I bombardamenti israeliani di martedì sulla Striscia di Gaza significano che la tregua tra Israele e Hamas è finita? “È presto per dirlo, c’è molta tensione, è altissima in queste ore, in questi minuti. Però crediamo che la diplomazia statunitense stia intervenendo, perché far saltare la tregua non vuol dire solo rimettere in gioco una guerra che si sperava finisse. Significa anche mettere in discussione l’autorevolezza internazionale di Donald Trump che ha puntato molto della sua postura internazionale su questa tregua quando nel frattempo si parla anche di un negoziato, difficile certo, per l’Ucraina”. Risponde così il giornalista e inviato di guerra Nello Scavo*, intervistato in diretta durante il nostro Telegiornale. “Quindi far saltare la tregua in questo momento a Gaza vorrebbe dire far saltare le carte in tavola per tutti i principali conflitti del nostro tempo”.
Tutti gli osservatori, comunque, temevano che la situazione a Gaza prendesse la piega che si osserva in queste ore, prosegue Nello Scavo, “perché conosciamo sia la parte israeliana sia Hamas: tutti hanno interesse ad alzare la posta. Ricordiamo che la tregua è regolata da vari passi e siamo ancora alla prima fase, arrivare alle successive sarà molto complicato. L’accordo era in 20 punti, la maggior parte dei quali da regolare con negoziati specifici. Tutto questo inevitabilmente avrebbe provocato dei momenti di tensione; inoltre, non dimentichiamo che in questo momento a Gaza sono attivi anche altri gruppi e altre bande che hanno tutto l’interesse a conquistare spazio, non solo territoriale ma anche politico, mettendo in difficoltà Hamas nel momento in cui lo stesso Trump dice ad Hamas che per qualche tempo dovrà fare il lavoro di polizia a Gaza, che tuttavia, abbiamo visto, ha significato anche esecuzioni sommarie”.
Israele, lo ricordiamo, accusa di essere stato attaccato; potrebbero esserci dietro questi altri gruppi? “Non lo possiamo escludere”, risponde ancora il giornalista, “lì niente è come sembra: bisogna essere molto cauti nelle valutazioni giornalistiche ma anche politiche perché far saltare una tregua vorrebbe davvero dire riaprire la guerra senza sapere più come fermarla”.
“Chi fuori da Gaza può avere interesse a far saltare il tavolo?”
Hamas e lo stesso primo ministro israeliano Netanyahu avrebbero interesse nel riaccendere il conflitto? “No, in questo senso no, ma nel far temere che possa precipitare nuovamente la situazione certamente sì, perché bisogna negoziare ancora non solo il rilascio di altri detenuti palestinesi, ma anche il futuro di Hamas e la vita stessa di alcuni dei leader di Hamas, che sappiamo vivono sostanzialmente sapendo di essere dei morti che camminano, perché Israele non ha mai smesso di ripetere che “dovrà finire il lavoro” per vendicare quello che è successo il 7 di ottobre. Quindi tutti si stanno giocando una partita complicatissima e in un contesto geopolitico difficilissimo, perché nel frattempo è cambiata la storia in Siria; in Iran inoltre sappiamo che anche lì da un momento all’altro potrebbero suonare nuovamente i tamburi di guerra da parte di Israele e degli Stati Uniti… Quindi, quando accade qualcosa a Gaza dobbiamo provare ad allargare lo sguardo e capire chi, fuori dalla Striscia, può avere interesse a far saltare il tavolo ancora una volta”.
Nelle dinamiche di conflitto, questo genere di reazioni “non devono però fare perdere l’equilibrio”, continua Nello Scavo, “perché molto spesso i momenti di guerra non sono accompagnati dal silenzio delle armi: ci sono delle forme di rappresaglia che sono anche un modo per ricordarsi a vicenda che non abbiamo smesso di combatterci”.
In ballo anche i destini personali dei leader
Trump considera inoltre questa tregua come il suo principale successo diplomatico. E quando si è recato a Gerusalemme alla Knesset (il Parlamento israeliano, n.d.r.) “ha compiuto due gesti che vanno sottolineati: il primo è di chiedere al presidente Herzog di prepararsi a concedere la grazia a Netanyahu (coinvolto in vari processi, n.d.r.), preparandone sostanzialmente il sipario, il secondo dicendo a Netanyahu che dovrebbe essere più gentile con Lapid, il capo dell’opposizione centrista: è come se stesse preparando il terreno per il dopo Netanyahu”. Quest’ultimo ha anche delle difficoltà giudiziarie, e oggi c’è stata un’altra udienza di uno dei suoi molti processi. Tuttavia, Netanyahu “non vuole uscire di scena in questo modo”, continua Scavo, “quindi dentro questa partita ci sono anche i destini personali dei leader, che purtroppo pesano anche sulle sorti di tanti civili”.
Tregua non vuol dire pace: è qualcosa che è stato spesso detto. Tuttavia, conclude Nello Scavo, “credo che facciamo bene a sperare in una possibilità di pace, perché a Gaza ci sono persone che in questi anni hanno sofferto non solo a causa della guerra, ma anche perché erano letteralmente tra due fuochi: abbiamo documentato le testimonianze di chi si è espresso contro Hamas, senza per questo giustificare la reazione di Israele: quindi, la tregua offre la possibilità a queste persone di poter costruire anche relazione per un’epoca con una Hamas “normalizzata”. Poi c’è il tema dei due popoli e due Stati, ma qui apriamo ancora un altro capitolo”.
*Nello Scavo è un giornalista italiano, corrispondente del quotidiano Avvenire, specializzato in inchieste su migrazioni, criminalità organizzata e diritti umani. Attraverso reportage dai fronti di guerra – dal Medio Oriente, fino all’Ucraina – ha documentato le rotte dei trafficanti di esseri umani e le violazioni dei diritti dei migranti, ricevendo per questo minacce dalla mafia. Collabora inoltre con la RSI. Tra i suoi libri spiccano I nemici di Matteo e La lista di Bergoglio.







