Un progetto che si può definire storico, non fosse altro che per la sua durata decennale e le polemiche lo hanno accompagnato nel tempo, è arrivato in porto al scorsa settimana in Parlamento: la revisione totale della legge sulle dogane. Ci sono due tronconi lungo i quali si è sviluppato, da una lato quello della completa digitalizzazione (da 400 milioni di franchi) e l’accorpamento fra guardie di confine e funzionari doganali. L’obiettivo di quest’operazione, che ha coinvolto oltre 4700 dipendenti, è la creazione di una nuova figura professionale polivalente; gli specialisti formati dal 2021 e già operativi sono circa 270, di cui 25 in Ticino. Altrettanti sono stati formati a sud delle Alpi ma vengono impiegati in altri cantoni. Nei Grigioni per il momento i nuovi specialisti attivi sono 4. Già formati perché il Parlamento è stato di fatto messo di fronte al fatto compiuto: la riforma era già in corso di implementazione prima che ci fosse la base legale, sotto la direzione di Christian Bock, rivelatosi l’uomo sbagliato al posto sbagliato e sostituito da Karin Keller-Sutter con Pascal Lüthi, già comandante della polizia cantonale di Neuchâtel, che prima di tutto ha dovuto ristabilire la fiducia fra direzione e personale e fra Berna e i Cantoni. E sembra esserci riuscito. SEIDISERA lo ha incontrato e intervistato.

Pascal Lüthi
Direttor Lüthi come ha vissuto il sì definitivo delle Camere federali alla nuova Legge sulle dogane? Immagino sia stato un sollievo dopo il travaglio che ha accompagnato il progetto...
“Sì è certamente stato un sollievo, soprattutto per i colleghi che hanno lavorato a questo progetto per quasi un decennio. In un certo senso è stato un passo storico, perché riforme di questo tipo e di questa portata ce ne sono solo due e tre ogni secolo. Non è però finita, perché definita la legge si entra nella fase intensiva della preparazione delle ordinanze. E in ogni caso prima di festeggiare davvero, meglio aspettare la scadenza dei termini per un eventuale referendum“.
Lei era arrivato a riforma in corso, in parte già implementata ma ancora senza base legale. Le cerchie interessate (personale, sindacati, polizie e quindi Cantoni) erano inoltre disorientate o arrabbiate. Come ha gestito questa situazione caotica?
“In realtà quando sono arrivato io la calma era già tornata, sia con i partner sia col Parlamento. Penso dunque che la fase che lei descrive come caotica, difficile, con molte emozioni, fosse già passata. Ho invece avvertito un’energia immensa accompagnata dalla voglia di andare avanti. Il compito affidatomi era di ristabilire la fiducia e devo dire che non è stato particolarmente difficile mentre l’incertezza ha accompagnato le discussioni ai vari livelli. In questo senso il passo appena compiuto è importante sia per rassicurare le persone sia per mostrare ad alcuni dipendenti magari un po’ nostalgici che non si tornerà indietro. Ho anche avvertito molte aspettative da parte del personale e la difficoltà principale è stata gestire queste aspettative. Con comprensione e chiarezza, senza creare false speranze. Perché il mio compito non era né invertire il corso della storia né sistemare i problemi con la bacchetta magica“.
Quindi ora è tutto a posto o qua e là ci sono ancora incertezze?
“Ce ne sono ancora, certo. Sarei l’ultimo a dire che tutto è tranquillo e sereno. La trasformazione avviata sette, otto anni fa è profonda e massiccia perché si è messo mano alla base giuridica, all’organizzazione e ai profili professionali. È una fase di transizione, la cui durata dipende da come la si guarda. Si può parlare di una generazione o almeno di un decennio. Però ci sono slancio, energia, volontà e io ho cercato di portare chiarezza e coerenza. Mentre per le persone che non si identificano né nello sviluppo tecnologico né nella nuova organizzazione ci vogliono rispetto e sostegno“.
La riforma è composta di due parti: la completa digitalizzazione delle procedure e l’accorpamento di doganieri e guardie di confine. Iniziamo dalla prima. A che punto siamo?
“È un cantiere da quasi 400 milioni di franchi che aveva l’obiettivo di rivedere tutte le nostre applicazioni (e parliamo di di 70-80 progetti IT avviati contemporaneamente). E siamo vicino alla fase finale: entro 18 mesi raggiungeremo praticamente tutti gli obiettivi fissati. Nel frattempo abbiamo implementato altre applicazioni non previste mentre alcuni servizi non sono ancora ottimizzati. Il fiore all’occhiello di questa trasformazione è l’applicazione ‘Passar’, che elimina tutti i moduli del traffico merci transfrontaliero, che si tratti di transito, importazione o esportazione. Non tutto è ancora stato completato ma la cosa più importante sarà essere riusciti a rispettare tempi e budget. Quando guardo il progetto dall’esterno ne resto impressionato e provo orgoglio per quanto fatto”.
Ma i cittadini che per esempio fanno la spesa oltreconfine cosa devono aspettarsi? Non ci sarà più nulla di cartaceo?
“ In generale sia le autorità sia il Parlamento son sempre attenti affinché non si crei un divario digitale per la popolazione. Lo si è per esempio visto col contrassegno autostradale. Il mio ufficio aveva proposto una versione completamente digitale ma il Legislativo ha voluto mantenere anche lo storico adesivo. Per il traffico turistico abbiamo sviluppato l’applicazione QuickZoll che semplifica davvero le cose e che credo possa essere usata ancora di più. Non sono in grado di dire se la via intrapresa sia l’unica da percorrere, certo è che è nell’interesse di tutti“.
