Il 1° dicembre si celebra ogni anno la giornata mondiale contro l’AIDS, la sindrome dell’immunodeficienza acquisita: un’occasione per fare il punto sullo stato dell’epidemia e sulla diffusione del virus dell’HIV, che causa la malattia. Scoperto agli inizi degli anni Ottana, il virus ha provocato negli ultimi 40 anni oltre 79 milioni di contagi e più di 36 milioni di decessi (qui, le statistiche aggiornate).
Com’è cambiata la lotta alla malattia e al virus che la provoca e qual è la situazione in Svizzera, anche alla luce dell’epidemia di Covid-19 in corso da quasi due anni? Domande che abbiamo sottoposto al prof. Enos Bernasconi, responsabile del servizio malattie infettive dell’EOC, docente all’Università di Ginevra e all'Università della Svizzera italiana, pioniere in Svizzera della ricerca sull'infezione da HIV:
“Il passo fondamentale nella lotta all’epidemia è stato lo sviluppo di farmaci altamente efficaci contro il virus, che hanno permesso, sia nei paesi più sviluppati sia in quelli meno sviluppati, di poter trattare efficacemente le persone infette. Oggi a tutte le persone alle quali viene diagnosticata un’infezione da HIV, si raccomanda di iniziare immediatamente una terapia antiretrovirale. I farmaci che la compongono sono di regola ben tollerati, e tengono il virus completamente sotto scacco, impedendo lo sviluppo dell’AIDS, quindi dell’immunodeficienza, e rendendo le persone che vivono con l’HIV non più contagiose. Ci sono quindi stati dei progressi incredibili”.
Oggi di AIDS si muore ancora?
“Purtroppo abbiamo ancora situazioni, soprattutto in paesi dell’Africa subsahariana e in qualche paese asiatico, in cui l’accesso alle terapie è difficile e la diagnosi di infezione HIV viene fatta nello stadio avanzato di AIDS, quando può essere troppo tardi per ottenere la massima efficacia dalle terapie antiretrovirali. Questo succede raramente anche da noi: abbiamo avuto casi di persone che si sono presentate in una fase avanzata della malattia; a volte si riesce a curare le malattie opportunistiche, come infezioni o tumori sviluppati nell’ambito dell’AIDS, e in parallelo a controllare in virus, ma a volte è troppo tardi. È quindi importante fare la diagnosi di HIV precocemente tramite il semplice test di depistaggio dopo ogni situazione a rischio."
Qual è la situazione in Svizzera?
“In Svizzera la situazione è molto simile a quella di altri paesi europei e nordamericani: le infezioni sono diminuite molto nel tempo. Ma si osservano comunque 3-400 nuove infezioni ogni anno, e sono infezioni di troppo, anche perché i metodi di prevenzione sono ben noti ed efficaci. Fra le persone più colpite dall’HIV ci sono soprattutto i maschi omosessuali, i cosiddetti MSM (men who have sex with men, ndr.); è importantissimo continuare a diffondere le conoscenze sulla prevenzione, per cercare di portare a zero il numero di nuove infezioni. Per quanto riguarda le terapie, la Svizzera è messa molto bene: abbiamo a disposizione tutte quelle più moderne; se le persone sono seguite adeguatamente di regola vivono una vita normale e hanno una speranza di vita uguale a quella del resto della popolazione”.
In Svizzera vivono circa 16'600 persone colpite da HIV
È vero che esistono gruppi a rischio, come i maschi omosessuali, chi assume droga per via endovenosa, o le operatrici del sesso. Tuttavia, il virus può colpire chiunque…
“Più che gruppi a rischio, direi che ci sono in diverse fasce della popolazione dei comportamenti che conducono più facilmente all’infezione: non si tratta di stigmatizzare determinate persone o gruppi di persone, ma di capire dove ci sono ancora comportamenti problematici e intervenire, con misure preventive, anche moderne come per esempio la PrEP: la profilassi pre-esposizione”
Di che si tratta?
“È la possibilità di assumere dei farmaci antivirali che, lo dimostrano gli studi, sono in grado di proteggere quasi al 100% dall’infezione HIV. Chi ha per esempio difficoltà nell’utilizzo del preservativo o si trova confrontato con un rischio maggiore di contrarre l’HIV, può beneficiare di questo trattamento preventivo, per un periodo di tempo definito oppure a lungo termine. Pensiamo per esempio alle operatrici del sesso che hanno difficoltà nel negoziare con i clienti il sesso protetto: qui la PrEP potrebbe essere utile per proteggerle dall’infezione. In Svizzera c’è un ottimo programma di PrEP al quale partecipa anche il nostro centro, però al di fuori del programma l’accesso ai farmaci non è semplicissimo. Non è comunque una misura preventiva necessaria su larga scala, ma estremamente utile per quelle persone che vivono frequentemente situazioni a rischio”.
