Il “Poli” di Zurigo: orgoglio scientifico nazionale e – con un pizzico di sano campanilismo - anche alma mater di architetti ticinesi del calibro di Livio Vacchini, Luigi Snozzi, Aurelio Galfetti, Flora Ruchat-Roncati, o Tita Carloni, tanto per citarne alcuni tra i più celebri della cosiddetta “Scuola ticinese”: una corrente che seppe vedere ben oltre le consuetudini della propria epoca. Già, perché è proprio di tale disciplina che vorremmo parlavi: di architettura. E di come le sue avanguardie continuino a conquistare il mondo.
Il 10 maggio scorso è stata inaugurata la 19. Mostra Internazionale di Architettura nella città lagunare. La nostra collega Emanuela Burgazzoli si è premurata di consegnarci un bell’articolo sul Padiglione svizzero.
https://rsi.cue.rsi.ch/cultura/arte/La-forma-finale-%C3%A8-determinata-dall%E2%80%99architetta-sul-cantiere--2830721.html
Sorprendentemente, tuttavia, non è soltanto lì che si trova concentrato e circoscritto il savoir-faire elvetico in materia architettonica. In questa edizione 2025, curata dall’architetto e urbanista italiano Carlo Ratti, il focus è dichiaratamente architettato – è proprio il caso di dirlo – attorno all’intelligenza. Un’intelligenza messa al servizio di chi dovrà ripensare l’ambiente costruito nei prossimi decenni.
Nell’età dell’adattamento, l’architettura deve attingere a tutte le forme di intelligenza: naturale, artificiale, collettiva. Nell’età dell’adattamento, l’architettura deve rivolgersi a più generazioni e a più discipline, dalle scienze esatte alle arti. Nell’età dell’adattamento, l’architettura deve ripensare il concetto di autorialità e diventare più inclusiva, imparando dalle scienze
Carlo Ratti, curatore della 19. Mostra Internazionale di Architettura, Biennale di Venezia
Una Biennale, dunque, molto “scientifica” per certi versi. Ed è in questo contesto che sicuramente il Politecnico di Zurigo ha trovato terreno fertile e tanta ispirazione.
La fabbricazione digitale come motore di avanguardia
Tutto prende inizio nel 2014. Presso l’ETHZ viene avviato il Centro nazionale di competenza di ricerca nella fabbricazione digitale, il DFAB. Il primo Centro di competenza sostenuto dal Fondo Nazionale Svizzero per la Ricerca Scientifica interamente incentrato su architettura e costruzione. L’obiettivo dichiarato è trasformare l’architettura attraverso la perfetta combinazione di tecnologie digitali e processi costruttivi fisici. Oltre cento ricercatori provenienti da sei diverse discipline accademiche collaborano oggi per sviluppare tecnologie rivoluzionarie per l’edilizia del futuro. I partner accademici sono davvero numerosi: dall’EPF di Losanna alle SUP di Berna e Lucerna, dall’EMPA all’USI e SUPSI di Mendrisio.

Atelier DFAB presso il Campus di Hönggerberg
Recatevi presso il cantiere più vicino a voi e non vedrete nulla di ciò che viene sviluppato e prodotto sul campus dell’ETHZ di Hönggerberg. Eppure, aggirandosi negli atelier del DFAB si percepisce che qualcosa sta per sbocciare. Che i tempi sono maturi per le nuove leve dell’architettura e dell’edilizia, che vedremo all’opera tra cinque o al massimo dieci anni. È una rivoluzione discreta, che ci ricorda un po’ quanto avvenuto con l’auto elettrica. Soltanto dieci anni fa nessuno ci avrebbe davvero scommesso, eppure oggi in Svizzera circolano più di 200’000 veicoli interamente elettrici. Certo: rappresentano soltanto poco più del 4% di tutte le auto in circolazione, ma sono una realtà ormai consolidata e destinata a crescere.
La fabbricazione digitale include l’utilizzo di algoritmi sofisticati in fase di progettazione, l’impiego di tecniche di assemblaggio “collaborativo” uomo-robot, l’uso di stampanti 3D per realizzare casseri complessi, una prefabbricazione al millesimo di millimetro e un calcolo di dosaggio dei materiali che evita anche il più piccolo spreco. Una lista ben lungi dall’essere esaustiva. Di fatto, la riforma digitale nella costruzione è soprattutto una trasformazione culturale. Lo sanno benissimo i numerosi ricercatori che da tutto il mondo arrivano a Zurigo per discutere di come la digitalizzazione potrà cambiare i parametri nella progettazione, offrendo più libertà e creando quindi un vero plusvalore.