Veniamo ora alla nuova figura professionale. Si chiama “Specialista dogana e sicurezza dei confini” ed è in grado di svolgere sia le attività doganali sia quelle delle Guardie di confine. In quanti sono già operativi in Ticino?
“La formazione col nuovo profilo professionale avviene dall’agosto 2021. Significa che dalla nostra scuola aspiranti sono già usciti sei o sette gruppi che han completato l’intero corso. In realtà un po’ di più perché nel frattempo è stata fatta una verifica sulla pertinenza di questo profilo multifunzionale, con adattamenti per la sua ottimizzazione. Sul piano regionale c’è poi chi è più o meno avanzato nell’applicazione della nuova dottrina ma questo dipende dai responsabili. Riguardo al Ticino mi risultano oltre 25 nuovi specialisti attivi (a cui si aggiungono altri ticinesi che però son impiegati altrove) e altrettanti in formazione“.
Cosa intende dire riguardo all’applicazione della nuova dottrina?
“Si tratta di capire come impiegare concretamente questa polivalenza, se si possono creare squadre miste o se è il caso di mantenere alcune specificità della vecchia organizzazione. Non è un problema in sé ma una situazione in cui convivono le nuove figure professionali, coloro che son stati formati come doganieri o guardie di confine e hanno seguito una formazione continua per arrivare anch’essi al nuovo profilo e poi quelli che han deciso di rimanere col loro vecchio profilo (perché per i funzionari doganali lo sviluppo professionale è volontario). È un mix non sempre facile da gestire per i capi ma che ha pure dimostrato il suo valore aggiunto.
Prendiamo la sorveglianza delle frontiere, tema che in Ticino sta a cuore alla popolazione. L’anno scorso ci è stato dato il compito di aumentare in brevissimo tempo le nostre capacità di controllo. Ebbene questa circostanza ci ha permesso di vedere concretamente cosa significa il nuovo profilo in termini di flessibilità. Ovviamente, concentrando gli sforzi sulla sicurezza abbiamo effettuato un numero leggermente inferiore di controlli doganali specifici ma è questa flessibilità che sta alla base di questa multifunzionalità“.
Ma non c’è il rischio di saper fare tante cose perdendo per strada qualcosa, per esempio l’efficacia di un controllo o la precisione di una procedura doganale, aspetti che solo l’esperienza può dare?
“Il mantenimento del livello delle competenze è una preoccupazione che spesso viene espressa anche dall’interno. Credo però che la risposta non stia nella formazione di base e nemmeno nell’idea di un fronte polivalente, bensì nella formazione continua e nelle specializzazioni da mettere in campo. E qui la strada è ancora lunga. A volte uso la seguente immagine. È nell’interesse di tutti che il fronte sia versatile e all’inizio della catena c’è un capo che per sua natura dev’essere versatile. Ma questo non significa che tutta la gerarchia in mezzo debba essere polivalente. Diciamo che occorre sviluppare livelli di competenza dalla seconda linea in poi“.
Una questione molto delicata che aveva generato preoccupazioni e polemiche riguarda il porto dell’arma (anche) da parte degli ex funzionari doganali. Quanti si sono rifiutati? Ci son state situazioni pericolose?
“No e voglio subito rassicurarvi. Nessuna situazione di pericolo anche perché i responsabili operativi fanno molta attenzione a questo aspetto. È per contro vero che l’argomento è stato al centro di una discussione parecchio emotiva. Ma per quanto mi riguarda non è un aspetto né simbolico né dogmatico. Si tratta di uno strumento legato ad alcune situazioni di pericolo, punto. Anche in polizia tutti gli agenti sono addestrati a utilizzare le armi ma ci sono ambiti in cui non vengono nemmeno più richieste. Inoltre abbiamo detto che per i doganieri questa formazione è facoltativa e per quanto ne so circa un quarto non l’ha seguita. E abbiamo lavoro più che sufficiente per loro, controlli compresi, come peraltro è sempre stato. Per il nuovo profilo professionale, invece, non esistono due varianti (con o senz’arma). Non ho però nessun problema nell’immaginare persone che vengono formate al suo utilizzo e che poi nel corso della carriera non debbano più ricorrervi“.
Per concludere, questa non è la riforma di Pascal Lüthi ma Pascal Lüthi deve dirigerne la struttura. Non c’è un’impronta personale che vuol darvi, nell’ambito delle sue competenze?
“Non ho l’intenzione di lasciare un mio marchio particolare. Se però dovessi definirlo... lo individuerei nell’approccio e nell’attenzione a questo periodo di transizione. Un periodo lungo, durante il quale vivremo parecchie sfide legate alla demografia, ai rapporti con gli altri Paesi, all’intelligenza artificiale (che è già fra di noi), ma anche al mantenimento delle nostre competenze, alla successione dei quadri e altro ancora. Dinanzi a tutto questo ci vogliono pragmatismo, chiarezza, trasparenza e rispetto verso le preoccupazioni della popolazione. Ma in fondo proprio anche tutto questo rende estremamente appassionante il nostro lavoro“.
L’intervista integrale di Gian Paolo Driussi a Pascal Lüthi, direttore dell’Ufficio federale della dogana e della sicurezza dei confini (UDSC)
RSI Info 26.06.2025, 19:06
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