Nel 1971 il Festival del Film di Locarno era in crisi: negli anni, si era lentamente staccato dalla città per rinchiudersi in sé stesso. Per riportarlo in contatto col territorio e con la sua popolazione serviva una svolta.
Per questo, la direzione si rivolse a Livio Vacchini, architetto ticinese che decise di portare il festival al centro della città: il grande schermo all’aperto non sarebbe più stato nei giardini del Grand Hôtel, ma in Piazza Grande. La soluzione, da lui stesso definita “folle”, fu realizzata già a partire del 1971 e fu un successo: città e Festival tornavano ad essere un’entità unica; il pubblico si riavvicinò alla manifestazione e quest’ultima guadagnò anche un nuovo simbolo: lo schermo.
Ma se nel 2025 la sostituzione della struttura di Vacchini con un’altra suscita così tanta perplessità e dà persino vita a una petizione, la ragione non è da ricercare solo nel contributo che l’architetto diede alla storia del festival stesso. Il progetto di Vacchini, per cominciare, è un documento dell’architettura dell’epoca: negli anni ’70 la disciplina guardava sempre di più a soluzioni puramente tecniche e ingegneristiche facendone un motivo estetico.
A testimonianza di questo fatto, nei giorni in cui a Locarno si montava per la prima volta lo schermo di Vacchini, a Parigi Renzo Piano e Richard Rogers vincevano il concorso col loro progetto del Centre Pompidou. Quest’ultimo, dalla struttura molto simile a quella dello schermo di Vacchini, prevedeva inizialmente anche dei teli sui quali sarebbero state progettate immagini in movimento, esattamente come a Locarno. Le due opere, cronologicamente ed esteticamente gemelle, stanno ora vivendo due destini opposti: a Locarno quello dell’accantonamento, a Parigi quello della ristrutturazione.
Il Centre Pompidou di Parigi nel 1997
Il progetto di Vacchini non si limitava allo schermo e includeva anche la cabina di proiezione, ricavata da due gusci di piscina sovrapposti e sorretti da una struttura tubolare che faceva sistema con quella dello schermo. La cabina finiva così per richiamare il modulo del primo allunaggio della storia, avvenuto 3 anni prima.
Negli anni questa fu più volte modificata e adattata, e lo stesso avvenne anche per lo schermo, che solo nel 1994 raggiunse quella che Vacchini riteneva fosse la sua forma ideale e definitiva. Ed è questo l’altro elemento-chiave del progetto dell’architetto ticinese: la sua modularità gli permise di riuscire ad adattarsi ai tempi e alle nuove tecniche di proiezione, senza tuttavia snaturarsi né perdere i suoi tratti distintivi.

Il vento mette a nudo il nuovo schermo del Pardo
RSI Info 08.08.2025, 19:07