Tredici sì (quelli di Moleno, Claro, Preonzo, Gnosca, Gorduno, Monte Carasso, Sementina, Bellinzona, Giubiasco, Camorino, Pianezzo e Sant’Antonio), quattro no (Sant’Antonino, Cadenazzo, Lumino, Arbedo-Castione): il 18 ottobre 2015, dieci anni fa, nasceva alle urne la “grande Bellinzona”, un Comune di più di 40’000 abitanti frutto del maggiore progetto aggregativo del canton Ticino, che seguì nel tempo quelli di Lugano e Mendrisio. La fusione sarebbe poi diventata effettiva nell’aprile del 2017. Quale bilancio tracciare oggi? La città “ha dieci anni, non è ancora adulta”, secondo il responsabile dell’attualità regionale della RSI Christian Romelli, che a Prima Ora ha portato l’esempio dell’avveniristica stazione progettata in origine e dell’edificio più conservativo che è stato effettivamente realizzato. Per questo e per altri aspetti rimane un “senso di incompiutezza”: su un piatto della bilancia - quello negativo - va qualche inciampo, come la votazione sui salari dei municipali e il sorpasso di spesa di alcuni progetti importanti. Sull’altro, quello positivo, la nascita di un vero trasporto pubblico urbano e la vivibilità su cui la Città investe, con passerelle sul fiume, zona golenale e una rete di piste ciclabili senza uguali in Ticino.
“Otto o nove sarebbero stati un buon punto di partenza”
Ma quali sono i ricordi e come la pensa oggi Mario Branda, fra i fautori del progetto allora e attuale sindaco della capitale cantonale? Ospite della trasmissione, ricorda quella domenica del 2015 come “una giornata di festa”, preceduta dalla tensione di non sapere come sarebbe andata a finire. Perché si sapeva che “alcuni comuni probabilmente si sarebbero chiamati fuori”. “Con Andrea Bersani, Riccardo Calastri e Ivan Guidotti (sindaci di Giubiasco, Sementina e Monte Carasso, ndr) ci dicevamo che con otto o nove sarebbe già stato un buon punto di partenza”, ha ricordato Branda. “Alla fine furono tredici”.
L’aggregazione, secondo il sindaco, “ha dato un respiro più ampio e la possibilità di guardare al futuro con altri occhi e forse anche con un’altra testa”. I servizi sono “perlomeno uguali se non migliorati in alcuni quartieri”. Fra i risultati concreti, ha citato invece “la risoluzione del problema delle Officine”. “Senza la nuova Bellinzona non sono sicuro che saremmo riusciti a trovare quell’accordo con il Cantone e soprattutto con le Ferrovie federali”, ha spiegato, anche perché la Città si disse disponibile a cofinanziare lo stabilimento “in una misura proporzionata alle proprie possibilità, che però prima non c’erano, e soprattutto a offrire la compensazione con i terreni agricoli che poi si è resa necessaria”. Altro progetto favorito dalla nuova configurazione, “lo sviluppo del polo di ricerca biomedica”.
L’aggregazione pesa però anche sulle finanze, “non in quanto tale ma per quello che abbiamo investito sul territorio”, per esempio “portando la fibra ottica anche nelle valli”. L’ultimo preventivo è in rosso per quasi 14 milioni di franchi. Il prossimo, quello del 2026 che sarà presentato fra un paio di settimane, ha anticipato Branda “sarà migliore ma si prospetta ancora un disavanzo”.
Non c’è urgenza di allargare il progetto
E il futuro? Per parlarne, lo sguardo al passato con Marco Bertoli, sindaco di Cadenazzo oggi ma non dieci anni fa, quando il Comune disse no per una trentina di schede e con la partecipazione di appena la metà degli aventi diritto. Inutile fare dietrologie, se ci si debba pentire o meno di quella decisione, ha detto in collegamento diretto, ma il quadro oggi è quello di una proficua collaborazione su servizi come AMB, polizia e pompieri. Tuttavia “un’urgenza di aderire” non c’è “anche perché il disegno originario con 17 realtà e zone industriali molto sviluppate va coltivato nel tempo”.
Tema aggregazione archiviato quindi? Anche per Branda, si è ancora “molto indaffarati nel costruire la nuova Città (...) e non sentiamo l’esigenza di allargare ancora questa aggregazione. È stato un passo fondamentale, ma non c’è ora il bisogno impellente” che c’era allora. Proprio l’area industriale citata da Bertoli, tuttavia, è una lacuna perché anche Arbedo-Castione e Sant’Antonino, come noto, preferirono restare da soli. “Certo, avrebbe fatto comodo”, ha ammesso Branda, “ma allo stesso tempo oggi ci siamo indirizzati sullo sviluppo del polo biomedico e lì stiamo concentrando i nostri sforzi. Anche se non nego che sarebbe stato interessante combinare quegli aspetti con quelli che oggi fanno la caratteristica della nuova città”.