È di venerdì la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della norma con cui l’Italia rende operativo il contributo ribattezzato nell’area di frontiera come “tassa sulla salute” per i cosiddetti “vecchi frontalieri”. Secondo le stime, il provvedimento potrebbe garantire alla Regione Lombardia un gettito annuo superiore ai cento milioni di euro. Per le organizzazioni sindacali, tuttavia, si tratta di una misura che contrasterebbe con gli accordi fiscali in vigore tra Italia e Svizzera.
La vicenda si inserisce nel quadro del nuovo accordo italo-svizzero sulla fiscalità dei frontalieri, in vigore da gennaio 2024. Come ricostruito nell’approfondimento di Seidisera, l’intesa prevede che i cosiddetti “nuovi frontalieri” siano assoggettati a tassazione anche in Italia e, attraverso tali entrate, contribuiscano indirettamente al finanziamento del Servizio sanitario nazionale. Diversa la posizione dei lavoratori rientranti nel regime precedente: per i “vecchi frontalieri”, il prelievo verrebbe parametrato al reddito. Per questi lavoratori è previsto un contributo obbligatorio compreso tra il 3% e il 6% del reddito netto, con un importo minimo di 30 euro e un massimo di 200 euro mensili. Spetterà alle singole Regioni di confine – Lombardia, Piemonte e Valle d’Aosta – stabilire nel dettaglio le aliquote applicabili, restando all’interno di questa forbice.

Sindacati dei frontalieri contro la tassa sulla salute
SEIDISERA 22.12.2025, 18:00
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Da qui la scelta del Governo Meloni di intervenire per via legislativa, introducendo con tanto di articoli il nuovo contributo, definito come tale nelle formulazioni ufficiali ma ormai noto nel dibattito pubblico, appunto, come “tassa sulla salute”.
La CGIL: “rischio doppia imposizione”
Sul punto interviene Giuseppe Augurusa, segretario nazionale del sindacato italiano CGIL frontalieri. “Se passasse questo concetto – spiega il segretario sindacale italiano - è evidente che saremmo di fronte alla doppia imposizione. Ricordo che questa tassa colpisce i lavoratori frontalieri sullo stesso salario che viene già tassato alla fonte. E come tutti ricorderanno, i trattati internazionali o si applicano o si abrogano non possono essere cambiati in corso d’opera. Quindi da questo punto di vista per noi c’è anche una violazione sul trattato”.
L’OCST: “i vecchi frontalieri già contribuiscono”
Anche in Svizzera i sindacati esprimono contrarietà alla misura. Alla RSI, Andrea Puglia, responsabile per l’OCST, contesta l’impianto dell’argomentazione secondo cui i “vecchi frontalieri” non contribuirebbero alla fiscalità italiana. “I vecchi frontalieri in realtà contribuiscono già alla fiscalità generale dello Stato, sia attraverso i famosi ristorni, anche attraverso il pagamento dell’IVA. Quindi, dal nostro punto di vista è sempre stato falso sostenere che il vecchio frontaliere non contribuisce alla fiscalità generale dello Stato italiano, spiega Puglia”.
Lombardia in prima linea: platea e modalità ancora da definire
Il beneficio economico più rilevante, secondo le stime diffuse, ricadrebbe sulla Lombardia, che prevede un gettito nell’ordine di 100-150 milioni di euro. Restano però da chiarire platea e modalità operative: i lavoratori italiani impiegati in Svizzera prima del luglio 2023 potrebbero essere chiamati a un’autocertificazione, verosimilmente attraverso un portale dedicato, considerato che l’Agenzia delle Entrate non dispone dei loro dati reddituali e, di conseguenza, nemmeno di un’anagrafica completa. Dati che, ad oggi, i cantoni delle regioni confinanti non hanno concesso.
Le risorse, nelle intenzioni italiane, dovrebbero contribuire ad aumentare le retribuzioni del personale sanitario, con l’obiettivo di trattenere medici e infermieri in Italia ma Puglia mette in dubbio l’efficacia dell’intervento perché, ritiene, la differenza salariale tra Svizzera e Italia resterebbe, anche in caso di ritocchi, molto marcata. “Quindi, dice, noi crediamo che questa norma non frenerà l’afflusso di manodopera italiana del sociosanitario verso la Svizzera e anzi genererà un problema opposto, perché ci sarà una sorta di frontalierato interno a Regione Lombardia. Cioè i medici di Como e Varese continueranno a venire a lavorare in Ticino. Viceversa, quelli che stanno a Monza, a Milano o in altre province, sapendo che nelle province di confine i salari sono aumentati per via della tassa sulla salute, tenderanno a andare a lavorare negli ospedali di confine, generando un vuoto negli ospedali di provenienza”.
La questione etica e il nodo dello strumento
Sul piano di principio, resta aperto anche un interrogativo di carattere sociale: alla luce della significativa disparità retributiva, è legittimo ipotizzare un contributo di solidarietà dei frontalieri a sostegno dei servizi pubblici del Paese d’origine? Puglia riconosce la questione, pur contestando lo strumento adottato: “Da un profilo etico sociale la norma può anche avere un senso”, chiosa il sindacalista ticinese. “Cioè, può avere un senso ipotizzare su come fare per far sì che il vecchio frontaliere contribuisca un po’ di più al Servizio sanitario nazionale ma lo strumento per poter risolvere il problema non poteva esser questo, proprio perché contrario a un accordo internazionale”.
Il ruolo di Berna e le incognite politiche
Quanto alle contromisure, i sindacati attendono ora l’orientamento delle Regioni, chiamate a definire tempi e procedure di applicazione e riscossione. Solo dopo, precisano, riprenderà l’azione delle sigle a tutela dei lavoratori coinvolti. Il dossier è prevalentemente interno al quadro normativo italiano e, di conseguenza, i margini d’intervento delle organizzazioni svizzere restano limitati, se non attraverso pressioni politiche su Berna affinché chieda a Roma un ripensamento. Resta tuttavia l’incognita sulla reale disponibilità della Svizzera a esporsi in una vertenza che riguarda i diritti dei frontalieri. “Il timore più grande che abbiamo, conclude Andrea Puglia, è che il governo possa lasciar perdere, non reputandolo un argomento eccessivamente interessante e importante e magari vada a barattare questo elemento in favore del governo italiano per chiedere qualcosa in cambio su altri argomenti. Pensiamo all’annoso tema del mancato accesso al mercato finanziario italiano da parte delle banche svizzere”.
Sul fronte italiano, intanto, è già stata annunciata la presentazione di ricorsi legali “a tutti i livelli”, azionabili però soltanto dopo la richiesta formale di incasso del contributo.

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