “passo importante verso l’uguaglianza”, secondo Amnesty, che deplora tuttavia il fatto che le persone senza status legale ne siano ancora escluse.
L’ONG nota che diversi Paesi hanno legislazioni simili a quella della Svizzera: il Regno Unito, l’Italia, l’Ungheria e i Paesi Bassi permettono anch’essi l’aborto per motivi sociali o economici più ampi. Secondo Amnesty International, queste disposizioni restano tuttavia insufficienti per garantire un accesso equo a tutte.
Le restrizioni in Liechtenstein, Isole Faroe, Malta, Monaco, Polonia, Andorra
Altri Paesi rimangono invece molto restrittivi: il Liechtenstein, le Isole Faroe, Malta, Monaco e la Polonia limitano severamente l’accesso all’aborto, mentre Andorra mantiene un divieto totale.
I progressi in Irlanda, San Marino, Danimarca, Norvegia, Spagna, Finlandia
Amnesty sottolinea che, al contrario, negli ultimi anni sono stati registrati importanti progressi in altri Paesi: Irlanda e Irlanda del Nord hanno abrogato divieti quasi totali, mentre San Marino ha legalizzato l’aborto nelle prime 12 settimane di gravidanza dopo oltre 150 anni di proibizione.
In Francia l’aborto è garantito nella Costituzione
Danimarca, Norvegia, Spagna e Finlandia hanno anche allentato alcune restrizioni pratiche, e la Francia ha iscritto l’aborto come libertà garantita nella sua Costituzione.
Amnesty International esorta i governi europei a “depenalizzare l’aborto, eliminare gli ostacoli esistenti e garantire un accesso sicuro, legale ed equo. L’aborto è una cura sanitaria e un diritto umano”, insiste l’organizzazione.
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