Arte

Anri Sala - il tempo contemporaneo

In dialogo con i maestri del Rinascimento

  • 31 luglio, 09:14
  • 31 luglio, 09:19
Un frammento da Ravel Unravel presentato alla 55esima Biennale di Venezia nel 2013

Un frammento da Ravel Unravel presentato alla 55esima Biennale di Venezia nel 2013

Di: Vito Calabretta
La contemporaneità è, cioè, una singolare relazione col proprio tempo, che aderisce a esso e, insieme, ne prende le distanze; più precisamente, essa è quella relazione col tempo che aderisce a esso attraverso una sfasatura e un anacronismo. Coloro che coincidono troppo pienamente con l’epoca, che combaciano in ogni punto perfettamente con essa, non sono contemporanei perché, proprio per questo, non riescono a vederla, non possono tenere fisso lo sguardo su di essa. 

Giorgio Agamben: Che cos’è il contemporaneo?. Nottetempo, Milano, 2008

Mah; boh - pensa un avventore.

In una sala di passaggio all’interno della quadreria antica del Kunstmuseum di Basilea sono installati, con eleganza circolare, alcuni recenti lavori di Anri Sala. Si tratta di opere di medio formato (120 x 80 cm anche se le protuberanze alterano la regolarità del rettangolo) dipinte a fresco, cioè con l’antica tecnica di pittura murale, di cui sono celebrate le esecuzioni rinascimentali italiane e che l’artista ha studiato durante il proprio percorso di formazione. Il suo modo di misurarsi oggi con una tradizione ultrasecolare viene considerato come fattore che connota la poetica contemporaneista di Sala. L’indugiare e l’indulgere sulla concettualità del contemporaneo, pratica che egli svolge in modo sofisticato e intelligente, genera risvolti ambivalenti, implicazioni intellettuali e intellettualistiche e sensazioni di opportunismo, forse inconsapevole.

Alcuni degli affreschi prendono spunto da osservazioni effettuate dall’artista attraverso il finestrino di un aereo in volo; altri vogliono essere delle citazioni e anche delle estrapolazioni degli affreschi preparati da Piero della Francesca per il duomo di Arezzo. In tutti i casi noi vediamo un amalgama di colori e di presenze informali, dominate da toni azzurri, grigio-verde, rosa; talvolta si riconoscono dettagli anatomici o volti raffigurati in negativo perché, come possiamo leggere nelle presentazioni, l’artista, per sottolineare alcuni aspetti concettuali del proprio lavoro, elabora le immagini in negativo come se stesse lavorando a una riproduzione fotografica. Ci colpisce altresì l’evidente presenza di protuberanze che vogliono sottolineare la natura storica del concetto di affresco ammiccando al fatto che l’affresco potrebbe essere, anziché prodotto nell’attualità dall’artista, staccato da un muro di un tempo e di una storia presunti. Vi è anche una evidenziazione della struttura metallica che interagisce male con la componente pittorica e che ambisce a sottolinearne la caratteristica di essere parte di una muratura. «Viva l’affresco», verrebbe da dire. Perché sentirsi in dovere, quando si produce un affresco, di sottolineare il fatto che molti affreschi sono oggetti antichi, storici? Non è possibile oggi serenamente dipingere con la tecnica dell’affresco senza indulgere a elucubrazioni concettualose?

Il lavoro di Anri Sala è soprattutto fatto di opere video e insiste sulle relazioni tra spazio, tempo, intervallo e statuto del linguaggio. L’artista preferisce la musica al linguaggio testuale perché la definisce più evocativa, meno assertiva; invece di indicare, convoglia («conveys», dice l’artista) la predisposizione sensitiva di chi fruisce. Nella sua concezione di tempo c’è la storia e in particolare la storia nelle guerre: così egli utilizza il Concerto per la mano sinistra di Maurice Ravel, scritto per un mutilato di guerra; utilizza il Quartetto per la fine dei tempi di Olivier Messiaen scritto durante la cattività in campo di concentramento nazista; dedica un’opera all’assedio di Sarajevo e così via. Il suo lavoro è ricco di spunti e di soluzioni belle; è altresì contrassegnato da concettualizzazioni pretestuose. Ravel Unravel ci fornisce un esempio.  

L’artista afferma che gli intervalli generati dalla discrasia tra le due esecuzioni del Concerto utilizzate nella installazione «non sono stati scritti da Ravel ma resi possibili dalla scrittura». Cosa vuole dire? Al di là dell’ambizione retorica di promuovere una concettualizzazione contemporaneistica di Ravel, sembra una affermazione vuota. Per converso, il gioco plastico di mani sinistre e mano destra è convincente e non necessita della frenesia di rivendicare la propria storicistica contemporaneità.

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