È stata pubblicata di recente sul web la registrazione audio del concerto che i Pink Floyd tennero a Brescia, nel Palazzo delle manifestazioni artistiche, il 19 giugno 1971. Il concerto attirò un vasto pubblico da tutto il Nord Italia e oltre: si può dire che gran parte della scena pop-rock milanese fosse presente. Ci sono varie ragioni di interesse per questa registrazione. Una è tecnica: ciò che ascoltiamo è il risultato di un lavoro meticoloso di restauro, di missaggio e di montaggio di diverse registrazioni originali, realizzate da appassionati con strumenti di vario livello, da un Gelosino monofonico (allora già un registratore obsoleto, quasi un giocattolo) a macchine semiprofessionali con ottimi microfoni. Come quegli appassionati fossero riusciti a installarsi al centro della platea coi loro registratori, i microfoni, le aste (e dove avranno attaccato le prese elettriche?) è già un mistero. Ma quelli erano i tempi: oggi ai concerti si sigillano perfino gli smartphone, e guai se qualcuno si fa vedere con un registratore digitale in mano. Chi ha compiuto e pubblicato il restauro, nascosto sotto lo pseudonimo di uno youtuber, ha fatto un gran lavoro per integrare le diverse fonti, sovrapponendole se necessario o montandole là dove qualcuna presentava dei buchi. Poi c’è una ragione squisitamente musicale: in quel concerto i Pink Floyd usavano un impianto di amplificazione con le casse disposte in cerchio attorno al pubblico; per lo più il missaggio era stereofonico, ma spesso i suoni venivano fatti circolare, o sorvolavano la platea, sotto il controllo di un joystick maneggiato da Rick Wright, l’organista. Quindi la registrazione ora disponibile sul web è più completa e suggestiva di qualunque ripresa che fosse stata fatta (come si usava) collegando un registratore all’uscita stereo del mixer di sala, e in effetti molti dei commenti lasciati in rete affermano che la qualità di questo lavoro è di gran lunga superiore a quella dei bootleg realizzati in modo tradizionale. Infine, sempre sul piano strettamente musicale, c’è il fatto che i Pink Floyd di allora (nel periodo compreso fra le uscite di due dei loro album più noti, Atom Heart Mother e Meddle) sfruttavano la dinamica estrema del loro sistema audio per passare dal pianissimo con cinque “p” al fortissimo con cinque “f”, a dispetto di quanto aveva detto loro Hans Keller, musicologo tedesco, durante un’intervista alla BBC, secondo il quale loro suonavano “sempre troppo forte”. Non era così, e chi c’era – a Brescia - se lo ricorda.
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