Più soldi per l’esercito, maggiore cooperazione in materia di difesa con la NATO e con l’UE, allentamento del divieto di riesportazione di materiale bellico verso alcuni Paesi, potenziamento dell’industria nazionale dell’armamento e una revisione della politica di neutralità che tenga maggiormente conto della distinzione fra aggressore e vittima: sono queste le raccomandazioni principali formulate in un rapporto presentato giovedì, che è stato stilato da un gruppo di esperti istituito un anno fa dal Dipartimento federale della difesa, della protezione della popolazione e dello sport.
Nelle 68 pagine del rapporto, vengono formulate un centinaio di raccomandazioni che interessano sette aree, allo scopo di progettare una politica di sicurezza lungimirante. La spesa militare, suggerisce il documento, andrebbe aumentata fino a toccare entro il 2030 l’1% del PIL (si tratta di circa 8 miliardi di franchi annui). Ai suoi membri l’Alleanza atlantica raccomanda il 2% del PIL, mentre attualmente a disposizione dell’esercito elvetico ci sono 25 miliardi di franchi per il quadriennio 2025-2028. Il Consiglio degli Stati ha già accolto un incremento a 29,8 miliardi (7,5 circa all’anno), approvato per ora dal Nazionale solo in sede di commissione.
La maggioranza della commissione ha raccomandato anche di raggruppare il servizio civile e la protezione civile, opzione attualmente in fase di elaborazione nel quadro dei lavori di approfondimento del sistema di servizio obbligatorio. Ha proposto inoltre inoltre che la protezione della popolazione venga organizzata tenendo conto dell’inasprimento della situazione in materia di sicurezza dei suo compiti in caso di guerra.
Critiche da destra e da sinistra
Sono proposte che non hanno fatto l’unanimità in sede di discussione e che non passano inosservate, anzi: in una prima reazione, il partito dei Verdi ha definito “una farsa” i lavori che hanno portato alla stesura del rapporto. Si denunciano “una composizione arbitraria” del gruppo, “il rifiuto del dialogo” e “una scelta tematica unilaterale”. In sostanza, secondo gli ecologisti, le conclusioni erano scritte in partenza e volte a sposare la linea della responsabile del DDPS, Viola Amherd. I rappresentanti dell’opinione maggioritaria, proseguono i Verdi, hanno votato in modo strategico senza essere disposti al minimo compromesso, l’invito esteso a rappresentanti di tutti i partiti è servito solo a dare un’impressione di equilibrio ma le voci critiche non sono state ascoltare o nemmeno sentite in audizione. È il caso del Gruppo per una Svizzera senza Esercito, che si dice indignato. Il risultato: temi come promozione della pace civile, prevenzione dei conflitti e protezione climatica sono stati ignorati.
Critiche analoghe a quelle dei Verdi arrivano anche dal PS, che parla di “raccomandazioni di un’altra epoca” che non corrispondono alle reali sfide di una politica di sicurezza del nostro tempo. “Sebbene la probabilità di un attacco convenzionale alla Svizzera sia bassa”, spiegano i socialisti, “è proprio per questo scenario improbabile che il bilancio dell’esercito dovrebbe essere aumentato all’1% del PIL entro il 2030”.
Sul fronte opposto, anche l’UDC ha da ridire: i democentristi contestano in particolare l’idea di un avvicinamento fra la politica di sicurezza elvetica e quelle di NATO e Unione Europea. La formazione guidata dal consigliere nazionale Marcel Dettling sottolinea inoltre la tattica del salame utilizzata dal governo per preparare l’adesione alla European Sky Shield Initiative (letteralmente iniziativa europea per uno scudo in cielo, è un progetto per costruire un sistema di difesa aerea europeo integrato a terra che includa capacità antimissili balistici).
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