Ogni giorno, nei centri di cura della Svizzera italiana, giovani apprendiste/i come Rim imparano a prendersi cura degli altri con rispetto e delicatezza. “Ci sono delle persone che hanno bisogno di aiuto e contano su di me”, racconta Rim, arrivata dalla Tunisia con una laurea in economia e una nuova vocazione. Ma non tutti riescono a resistere. Sheila, ex infermiera di cure intense, confessa ai microfoni di Falò: “Io mentalmente ho fatto un burnout, ma anche il mio fisico… ho sviluppato una fibromialgia.” Ha lasciato dopo 30 anni di lavoro. Joyce, dopo anni in ospedali della Svizzera tedesca e italiana, ha lasciato tutto per diventare piercer: “Ho scelto di fare l’infermiera per le relazioni umane, però a un certo punto ne andava della mia salute, non riuscivo più a dormire, notavo sempre di più la mancanza di relazione col paziente, sempre molta più documentazione.”
I numeri e i volti della crisi
In Svizzera ci sono 18mila posti vacanti nel settore sociosanitario. In Ticino, nel 2024, c’erano addirittura 800 persone del settore che risultavano disoccupate. Un paradosso e un’emergenza che si spiegano con gli abbandoni: uno su tre lascia la professione prima del tempo. Ancora Joyce: “A Zurigo lavoravo nel reparto di chirurgia e di notte eravamo due infermiere e un’assistente di cura per 30 posti letto. Le ore di straordinario erano quotidiane, si rimaneva due ore in più per terminare la documentazione. Mancava talmente tanto personale che l’ospedale ci premiava con un bonus e una busta paga in più se trovavamo infermieri che venissero a lavorare”.
E se in Ticino si tampona la cronica carenza di personale attingendo dall’Italia con una media di 30% di personale frontaliero, nella Svizzera interna si assiste alla chiusura di interi reparti, alla mancanza di posti letto. Un esempio ci viene dalla casa per anziani di Kriens, canton Lucerna, dove un reparto è rimasto chiuso per sei mesi. “Avevamo la fila fuori, ma non potevamo accogliere nessuno”, spiega alla RSI Marco Borsotti, presidente uscente di Heime Kriens. Le strutture si affidano sempre più a personale temporaneo: “Senza non potremmo tenere in funzione le istituzioni”, ammette. Ma è personale molto più caro, e i costi della salute, già di per sé alle stelle, crescono in modo vertiginoso.

Formazione e flessibilità: le risposte possibili
La formazione accelera, ma non basta. Dove si investe nel benessere, si riducono gli abbandoni. Alle case per anziani di Coldrerio e Morbio Inferiore, il direttore John Gaffuri punta su una cultura partecipativa: “Se un collaboratore entra con il sorriso, siamo più tranquilli che avrà una buona relazione con i residenti”. All’Ente Ospedaliero Cantonale, la responsabile dell’Area sanitaria Annette Biegger sottolinea: “Dobbiamo uscire da schemi rigidi e trovare nuovi sistemi per andare incontro alle persone”. La parola magica è “conciliazione lavoro/vita privata”. Il pool di sostituzione e i turni flessibili sono tra le soluzioni che si iniziano ad adottare.
Il tempo ritrovato
Molte/i curanti scelgono le cure a domicilio o l’indipendenza per ritrovare il tempo perduto. È il caso di Sheila: “Io sono andata a fare l’infermiera indipendente, perché sono io capo di me stessa e posso decidere il mio tempo, sono tornata ad avere l’umanità e il poter rapportarmi con il paziente, vengo apprezzata e non ho più quell’ansia, quell’angoscia.”
Dal canto suo Jenny, infermiera a domicilio, racconta: “Diventiamo parte della famiglia, ci invitano ai compleanni, ai matrimoni”.
Ma anche qui non mancano le difficoltà. Teresa Chiaravallotti, responsabile di Cura Suisse, denuncia: “Ogni volta che qualcuno se ne va, è come ricominciare da capo”. Il riferimento è in particolare al personale specializzato. E i salari restano un freno, poiché in questa categoria la scala è un’altra e più bassa: “Ti porto dieci anni di esperienza e non ne tieni conto”, lamenta.

La cura sotto pressione - seconda parte
Falò 21.10.2025, 21:00
Le relazioni perdute
Ci vuole tempo e personale per tornare a mettere al centro la relazione con il paziente. La denuncia viene anche dalle case per anziani. Anthea, infermiera a Biasca, confessa che c’è il tempo per svolgere il lavoro di routine con le/gli ospiti ma manca quello per “la coccola in più”, per stare con loro: “Spesso ci troviamo a dire ‘passo dopo’, ma sono momenti in cui sarebbe giusto fermarsi”.
A questo si aggiunge anche uno strumento di documentazione dello stato clinico del paziente. Si chiama RAI, è usato per fare una fotografia dello stato di salute del residente di casa per anziani, ma “non riconosce tutto il lavoro relazionale, di prevenzione, di ascolto”, ci spiega Francesca Saltamacchia del sindacato OCST. E il problema sta che viene usato per calcolare il fabbisogno di personale, che sarà quindi sottostimato non riconoscendo appunto tutto il lavoro relazionale che nelle case di riposo è al centro del lavoro dei curanti e che prende più tempo.
Ma è in generale, in tutte le strutture di cura che la relazione ne risente, anche perché tutto il lavoro burocratico ha preso il sopravvento; ce lo ricorda l’ex infermiera Joyce: “Bisogna tornare a dare più importanza alle relazioni umane e non alla documentazione scritta”.
Una legge attesa, una rotta da invertire
Sono passati quattro anni dal successo dell’iniziativa “Per cure infermieristiche forti”, eppure si attende ancora una legge che migliori concretamente le condizioni di lavoro. E intanto l’emergenza si acuisce pensando anche agli anni a venire, in cui si prevede un raddoppio della popolazione over 80, concretamente in Ticino. Il personale tutto, le associazioni di categoria e i sindacati annunciano così per il 22 di novembre una giornata di manifestazione a Berna. I risparmi annunciati sulle spese sanitarie non devono mettere in discussione quanto la popolazione ha rivendicato a gran voce, la politica deve mettere l’emergenza personale sanitario in cima alle sue priorità.