L'edificio NEST presso l'EMPA a Dübendorf
Idealmente, con la stampa in 3D è possibile che la complessità della geometria non costituisca un fattore di tempo, né di costi. Questo significa, inoltre, che i progetti architettonici molto sofisticati – con geometrie e forme molto complesse – potranno essere alla portata di tutti e non solo di committenti facoltosi. Siamo profondamente convinti che le nuove tecnologie siano in grado di plasmare il nostro ambiente e di costruirlo in modo più ricco e differenziato
Benjamin Dillenburger, professore e membro di Direzione di DFAB
Il giardino di Albert aveva incontrato il Prof. Dillenburger nel 2018, quattro anni dopo l’avvio del Centro di competenza DFAB. Nel servizio qui sotto vi avevamo illustrato i primi progetti, con un’attenzione particolare all’edificio sperimentale NEST, presso l’EMPA a Dübendorf.

Architetture digitali
RSI Info 16.12.2018, 18:10
Le ambizioni iniziano a prendere una forma concreta
Oggi – sette anni dopo – i tempi sono cambiati. Apparentemente gli spazi di DFAB a Hönggerberg hanno sempre l’aria di un laboratorio di magnifiche utopie sospeso tra arte e scienza, ma nel frattempo sono nate ben nove spin-off. Aziende a tutti gli effetti, ormai pronte a fare il loro ingresso nei cantieri “veri”. Senza contare i 61 partner industriali, tra i quali dei giganti come ABB, Basf, Sika o LafargeHolcim. Dulcis in fundo, lo scorso 20 maggio è stata aperta al pubblico la “Torre Bianca” (Tor Alva) a Mulegns, nel Canton Grigioni.

Torre Bianca
RSI New Articles 20.05.2025, 20:00
La torre – commissionata dalla Nova Fundaziun Origen – è attualmente l’edificio più alto al mondo interamente costruito a partire da elementi stampati in 3D. Progettata dal Prof. Dillenburger con l’architetto Michael Hansmeyer, la torre si è avvalsa di tutta la competenza del Centro DFAB e di due delle sue nove spin-off : MESH AG e Saeki AG.
Torniamo quindi a Venezia. Che cosa possiamo vedere alla “Poliennale”?
Non meno di dieci realizzazioni, frutto di collaboratori o ex-studenti/ricercatori del “Poli”, sparse tra gli spazi dell’Arsenale, di Palazzo Mora e di tre Padiglioni nazionali: quello canadese, quello turco e quello marocchino.
Tre opere ci hanno particolarmente colpito. Iniziamo dalla sezione “Intelligenza Naturale” dell’Arsenale, dove troviamo l’installazione “A Robot’s Dream” del team dei professori Fabio Gramazio e Matthias Kohler del DFAB: un ambiente visivamente immersivo in cui i visitatori incontrano un robot umanoide che fluttua in una struttura di pareti curve, costruita con reti di tondini di acciaio assemblati a loro volta da robot della spin-off MESH AG. La materia prima utilizzata per le reti è un acciaio particolare, la cui produzione richiede l’80% in meno di CO₂.

A Robot's Dream di Gramazio Kohler Research
L’installazione “Anti-Ruin” del Padiglione turco strizza l’occhio addirittura al Ticino: ad Arzo. In che modo? Facciamo un rapido passo indietro. Nel 2019 Filippo Schenker (responsabile del settore Geologia all’Istituto scienze della Terra della SUPSI) incontra quasi per caso Vera Voney (allora ricercatrice presso il DFAB) a Zurigo. Vera stava collaborando con Pietro Odaglia (pure affiliato al DFAB) a una stampante 3D a basso impatto ambientale. Filippo invece, alla SUPSI, era impegnato in un progetto per recuperare gli scarti della cava di Arzo. Nasce così un sorprendente connubio tra ETHZ e SUPSI. La stampante di Pietro Odaglia viene portata e installata ad Arzo. La macchina filtra i residui dell’estrazione del marmo e in seguito li riduce in polvere. A questa polvere è aggiunto un geopolimero – il metacaolino - … ed ecco un materiale da costruzione dalle molte virtù. Ad Arzo la stampante 3D produce un originale elemento che può servire sia da soletta sia da rivestimento per edifici. Talmente originale che trova una propria collocazione già alla Biennale 2023, presso il Palazzo Mora.

