Il recente attentato al giornalista di Rai 3 Sigfrido Ranucci ha riacceso i riflettori sul tema dei giornalisti sotto scorta in Italia. L’auto di Ranucci, sotto scorta dal 2014, è saltata in aria davanti a casa sua due settimane fa, senza causare feriti ma lanciando un chiaro messaggio intimidatorio al giornalismo d’inchiesta.

L'attentato contro Sigfrido Ranucci e le conseguenze sul giornalismo italiano
SEIDISERA 17.10.2025, 18:00
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Per approfondire la questione, Prima Ora ha intervistato Nello Scavo, anche lui giornalista italiano d’inchiesta, sotto scorta dal 2019. “Nell’ottobre del 2019, è stato sorprendente e traumatico scoprire di essere stato il primo giornalista al mondo sotto tutela dalle forze di polizia del proprio Paese per minacce che arrivano dall’estero”.
Le minacce a Scavo sono legate alle sue inchieste sulla Libia, sui “contatti tra trafficanti libici, istituzioni italiane, criminalità italiana e maltese”. Il giornalista ha anche sottolineato come le autorità italiane siano attente a proteggere i giornalisti minacciati, “c’è una sensibilità in questo senso e anche il mio caso lo dimostra, visto che io non avevo presentato nessuna denuncia e sono le forze dell’ordine che hanno deciso che fosse necessario proteggermi”.
Vivere sotto scorta ha però un impatto significativo non solo sul giornalista, ma anche sulla sua famiglia. “Anche sentendo dell’attentato a Ranucci il primo pensiero è corso alla sua famiglia, perché noi siamo attrezzati – o perlomeno ci raccontiamo di esserlo – per poter fronteggiare la pressione e i pericoli. Per le famiglie però è diverso e vivono costantemente la preoccupazione e il timore di vederci uscire di casa e tornare chissà…”. Un aspetto particolarmente delicato, con il pericolo che può anche toccare direttamente le famiglie, come dimostra l’episodio di Ranucci, la cui figlia è passata vicino all’auto poco prima dell’esplosione.
Il livello di protezione varia a seconda del contesto. “Ci sono informazioni che non vengono rese pubbliche”, rivela Scavo, “quindi in alcuni momenti può sembrare che la scorta non ci sia, in realtà qualcuno con te c’è”. Questo vale anche per i viaggi all’estero, dove la tutela può assumere forme diverse.
Una nuova vita, ma il lavoro non si ferma
Nonostante le difficoltà, Scavo continua il suo lavoro di giornalista d’inchiesta. “La tecnologia un po’ ci aiuta”, spiega, permettendo di contattare le fonti in modo sicuro e tutelandole allo stesso tempo. “Noi ci siamo specializzati proprio su come fare questo”, aggiunge.
Dopo sei anni sotto scorta, quale bilancio trarre? “All’inizio è certamente un’esperienza traumatica, perché devi riadattare la tua vita e tutte le tue abitudini. In questo senso mi ha aiutato anche l’esperienza di colleghi che prima di me sono finiti sotto tutela. E se affronti l’esperienza quasi con la curiosità del giornalista puoi anche capire e imparare tante cose”.
Scavo esprime anche gratitudine verso le istituzioni: “Io sono un giornalista notoriamente critico in Italia verso i governi, in particolare su alcuni temi e indifferentemente dal colore politico. Sapere quindi che un giornalista come me viene protetto dalle stesse istituzioni che lui attacca, mi fa pensare che le nostre democrazie in fondo siano più mature di quello che pensiamo”.





