L’analisi

Taiwan, un blocco navale all’orizzonte?

Il bilancio della due giorni di operazioni militari cinesi intorno all’isola, la questione delle isole minori e la frammentazione interna della democrazia taiwanese

  • 25 maggio, 10:42
  • 25 maggio, 11:23
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Un avamposto militare taiwanese su una delle isole minori Kinmen, amministrate da Taipei

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Di: Lorenzo Lamperti

Ampiezza, profondità e rapidità. Sono le tre parole chiave che hanno guidato la due giorni di esercitazioni militari della Cina intorno a Taiwan. Già dal nome, “Spada Congiunta 2024A”, pare probabile che non resteranno le uniche di quest’anno. Si tratta delle terze manovre così estese degli ultimi due anni. Le prime sono state quelle dell’agosto 2022, in risposta alla visita a Taipei di Nancy Pelosi, allora presidente della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti. Le seconde quelle dell’aprile 2023, dopo l’incontro tra l’ex presidente taiwanese Tsai Ing-wen e Kevin McCarthy, successore di Pelosi, in California. Stavolta, l’innesco è stato l’insediamento del neo presidente taiwanese Lai Ching-te, protagonista di un discorso di inaugurazione ben più assertivo e meno ambiguo sulla sovranità rispetto a quelli dei suoi predecessori.

L’Esercito Popolare di Liberazione ha presentato le manovre come una “punizione per gli indipendentisti” di Taiwan e un “severo avvertimento contro interferenze e provocazioni esterne”. Viste le passate coercizioni contro il governo della piu moderata Tsai, difficile pensare che non ci sarebbe stata alcuna reazione con un discorso diverso da parte di Lai, che però certo si è subito mostrato meno incline al compromesso. In passato, si è avuta più volte prova che mostrare i muscoli per la Cina ha un effetto controproducente sul fronte politico, favorendo proprio il Partito progressista democratico (DPP) di Lai. Per questo, a Taipei si davano sì per scontate delle esercitazioni, ma si pensava che Pechino avrebbe aspettato di più per lanciarle. Il presidente Xi Jinping ha invece scelto di muoversi subito, legando in maniera esplicita le esercitazioni a un discorso descritto dai vari media di Stato e dai funzionari cinesi come “provocatorio” e “secessionista”. L’obiettivo, come sempre, è anche e soprattutto quello di mostrare all’opinione pubblica cinese di governare il dossier taiwanese.

Nuove esercitazioni cinesi attorno a Taiwan

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Un impatto inferiore rispetto al 2022

Qual è il bilancio delle esercitazioni Spada Congiunta 2024A? Il loro impatto sui taiwanesi è stato nettamente inferiore rispetto a quelle di agosto 2022. Allora furono lanciati 11 missili balistici, cinque dei quali transitati nello spazio sopra l’isola. Ciò aveva comportato la creazione di zone di interdizione aerea e navale, con la cancellazione di diversi voli civili e momentanei problemi sulle rotte commerciali. Stavolta, non sono state fornite le coordinate precise delle operazioni, il che ha lasciato intendere sin da subito che non ci sarebbero stati lanci balistici. Secondo il ministero della Difesa di Taipei, non sono state effettuate nemmeno esercitazioni a fuoco vivo. La valenza dei lanci balistici è anche e soprattutto psicologica, la loro assenza non dimostra una qualità inferiore delle operazioni. E nemmeno la loro durata, solo due giorni contro i dieci del 2022 e i tre dell’aprile 2023. Anzi, proprio la rapidità mostra la capacità di prendere controllo di tutte le acque intorno ai territori amministrati da Taipei molto rapidamente, evitando dunque interventi esterni.

Un “test di presa del potere” e un possibile blocco navale

Appare chiaro, inoltre, che l’obiettivo principale in questo caso è stato diverso. Più che inscenare una simulazione di invasione anfibia, la sensazione è che la priorità sia stata quella di affinare le capacità di operare un blocco navale. Come ad agosto 2022, è stata diffusa una mappa con cinque aree interessate dalle manovre. Rispetto ad allora il numero di mezzi impiegati appare lievemente inferiore, ma sul fronte qualitativo sono stati impiegati diverse tipologie di mezzi militari. Nella seconda giornata, complici condizioni atmosferiche leggermente migliorate dopo la pioggia di giovedì, sono stati osservati 62 jet, 19 navi da guerra e 7 imbarcazioni della guardia costiera cinese nella regione intorno a Taiwan. In 47 casi gli aerei sono entrati nello spazio di identificazione di difesa aerea taiwanese o hanno oltrepassato la linea mediana, sorta di “confine” sullo Stretto non riconosciuto ma ampiamente rispettato sino ad agosto 2022. Non si tratta di un record: durante le esercitazioni di aprile 2023 si erano mossi 71 jet, con il coinvolgimento della portaerei Shandong.

Stavolta niente portaerei ma, durante la prima giornata, pattugliamenti congiunti in modalità di combattimento. Nella seconda giornata le operazioni si sono concentrate su simulazioni di attacchi congiunti contro “obiettivi chiave”, sia civili sia militari, in quello che il portavoce dell’esercito cinese Li Xi ha definito un “test di presa del potere”.

L'avvertimento cinese a Taiwan

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La mappa delle manovre rende chiari quali sono questi obiettivi: i luoghi simbolo del potere politico a Taipei, le importanti basi militari della costa orientale e la città meridionale di Kaohsiung, dove si trova il principale porto di Taiwan e suo sbocco sul mar Cinese meridionale. Potrebbero essere questi alcuni degli obiettivi da colpire in un ipotetico scenario di blocco navale. Le esercitazioni volevano restituire un senso di accerchiamento, visto che le aree di manovra hanno occupato tutti i lati dell’isola principale di Taiwan, compresa la costa orientale. Anzi, è proprio al largo della città orientale di Hualien (epicentro del forte terremoto dello scorso aprile) che i mezzi cinesi si sono maggiormente avvicinati alle coste taiwanesi. Si tratta di un segnale rilevante, perché il fronte orientale dell’isola (affacciato verso il Pacifico) è l’unico da cui potrebbero arrivare ipotetici aiuti dall’esterno. Non a caso, in quest’area è stato simulato il bombardamento di navi straniere. Un messaggio a Stati Uniti e Giappone. Per la prima volta, inoltre sulla costa orientale sono state impegnate anche le navi della guardia costiera in operazioni di ispezione e controllo delle acque. In questo caso il segnale è più simbolico, come a dire che Taiwan è inglobata nelle acque cinesi, con lo Stretto (affacciato sulla costa occidentale dell’isola) trasformato in una sorta di “mare interno”.

Lo scenario del blocco navale è particolarmente appetibile per Xi, anche perché replicherebbe il “modello Pechino” con cui nel 1948 i comunisti di Mao Zedong conseguirono una vittoria fondamentale contro i nazionalisti di Chiang Kai-shek: un lungo e paziente accerchiamento di due mesi, con il blocco di tutti i rifornimenti, che forzò i rivali alla resa. Una strategia che alcuni analisti cinesi immaginano di replicare per raggiungere una “riunificazione intelligente” con Taiwan.

Un eventuale futuro blocco navale giocherebbe su due grandi debolezze di Taipei: la forte dipendenza dall’export e la totale dipendenza dall’approvvigionamento energetico. Si stima che un blocco di circa tre settimane potrebbe portare a un sostanziale esaurimento delle scorte energetiche. Non a caso l’opposizione chiede a gran voce di reinserire il nucleare nel paniere energetico, un tema divenuto tabù dopo il disastro del 2011 a Fukushima causato dal maremoto e terremoto del Tohoku. Gli scettici sottolineano come anche Taiwan sia un’area di grande attività sismologica.

La questione delle isole minori

Un’altra novità importante delle esercitazioni di questi due giorni è stata l’inclusione delle isole minori. Kinmen, Matsu, Dongyin e Wuqiu sono tutte amministrate da Taipei, ma si trovano a pochi chilometri di distanza dal Fujian cinese. Nel caso di Kinmen, nel punto più vicino ci sono meno di cinque chilometri a separarla dalla metropoli di Xiamen. Intorno a queste isole, si è mossa la guardia costiera cinese, arrivando anche a meno di tre miglia nautiche da Wuqiu e in almeno quattro casi valicando le cosiddette “acque proibite”, cioè quelle più vicine alla costa. Sono pressoché impossibili da difendere ma le opinioni sull’opportunità di Pechino di invaderle come “stress test” sono contrastanti. Prendere queste isole senza il bersaglio principale (cioè l’isola di Taiwan) potrebbe avere pesanti controindicazioni. Il principale sarebbe quello di concedere tempo a Taiwan e alleati di prepararsi a difendere l’isola principale, mentre le operazioni Spada Congiunta hanno mostrato proprio l’obiettivo opposto: la rapidità. Un’azione isolata contro una di queste isole rischierebbe inoltre di recidere l’unico canale di comunicazione politico rimasto tra le due sponde, visto che hanno tutti governi locali dialoganti. Potrebbe invece essere diverso il discorso sulle Dongsha, isolotti non lontani dal Guangdong e da Hong Kong. Essendo disabitati, in quel caso un’azione preventiva sarebbe più indolore.

Importante anche sottolineare che cosa “non” è successo durante le esercitazioni. A Taipei, c’era preoccupazione per possibili incursioni entro le 24 miglia nautiche dalle coste dell’isola principale. È quella la soglia che segna l’ingresso nelle acque contigue ed è lì che l’esercito taiwanese dispiega abitualmente i suoi mezzi per impedire manovre rivali. Come accaduto nelle due precedenti occasioni, pare che navi e jet cinesi siano arrivati a lambire quel “limite” ma senza superarlo, evitando confronti troppo ravvicinati con navi e jet taiwanesi. Circostanza che ha dunque reso possibile evitare il verificarsi di incidenti non voluti, passibili di causare un’escalation.

La narrazione politica per favorire l’opposizione interna a Lai

Interessanti anche i segnali politici. Sul Quotidiano del Popolo di venerdì 24 maggio, una pagina intera è dedicata alle esercitazioni. Appare anche un articolo con delle rare interviste a taiwanesi residenti in Cina continentale. Tutti ovviamente danno la colpa delle tensioni al discorso “separatista” di Lai, ma il segnale interessante è quello di un tentativo di presentare quasi il neo presidente e il suo partito come dei “corpi estranei” all’interno di un’opinione pubblica taiwanese raccontata invece come più favorevole a Pechino. La strategia è funzionale al tentativo di rafforzare l’opposizione interna a Lai, ma anche a comunicare all’esterno che qualsiasi azione cinese è giustificata perché il suo presidente “tradisce il desiderio di pace dei compatrioti di Taiwan”.

Una narrativa alimentata dal fatto che il partito di governo ha perso la maggioranza al parlamento taiwanese, dove da giorni vanno in scena scontri anche fisici tra deputati per il tentativo dell’opposizione di approvare una riforma che darebbe maggiore potere al ramo legislativo. Ipotesi osteggiata da Lai, che prova a cavalcare le proteste contro la legge, con diversi attivisti che sostengono possa minare le fondamenta della democrazia taiwanese.

Turbolenze esterne e frammentazione interna: la sensazione è che Taiwan si trovi di fronte a un periodo movimentato.

Taiwan: William Lai insediato quale presidente

Telegiornale 20.05.2024, 12:30

RG 7.00 del 23.05.2024 Il servizio di Lorenzo Lamperti

RSI Mondo 23.05.2024, 07:33

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