Stampante 3D Binder Jetting
I residui “ingegnerizzati” del marmo – stavolta quello di Lasa - e il know-how congiunto di SUPSI e ETHZ tornano dunque anche quest’anno in laguna grazie al designer turco Levent Ozruh, che si è avvalso della “Geopolymer Binder Jetting” – questo il nome della stampante 3D di Pietro Odaglia – per realizzare un’opera scultorea che vuole rinnovare l’antico linguaggio della pietra monumentale attraverso la progettazione computazionale.

Installazione "Anti-Ruin"
Degna di nota anche l’installazione “Necto” della ex-studente del DFAB Mariana Popescu. Si tratta di una tensostruttura in maglia. Dimenticatevi però i ferri da maglia con i quali la nonna vi faceva la sciarpa di lana. La lavorazione è stata effettuata in Vallese (a Vionnaz) con una apposita stampante che permette di annodare le fibre di lino e PVA (biodegradabile) lungo linee a doppia curvatura, grazie ad aperture che agevolano la deformazione del tessuto, permettendo la creazione delle superfici curve. A “Necto” è stato poi aggiunto un rivestimento traslucido di origine biologica. Questo rende rigide alcune aree della rete, mentre le altre sono flessibili. Il risultato è un materiale leggero ed estremamente adattabile. Ideale per casseforme a costo moderato e sostenibili, matrici per armature a rete di rinforzo del calcestruzzo, o strutture in calcestruzzo biomorfe.

Installazione "Necto" di Mariana Popescu
Questa splendida opera architettonica è frutto di una rigorosa progettazione computazionale. L’esperienza per il visitatore è poi completata da fili luminosi, che seguono percorsi di tensione selezionati, formando una costellazione di luce. Mentre sul fronte scientifico v’è da menzionare una vecchia conoscenza del giardino di Albert: il Prof. Robert Grass, del Dipartimento di Chimica e Bioscienze Applicate dell’ETHZ. A lui si deve il rivoluzionario metodo di codifica e stoccaggio di dati su un supporto a dir poco straordinario: il DNA. Nel 2016 aveva stupito il mondo, riuscendo a trasferire dei dati in un filamento di DNA sintetico, per poi incapsularlo in gusci vetrificati. A differenza di quanto avviene negli hard-disk, le informazioni così immagazzinate possono essere conservate per secoli o addirittura millenni. Ebbene, questa tecnica – nel frattempo migliorata e implementata – è stata utilizzata nella tensostruttura “Necto” all’interno del rivestimento translucido. Le informazioni inseritevi includono un passaporto dei materiali per tutti i componenti utilizzati e le istruzioni per la produzione del tessuto. Queste informazioni rimarranno intatte e parte integrante della struttura per l’intero ciclo di vita, garantendo tracciabilità e responsabilità future.
Anche l’installazione del Padiglione canadese “Picoplanktonics”, ideata da Andrea Ling del DFAB e stampata in 3D con l’inserimento di cianobatteri viventi meriterebbe una menzione, ma rischieremmo di andare davvero lunghi.

Installazione "Picoplanktonics" di Andrea Shin Ling / Living Room Collective
L’invito è quello di recarvi di persona ad ammirare questi artefatti, che riassumono bene, nella loro grazia estetica, il minuzioso lavoro di ricerca scientifica che vi sta dietro. Un’occasione preziosa per rendersi conto di quanto la scienza svizzera generi all’interno del proprio territorio e di come le sue ricadute vadano ben oltre i confini nazionali. La 19. Mostra Internazionale di Architettura, Biennale di Venezia è aperta fino al 23 novembre.
Intelligens. Natural. Artificial. Collective. La Biennale architettura a Venezia
Alphaville 18.06.2025, 11:45
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