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La Russia e il Giorno della vittoria

A Mosca si celebra una festa che oltre a essere retaggio del passato dell’Unione Sovietica è anche un elemento d’unione con il presente

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Vladimir Putin

Vladimir Putin

  • Keystone
Di: Stefano Grazioli 

Per Vladimir Putin quello del 2025 è ormai il terzo anniversario rotondo della vittoria sul nazifascismo in quella che viene definita in Russia la Grande guerra patriottica (1941-1945). Prima di questo 80esimo, l’attuale presidente russo ha festeggiato dal Cremlino anche il 70esimo, dieci anni fa, e il 60esimo nel 2005, quest’ultimo con la partecipazione dei maggiori leader occidentali sulla Piazza Rossa. Dopo la primi crisi ucraina e l’avvio della guerra nel Donbass nel 2014 le strade celebrative di Russia, Europa e Stati Uniti si sono però divise. Per la Russia il 9 maggio rappresenta una festa di enorme importanza, retaggio non solo del passato dell’Unione Sovietica, ma anche elemento d’unione con il presente.

Da un lato nessun Paese ha mai subito così tante vittime in un conflitto armato come l’Urss nel contesto della Seconda guerra mondiale (1939-1945): la cifra si aggira intorno ai 27 milioni, in una forbice comunque ampia, tra militari e civili, distribuiti tra le varie repubbliche di cui la Russia era la più vasta e ha pagato il maggiore tributo in valore assoluto. Solo durante l’assedio di Leningrado (dal settembre del 1941 al gennaio del 1944) da parte della Wehrmacht, l’esercito nazista, morirono oltre un milione di persone. Dall’altro lato la memoria e le commemorazioni della Grande guerra patriottica sono sempre stati uno strumento dei regimi, comunista e postcomunista, funzionale alla propaganda, al controllo politico interno e di legittimazione per la politica estera.

Da Stalin a Breznev

Se la prima parata della vittoria si tenne a Mosca il 24 giugno del 1945, nei primi anni del Dopoguerra il 9 maggio non fu elevato a solennità ufficiale come il 1° maggio (festa dei lavoratori) e il 7 novembre (anniversario della Rivoluzione di Ottobre), sia a causa delle conseguenze devastanti del conflitto concretamente presenti in tutta l’Urss, sia per il fatto che la dittatura di Stalin aveva già a disposizione altri e più forti elementi di legittimazione. Anche dopo la morte di quest’ultimo nel 1953 e l’arrivo di Nikita Khrushchev, il giorno della vittoria sul nazifascismo rimase in secondo piano e ci volle del tempo perché diventasse elemento distintivo e validante del sistema di potere a Mosca. Al vero e proprio culto della Grande guerra patriottica si arrivò sotto Leonid Breznev (1964-1982), quando venne trasformato in giorno festivo (nel 1965, nel ventesimo anniversario) e prese sostanzialmente il posto del 7 novembre come elemento centrale della storia sovietica. Breznev era un veterano di guerra e il trionfo sulla Germania di Hitler insieme con la consacrazione del nuovo impero postbellico vennero rappresentati da qui in avanti come i maggiori successi dell’Unione Sovietica.

Dagli anni Ottanta a Putin

L’arrivo di Mikhail Gorbaciov e la fine dell’Urss hanno segnato in seguito il crollo anche dei miti come Stalin e in parte dell’esaltazione della stessa Guerra patriottica, con il 9 maggio comunque tornato a ricoprire un ruolo importante anche nella narrazione di Boris Yelstin, il primo presidente della Russia, diventata nel 1991 uno Stato indipendente, insieme con altre 14 repubbliche dell’Unione Sovietica. Nel 1995 la parata sulla Piazza Rossa del 50esimo anniversario ha indicato il ritorno rapido alla tradizione dei decenni precedenti. È comunque con Vladimir Putin, entrato al Cremlino nel 2000, che la Grande guerra patriottica ha assunto un valore preponderante nella costruzione del sistema di potere. Per Putin, che ha definito la dissoluzione dell’Urss la più grande catastrofe geopolitica del XX secolo, la vittoria sul nazifascismo del 1945 è diventata veicolo principale per sostenere la narrazione della Russia tornata protagonista sulla scacchiera politica internazionale e dal 9 maggio del 2015 utilizzata anche per legittimare la guerra in Ucraina.

La leadership di Kiev è stata infatti accusata genericamente di neonazismo dopo quello che nel 2014 a Mosca è stato considerato un vero e proprio colpo di Stato filoccidentale; il fatto che nell’epilogo sanguinoso della rivoluzione di Euromaidan siano stati attivi vari gruppi paramilitari di estrema destra è servito alla strumentalizzazione nel contesto di un duello geopolitico con gli Stati Uniti e l’Unione Europea che si è allargato nel 2022 con l’invasione su larga scala dell’ex repubblica sovietica. L’obbiettivo della cosiddetta denazificazione dell’Ucraina, inserito ideologicamente nel quadro molto più pragmatico di ridefinizione degli equilibri geopolitici continentali, con la volontà di impedire a Kiev l’ingresso nella Nato, ha saldato in questo modo la memoria distorta del passato e gli obbiettivi militari del presente. Il Nastro di San Giorgio, decorazione introdotto da Stalin durante la Grande guerra patriottica e dal 2005 simbolo ufficiale della vittoria sovietica sul nazifascismo, è diventato così uno degli emblemi della propaganda russa putiniana nella guerra contro l’Ucraina.

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Telegiornale 28.04.2025, 20:00

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