Seif al Islam, figlio di Gheddafi, e altre otto persone vicine all’ex dittatore sono stati condannati a morte, attraverso la fucilazione, da un tribunale libico. Tra loro figurano pure l’ultimo premier dell’era del rais,
Baghdadi al-Mahmudi e il suo capo dei servizi segreti,
Abdallah Senussi. Tutti e nove sono stati giudicati a Tripoli, dove regna una coalizione di milizie in parte islamiche (il paese è diviso in due, due Governi e due Parlamenti più una multitudine di clan), per il ruolo che hanno svolto durante la repressione sanguinosa di quattro anni fa. Classe 1972, secondogenito, è stato arrestato il 19 novembre del 2011 nel sud del paese dove si trova tutt'ora. Non è mai stato consegnato alle "autorità" della capitale.
Dietro alle sbarre
La condanna delle Nazioni Unite
Il processo non ha rispettato le leggi internazionali. Questo il commento dell’Alto commissariato dei diritti umani delle Nazioni Unite (ONU) sulla condanna a morte. "L’ONU è contrario alla pena capitale", ha dichiarato la portavoce Ravina Shamdasani, "il processo inoltre si è svolto in condizioni scorrette (…), i detenuti per esempio non hanno potuto parlare sempre con gli avvocati".
Sulla stessa linea si espresso il Governo di Tobruk, quello riconosciuto internazionalmente: “Il tribunale di Tripoli è illegittimo perché non si trova sotto il controllo dello Stato”.
Reuters/AlesS
Dal TG12.30: