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"Una sola Cina": cosa significa?

Cina e Taiwan fra passato e presente, il ruolo centrale e l'ambiguità della politica statunitense

  • 3 maggio 2023, 19:07
  • 18 dicembre 2023, 07:31

La Svizzera è più vicina a Taiwan

SEIDISERA 03.05.2023, 18:27

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Di: Stefano Pongan

"L'assemblea generale (...) decide di ristabilire tutti i diritti della Repubblica popolare cinese e di riconoscere i rappresentanti del suo Governo come i soli legittimi rappresentanti della Cina alle Nazioni Unite e di espellere di conseguenza i rappresentanti di Chiang Kai-shek dai posti che, senza averne diritto, hanno occupato all'ONU e nelle organizzazioni ad essa legate": è un estratto della (breve) risoluzione 2758 del 25 ottobre 1971, che ha segnato una svolta nella situazione politica della Repubblica popolare cinese e della Repubblica di Cina, che da qui in avanti chiameremo per chiarezza Cina e Taiwan e che erano state rivali per il riconoscimento internazionale sin dal 1949.

Dal 1971 la Repubblica popolare cinese rappresenta legittimamente la Cina all'ONU, i rappresentanti taiwanesi vennero esclusi

Dal 1971 la Repubblica popolare cinese rappresenta legittimamente la Cina all'ONU, i rappresentanti taiwanesi vennero esclusi

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In quell'anno i comunisti di Mao Zedong vinsero la guerra con i nazionalisti, i quali fuggirono sull'isola un tempo conosciuta come Formosa - "la bella", nome datole dai navigatori portoghesi nel XVI secolo - e su altre isole minori di importanza geografica, strategica e storica però non indifferenti, come vedremo in seguito. Fino a quel 1971, la Cina rappresentata sulla scena internazionale era stata quella nazionalista.

La grande svolta statunitense

La svolta alle Nazioni Unite vide la Cina ereditare non solo un seggio nell'Assemblea ma anche nel Consiglio di sicurezza e fu seguita dalla progressiva normalizzazione delle relazioni fra Washington e Pechino, favorita quest'ultima anche da considerazioni geostrategiche legate al conflitto in atto in Indocina. Preparato da una visita di Henri Kissinger nel luglio del 1971, il viaggio del presidente Richard Nixon alla fine di febbraio del 1972 sfociò nel comunicato di Shanghai in cui gli Stati Uniti riconoscevano che per i cinesi su entrambi i lati dello stretto "c'è una sola Cina e che Taiwan fa parte della Cina".

La stretta di mano fra Mao e Nixon nel 1972

La stretta di mano fra Mao e Nixon nel 1972

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Alla fine del 1978, poi, sotto la presidenza di Jimmy Carter, Washington e Pechino decisero formalmente di avviare relazioni diplomatiche a partire dall'inizio del 1979. Quelle fra Washington e Taiwan vennero di conseguenza interrotte. In un discorso, il 15 dicembre Carter affermò che "gli Stati Uniti riconoscono il Governo della Repubblica popolare cinese quale unico Governo legale della Cina ma, in questo contesto, manterranno relazioni culturali, commerciali e altri rapporti non ufficiali con Taiwan". Carter disse che il Governo degli Stati Uniti riconosceva "la posizione cinese che c'è solo una Cina e che Taiwan è parte della Cina". Le rispettive ambasciate vennero aperte in marzo. Nell'accordo le due parti si impegnavano a non ricercare un ruolo egemonico nella regione dell'Asia e del Pacifico. Venivano inoltre riaffermati dalla Casa Bianca i principi di Shanghai per una "risoluzione pacifica" della questione taiwanese.

L'allora vicepremier cinese Deng Xiaoping e Jimmy Carter nel 1979, anno della normalizzazione dei rapporti diplomatici fra Cina e Stati Uniti

L'allora vicepremier cinese Deng Xiaoping e Jimmy Carter nel 1979, anno della normalizzazione dei rapporti diplomatici fra Cina e Stati Uniti

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A parole, quindi, un chiaro riconoscimento del fatto che Taiwan è cinese. In pratica meno: si lasciava aperto uno spiraglio, un margine di manovra e di ambiguità all'interno del quale ancora oggi si muove la politica di Washington e che venne sancito anche dal fondamentale Taiwan Relations Act del Congresso nel 1979, che Carter firmò. Vi si legge che la normalizzazione dei rapporti con la Cina presuppone la "soluzione pacifica" di cui sopra. La legge permette la vendita a Taiwan di armi per la propria difesa e agli Stati Uniti di "resistere a qualsiasi ricorso alla forza o ad altre forme di coercizione che metterebbero a repentaglio la sicurezza, o il sistema sociale o economico, del popolo di Taiwan". Nel 1982, l'amministrazione di Ronald Reagan completò il quadro fornendo sei rassicurazioni a Taipei, che in parte contrastano con quanto promesso contemporaneamente sull'altro fronte a Pechino.

Taiwan ha rapporti diplomatici con 13 Paesi

La politica di "una sola Cina" e le ambiguità ad essa connesse non sono proprie solo degli Stati Uniti ma anche di molti altri Paesi e in sostanza dell'intero Occidente. "A nostro avviso - ha sottolineato di recente il capo della diplomazia europea Josep Borrell - esiste una sola Cina. Ma non a qualsiasi condizione. E certamente non attraverso l'uso della forza". Si riconosce quindi la posizione di Pechino, ma nel contempo ci si oppone a una modifica unilaterale dello statu quo con il quale oggi de iure Taiwan non è un Paese indipendente.

L'American Institute in Taiwan, non è ufficialmente un'ambasciata

L'American Institute in Taiwan, non è ufficialmente un'ambasciata

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De facto però sì dal profilo dell'autogoverno, sebbene escluso da molte organizzazioni internazionali e senza relazioni diplomatiche con la maggior parte degli Stati sovrani. Pechino e Taipei non hanno rapporti ufficiali con chi ne intrattiene con l'altra parte e - dopo le più recenti defezioni di Nicaragua e Honduras - restano in 13 ad aver scelto Taiwan, quasi tutti molto piccoli. Il più grande è il Paraguay, il più significativo - sotto un certo punto di vista - la Città del Vaticano.

SEIDISERA 18.00 del 23.04.2023 La corrispondenza di Anna Riva

RSI New Articles 28.04.2023, 18:20

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La posizione della Svizzera

La Confederazione ha nuovamente chiarito la sua posizione molto di recente, il 19 di aprile, quando il Consiglio federale ha approvato un rapporto conseguente a un postulato proveniente dal Consiglio nazionale e riguardante la possibilità di relazioni più strette. La politica di "una sola Cina" è stata adottata dalla Svizzera sin dal 1950 e in virtù di essa Berna non riconosce Taiwan come Stato indipendente, si legge nel documento. Relazioni diplomatiche e sottoscrizione di accordi internazionali sono pertanto esclusi. Restano possibili, invece, rapporti culturali, scientifici, economici (il volume di scambi è cresciuto dai 2,5 miliardi di franchi del 2014 ai 3,7 del 2021), contatti fra parlamentari (esiste un gruppo di amicizia, di cui alcuni esponenti hanno di recente visitato Taiwan suscitando le ire di Pechino) e visite di esponenti anche di alto rango dell'amministrazione, da ultimo l'allora segretario di Stato alla ricerca e all'innovazione Mauro Dell'Ambrogio nel 2017.

Come è cambiata la posizione taiwanese

La Repubblica di Cina ha a sua volta difeso apertamente e a lungo il principio di "una sola Cina", ma con un'interpretazione opposta a quella di Pechino. Il Kuomintang, in particolare sotto la guida di Chiang Kai-shek (morto nel 1975) e di suo figlio Chiang Ching-kuo (deceduto nel 1988) coltivò l'idea di una ritorno sul continente e di una riunificazione sotto la propria guida. Dopo la democratizzazione dell'isola una trentina di anni fa, oggi il partito più forte è quello progressista democratico (PPD) della presidente Tsai Ing-wen, che alla sua rielezione nel 2020 ha invitato il potente vicino a prendere atto della situazione de facto: "Non abbiamo bisogno di dichiararci indipendenti perché lo siamo già", ha affermato.

Una proclamazione ufficiale, per altro, potrebbe scatenare la reazione di Pechino, che continua a sostenere una riunificazione se possibile pacifica ma senza escludere l'ipotesi militare, quale ultima ratio se le altre vie fossero precluse. Tsai si oppone anche all'idea di "un Paese, due sistemi" che la Cina ha adottato dopo aver recuperato Hong Kong nel 1997.

Dentro una fabbrica di Foxconn a Guyiang, in Cina

Dentro una fabbrica di Foxconn a Guyiang, in Cina

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Nel frattempo, però, le relazioni economiche fra Taipei e Pechino iniziate con la fine del bando ai viaggi dall'isola verso la Cina popolare nel 1987 sono diventate molto strette. Non solo si è sviluppato il turismo, la Cina continentale è oggi destinataria di esportazioni taiwanesi per ben più di 100 miliardi di dollari annui e anche di importanti investimenti di imprese che, come il colosso dei microprocessori Foxconn, fornitore di Apple, vi trovano manodopera (e mercato).

Un po' di geografia...

Contrariamente a quanto si tende a credere, Taiwan non è costituito unicamente dall'isola che un tempo si chiamava Formosa, per quanto essa formi la parte di gran lunga più significativa del suo territorio, che per superficie è inferiore a quello svizzero mentre la popolazione è tripla, quasi 24 milioni. Taipei amministra anche alcuni arcipelaghi. Come Formosa, le isole Penghu erano state cedute dalla Cina al Giappone nel 1895 con il trattato di Shimonoseki che mise fine alla prima guerra sino-giapponese. Pechino le recuperò con trattati e dichiarazioni (del Cairo, di Potsdam e di San Francisco) che determinarono la resa nipponica alla fine della Seconda guerra mondiale. Allora al potere c'erano ancora i nazionalisti cinesi. Ci sono però fra gli altri anche due gruppi di isole, quelli di Kinmen e la contea di Lienchiang (le isole Matsu) che distano letteralmente un tiro di schioppo dalle coste cinesi.

... e un po' di storia

Furono proprio queste a essere teatro degli scontri fra i due Paesi subito dopo la fine della guerra civile e la proclamazione della Repubblica popolare cinese nel 1949. Inizialmente Washington sembrava incline ad abbandonare Chiang Kai-shek al proprio destino ma cambiò posizione dopo lo scoppio della guerra di Corea, quando inviò nell'area la settima flotta. Un'invasione cinese di Taiwan non avvenne, ma negli anni seguenti si verificarono le crisi dello Stretto di Formosa.

Kinmen dista pochi chilometri dalla costa cinese

Kinmen dista pochi chilometri dalla costa cinese: venne bombardata negli anni '50

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Nel 1954, dopo lo spiegamento da parte di Chiang di migliaia di soldati, la Cina bombardò dapprima Kinmen e poi anche le Matsu e le Dachen, un altro gruppo di isole più a nord-est. Il presidente Dwight Eisenhower ricevette dal Congresso pieni poteri per difendere Taiwan e le sue isole e la Casa Bianca valutò anche l'ipotesi del ricorso all'atomica. La Cina, che non era certo la potenza militare di oggi, scelse di negoziare. Chiang Kai-shek fu intanto convinto da Washington ad abbandonare le Dachen. La situazione si ripropose nel 1958 e anche in quel caso gli Stati Uniti intervennero accanto a Taiwan per disinnescare la crisi.

La crescita cinese e il contesto attuale

Ma facciamo un salto dal passato al presente. Cosa ci aspetta? Di fronte a interessi divergenti - quello cinese, quello taiwanese e quello degli Stati Uniti e dei loro alleati nell'area, come il Giappone e la Corea del Sud, ed europei - le fondamenta dello statu quo oggi sembrano scricchiolare sempre più. Già con Barack Obama alla presidenza e con Hillary Clinton segretaria di Stato, gli Stati Uniti hanno iniziato a rivolgere maggiore attenzione all'area dell'Asia e del Pacifico. E con Donald Trump hanno attivamente contrastato la crescita cinese con l'introduzione di dazi. Se rieletto alle prossime presidenziali, il magnate ha persino promesso persino di mettere fine all'import cinese.

Trump e Xi Jinping nel 2017: l'ex presidente statunitense, con la "guerra dei dazi", aveva cercato di ridurre il surplus commerciale cinese nei confronti degli Stati Uniti

Trump e Xi Jinping nel 2017: l'ex presidente statunitense, con la "guerra dei dazi", aveva cercato di ridurre il surplus commerciale cinese nei confronti degli Stati Uniti

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Pechino ha grandemente approfittato dell'ingresso nell'Organizzazione mondiale del commercio nel 2001: è cresciuta a un ritmo vertiginoso, è diventata la seconda economia mondiale (già la prima se si aggiusta il dato in base al potere di acquisto), è la prima detentrice di debito statunitense e vanta nei confronti di Washington un surplus commerciale che nel 2018 ha toccato un record di 418 miliardi di dollari. Gli Stati Uniti stanno cercando di frenare lo sviluppo cinese colpendo anche i trasferimenti di tecnologia - la Cina è in ritardo sulla produzione dei chip di ultima generazione - e tentando nel contempo di recuperare terreno nel settore chiave dei semiconduttori.

