Zacharie Ksyk, Gaspard Colin, Nathan Vandenbulcke e Erwan Valazza formano il quartetto jazz ginevrino Mohs.
Definirlo « jazz » è riduttivo. Si tratta piuttosto di un approccio « jazz » a una miscela di influenze diverse che toccano l’elettronica, il pop e il reggae.
Il nome Mohs viene dalla “scala di Mohs” quella usata per classificare la durezza dei minerali presenti in natura, dove il più polveroso è il talco e il più duro il diamante.
Il parallelismo sta in una musica che a volte è totalmente improvvisata e altre scritta a tavolino.
Mohs, la cui genesi è avvenuta dentro e attorno all’HEMU di Losanna, hanno pubblicato da poco il nuovo album “Mirage” con la label francese BMM Records.
È jazz ma è anche crossover con l’elettronica e il pop, un dialogo urbano carico di groove tra il calore umano e i sintetismi di un sequencer.
Abbiamo incontrato Mohs a Lugano, in occasione del loro concerto primaverile allo Studio Foce.
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