La prevenzione, tuttavia, resta fondamentale…
“La prevenzione è l’unica via percorribile per impedire la diffusione dell’HIV poiché non esiste ancora una cura definitiva dell’infezione. Anche oggi, nonostante le ottime terapie, avere l’HIV è qualcosa di molto pesante, sia a livello personale sia sociale. Sappiamo come si trasmette questo virus e siamo riusciti a debellare in Svizzera la trasmissione attraverso il sangue, quindi oggi le trasfusioni e tutti gli emoderivati sono sicuri. L’uso di aghi e siringhe sterili ha reso la trasmissione dell’HIV nelle persone che usano sostanze stupefacenti un evento molto raro. Inoltre, grazie ai farmaci prescritti alle donne incinte, siamo riusciti a debellare quasi completamente la trasmissione madre-bambino. Le nuove infezioni avvengono quindi sostanzialmente durante rapporti sessuali non protetti; quando l’uso del preservativo non è garantito, è importante
Una lotta lunga 40 anni
Per anni si è parlato di vaccino contro l’HIV, per quale motivo non si è riusciti a svilupparlo?
“Il problema è legato alle caratteristiche dell’HIV che lo rendono differente da altri virus, come quelli respiratori, l’influenza o il coronavirus che causa il Covid, per i quali è stato possibile sviluppare buoni preparati. L’HIV è un virus molto particolare che appena entra nel corpo riesce a integrarsi rapidamente in determinate cellule del sistema immunitario. Questa caratteristica lo protegge sia dal sistema immunitario stesso, che dalle difese indotte dai vaccini. Il virus entra tipicamente, nell’ambito dei rapporti sessuali, attraverso le mucose dove avere un’immunità che lo blocchi è particolarmente difficile”.
Eppure, con l’arrivo del Covid-19 e dei vaccini a RNA messaggero ultimamente si discute molto della possibilità di usare questa tecnologia per sviluppare vaccini anche contro l’HIV…
“Sono molto entusiasta di questa nuova tecnologia e penso che potrà essere impiegata molto bene contro altri virus respiratori: il suo impiego contro l’influenza sembra essere vicino. Tuttavia, per quanto riguarda l’HIV, che è in grado di integrarsi e nascondersi nelle cellule umane, bisognerà capire se questa tecnologia sarà sufficiente per sviluppare un vaccino efficace: non ne sono convinto”.
Aiuto AIDS Svizzera ha chiesto, negli scorsi giorni, di non abbassare la guardia nonostante la pandemia di nuovo coronavirus. Il Covid-19 ha davvero compromesso la lotta all’AIDS; qual è, prof. Bernasconi, il suo punto di vista?
“Abbiamo temuto durante la prima ondata di non riuscire a tenere agganciati alle cure i nostri pazienti, non avendo allora la possibilità di vederli regolarmente nell’ambulatorio così come lo facevamo. In realtà in Svizzera, per fortuna, non abbiamo avuto difficoltà con l’approvvigionamento dei farmaci, abbiamo quindi continuato a trattare efficacemente i nostri pazienti, mantenendo i contatti anche usando le nuove tecnologie. Siamo quindi riusciti a superare i momenti di crisi peggiore del Covid, ma posso immaginare che in altri paesi le difficoltà siano state maggiori”.
Radiogiornale delle 12.30 del 24.11.2021: Fare di più contro AIDS ed epatite, il servizio di Annamaria Nunzi
RSI Info 24.11.2021, 13:52
La comunità internazionale punta a porre fine all'epidemia di AIDS come minaccia di salute pubblica entro il 2030: è un obbiettivo realistico?
“C’è un obiettivo realistico che è quello dell’eliminazione del virus, almeno in determinati paesi: ciò significa impedire nuove trasmissioni e nuovi casi; se invece pensiamo a una eradicazione del virus dal corpo delle persone già infettate, ci sono molte ricerche in corso ma per il momento non hanno mostrato una via di successo. Certo, oggi abbiamo dei trattamenti molto efficaci e possiamo guardare al futuro con un cauto ottimismo, ma è troppo presto poter affermare che nei prossimi anni saremo in grado di curare definitivamente le persone”.
Radiogiornale delle 07.00 del 01.12.2021: il servizio di Anna Maria Nunzi
RSI Info 02.12.2021, 18:49