La Cina, dopo l'ingresso nell'Organizzazione mondiale del commercio nel 2001, è cresciuta a dismisura

La Cina, dopo l'ingresso nell'Organizzazione mondiale del commercio nel 2001, è cresciuta a dismisura

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Non si parla però solo di economia: la Cina cresce anche militarmente, non nasconde le sue rivendicazioni nel Mar Cinese meridionale e nel 2022 è stata indicata dalla NATO come "la prossima sfida per la sicurezza". Pechino ha reagito affermando che l'Alleanza atlantica sta “sfruttando la crisi ucraina per ricostruire i blocchi” e che vuole espandersi anche nel Pacifico. La crisi dei palloni spia quest'anno ha contribuito a questo clima surriscaldato. La Cina, secondo un documento sulla strategia di sicurezza nazionale pubblicato dall'amministrazione Biden, "è l’unico attore che intende riformare l’ordine internazionale e che ha le risorse economiche, diplomatiche, militari e tecnologiche per farlo”.

Manovre e Giochi di guerra

Stando a un libro datato 2017 delllo studioso statunitense Graham Allison, per effetto della cosiddetta "trappola di Tucidide", quando una potenza emergente minaccia di spodestare quella dominante, l'eventualità più probabile è quella di un conflitto e Taiwan potrebbe essere la miccia di questo conflitto.

RG 12.30 del 30.06.2022 La corrispondenza di Gabriele Battaglia sul concetto strategico della NATO che cita la Cina

RSI Mondo 30.06.2022, 13:31

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Alla presenza militare statunitense nella regione e alle "provocazioni diplomatiche" statunitensi, come la visita a Taipei della ex speaker della Camera Nancy Pelosi e quella negli Stati Uniti della presidente taiwanese Tsai Ing-wen, ricevuta dal successore di Pelosi, Kevin McCarthy, Pechino ha reagito con crescente irritazione, in aprile con vaste manovre militari che hanno "circondato" l'isola. "Pace e indipendenza di Taiwan sono scenari che si escludono a vicenda", ha detto il portavoce del Ministero degli esteri cinese.

Tsai Ing-wen con Kevin McCarthy, il 5 aprile di quest'anno in California

Tsai Ing-wen con Kevin McCarthy, il 5 aprile di quest'anno in California

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Negli ultimi anni Washington non ha ufficialmente cambiato la sua posizione ufficiale riguardo a Taiwan, ma ha lanciato segnali contrari alla politica di ambiguità strategica perseguita negli ultimi decenni. La scheda informativa sui rapporti bilaterali pubblicata sul sito del Dipartimento di Stato è stata corretta nel 2022 e si apre con un riferimento all'importanza dell'isola come partner commerciale e scientifico e ai valori democratici in comune. Vi si precisa che la Casa Bianca "non sostiene l'indipendenza di Taiwan" ma nel contempo sparisce ogni riferimento diretto alla politica di "una sola Cina", a profitto di un riferimento indiretto ai documenti su cui era fondata e che abbiamo citato in precedenza.

Esercitazioni militari, cresce la tensione a Taiwan

Telegiornale 10.04.2023, 12:30

Washington ribadisce di opporsi a qualsiasi cambiamento con la forza dello statu quo e il presidente Joe Biden aveva dichiarato in settembre che gli Stati Uniti interverrebbero militarmente in caso di invasione. Con quali conseguenze se ciò dovesse accadere? Secondo i "giochi di guerra" del Center for strategic and international studies, una ventina di simulazioni diverse realizzate in gennaio, senza l'intervento militare statunitense la Cina invaderebbe con successo Taiwan. Lo scenario ucraino, con rifornimenti militari occidentali dall'esterno, non sarebbe praticabile visto che Taiwan è un'isola e potrebbe essere più facilmente isolata. All'opposto, le simulazioni con un intervento "totale" di Washington vedrebbero la Cina verosimilmente sconfitta, ma al prezzo di perdite elevatissime per tutte le parti coinvolte.

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