Una mamma ucraina di 27 anni è stata condannata mercoledì a 3 anni di carcere, di cui 6 mesi da scontare, per la sua complicità in due furti da mezzo milione di franchi messi a segno nel Luganese. Ma la donna passerà meno tempo fra le sbarre anche a causa delle condizioni detentive, che in Ticino per le donne sono più restrittive rispetto a quelle degli uomini.
In carcere, le donne che scontano la pena o sono in attesa di giudizio, si trovano alla Farera: un luogo pensato per la carcerazione preventiva, al cui interno il regime è per natura più rigido rispetto alla Stampa. Da lì, però, le donne non si spostano dopo la condanna: da circa un ventennio, visto l’aumento delle carcerate, si è resa necessaria una separazione dagli uomini. Nel 2006 le detenute erano 3. Oggi 22, compresa la 27enne condannata ieri e mamma di un bimbo piccolo che vive a Kharkiv. Anche lei è alla Farera.
Come si gestisce attualmente la situazione in questa struttura? “Noi cerchiamo comunque con sforzi organizzativi non indifferenti di garantire loro più libertà”, spiega Stefano Laffranchini, nel senso che le donne beneficiano ad esempio di varie misure fra le quali, ad esempio, 2 ore d’aria al giorno e 7 colloqui mensili. Esse tuttavia non beneficiano della situazione dei detenuti di sesso maschile, i quali “possono usufruire di spazi come la palestra, la chiesa”. Proprio per questo, ricorda il direttore del Penitenziario cantonale, 3 anni fa “il Gran Consiglio ha deliberato per poter riportare le donne alla Stampa”.
La soluzione è in arrivo e sarà l’ampliamento di uno dei blocchi della Stampa. Il ritorno delle donne nella nuova ala permetterà quindi una parità di trattamento fra detenuti. I lavori termineranno entro la primavera prossima e lì verranno trasferite le detenute. “La nostra speranza è che effettivamente, con l’apertura dell’ala femminile all’interno della Stampa, le condizioni possano essere migliorate ulteriormente”, osserva intanto Giulia Petralli, l’attuale presidente della commissione del Gran Consiglio per la sorveglianza delle condizioni di detenzione.
Nel processo di mercoledì, il giudice Paolo Bordoli ha spiegato che, per commisurare la pena, non era possibile fare astrazione dalle condizioni di prigionia della 27enne. La donna peraltro, che ha già espiato carcere preventivo, tornerà in Ucraina da suo figlio piccolo tra un mese. La sua vicenda rilancia così una questione delicata: quella delle madri carcerate e dei loro figli.
“Di volta in volta”, spiega Laffranchini, “si valuta qual è il bene o il male minore per un bambino”. Si tratta in sostanza di capire se sia “meno peggio essere separato dalla mamma”, stando “in un contesto non in cattività”, o se invece sia meglio per il bambino “restare comunque con la mamma anche se in carcere, indica, precisando che “solitamente questo avviene per i bambini da 1 a 3 anni”. Intanto è anche per questo che “nella futura sezione femminile abbiamo previsto una cella madre-bambino e abbiamo previsto proprio degli spazi a misura di bambino”









