Dal 1981 Gardi Hutter fa il giro del mondo con i suoi spettacoli, tanto da diventare un’icona del teatro fisico comico. Quanti di noi prima o poi nella vita da spettatori non hanno conosciuto il suo alter ego clownesco, hanno riso, si sono immedesimati e commossi con lei guardandola dalla platea? Nei suoi spettacoli di solo, in cui mette in scena grandi e piccoli eroi alle prese con la conquista della propria irraggiungibile felicità, esprime attraverso il gesto del corpo quello che in molti tentano di raccontare a parole, il disincanto e la vitalità, la poetica dell’umanissima esistenza.

Ora, dopo 44 anni di successi e molti premi, recente il Prix Walo per le arti e la scena, ha annunciato con un ultimo tour di voler cambiare rotta, e creare qualcosa di nuovo. Non sappiamo cosa ci attende ma sappiamo che in quel che ha fatto finora, tra la La sarta, La suggeritrice, Giovanna d’ArpPo, Come un topo nel formaggio, per esempio, è sempre riuscita a parlare a tutti indistintamente.
È passata da Lugano qualche settimana fa, portando sul palco la sua lavandaia che immagina le gesti eroiche di Giovanna D’arco - la stessa che porterà a Venezia in Biennale invitata da Willem Dafoe, mentre la simpatica suggeritrice che sa tutto del teatro ma è dimenticata dal mondo, la Suggeritrice, da Basilea arriverà a Bellinzona passando per Verscio. L’ho incontrata a metà strada di questo tour dei ricordi, e ho voluto riavvolgere il nastro facendomi raccontare perché una ragazza decide un giorno di diventare clown…
«Perché? È come spiegare perché ti innamori. Sono cose profonde che realizzi pian piano, che ti corrispondono nel tempo. Uno sviluppo che poi chiami te stessa. Io sono cresciuta in un ambiente in cui non si andava né a teatro né a concerti, non era neppure immaginabile. Quindi questa volontà è arrivata una volta più grande. Mi interessavo di politica, di lavoro sociale, ma della prima non riuscivo a parlarne tanto, e in ambito sociale mi sembrava si facesse tanta fatica per arrivare a cambiare ben poco! Nella cultura invece c’erano tutti e due questi aspetti, e in più ci si divertiva! Questa è stata la mia scoperta, come tanti miei coetanei tra gli anni settanta e ottanta. Potevo mettere tutto quello che mi interessava in un atto creativo, e ne facevo una cosa mia. E lasciamelo dire, quando riesci a far piangere e ridere la gente e la gente vuole ridere e piangere con te, allora sei beata!»
Il gioco di Gardi
Storie 11.04.2022, 12:48
Quindi una vocazione politica…
«Io non faccio politica d’attualità, non mi riferisco a un tale consigliere o a un partito, la mia è politica esistenziale, ovvero quanto possiamo essere stupidi noi essere umani, egocentrici e materialisti. Cerco di rispecchiare la realtà senza però fare la morale. Questo è importante perché sennò non fai più ridere! Si ride per qualcosa di crudele e al contempo pacifico: ridendo si fa la pace. Ridendo si possono dire cose importanti. È grazie a questi contrasti e a questa complementarietà che il mio lavoro continua ad affascinarmi. È quasi mistico: prendo drammi, problemi irrisolvibili, e li trasformo in qualcosa di allegro!»
Hai deciso di fare il clown quando sulla scena non esistevano clownesse
«In quegli anni non era permesso alle donne di ridere degli altri. La risata, la comicità, ha qualcosa di aggressivo che non era previsto nelle virtù femminili, come invece erano la comprensione, l’accoglienza, la dolcezza. Questo non fa ridere, fa piangere! Io però sono cresciuta negli anni sessanta, con tre fratelli maschi: ero arrabbiata, loro avevano sempre più libertà di me. Nel 1968, e dopo, questa mia rabbia ha avuto un nome! Sono cresciuta in anni in cui la donna non votava, alle ragazze era vietato portare i pantaloni, non si poteva vivere insieme prima del matrimonio. Un mondo che oggi i giovani non riescono a immaginare quanto fosse rigido. La società è cambiata».
(Una) Clown numero 1
Diderot 06.11.2019, 17:05
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E come è stata accolta la tua voce da quel mondo lì? Dalla tua famiglia, dalla società all’inizio degli anni 80?
«Mi hanno lasciato fare l’accademia di teatro, pensando che tanto per le ragazze non era così importante avere un mestiere. Tanto poi mi sarei sposata, avrei potuto fare gli spettacolini di Natale coi bambini. In realtà è stato un bene che la pensassero così, perché ho potuto fare tutto di nascosto! In accademia (a Zurigo) mi sono accorta che avevo un talento comico. Ma c’era un problema, non esistevano ruoli comici per giovani donne. Erano tutti tragici, le attrici sono sempre giovani donne bellissime che soffrono per amore, muoiono dicendo parole molto dolci. Insomma, non riuscivo a trovare nessun ruolo all’altezza dei sacrifici che stavo facendo per fare quel mestiere, nel quale mi potessi rispecchiare, dove la giovane donna dicesse cose che pensavo anche io! Soprattutto nella comicità. Quindi, già dopo un anno era chiaro: se volevo recitare, e trasmettere quello che sentivo, avrei dovuto scrivermi io un personaggio. Senza questa costrizione, non avrei mai avuto il coraggio di pretendere di saper scrivere!»
Prima dicevi che la società è cambiata, in realtà i tuoi personaggi parlano ancora tanto, oggi come ieri.
«Sì, perché non uso parole! Il corpo e le emozioni cambiano molto più lentamente, anzi forse non invecchiano affatto. Potrei fare spettacoli anche per un pubblico rinascimentale, e lo emozionerei ancora, perché siamo rimasti semplici. Per questo posso fare spettacoli in tutto il mondo e il pubblico ride negli stessi istanti. Giovanna D’ArpPo ha 44 anni e funziona come all’inizio, proprio perché non parlo. Il linguaggio invece invecchia di più, si riferisce a situazioni concrete e attuali per far ridere, è legato a un tempo preciso, mentre io sono fuori del tempo. Mi ero detta, appena i miei spettacoli mettono su polvere smetto, ma non è successo!»

Gardi Hutter sulla scena a Dresda, 2011
Però hai deciso di terminare con questi solo…
«Sì, voglio fare come una farfalla, un altro, un nuovo dispiegamento di ali. Dopo 10 spettacoli all’attivo, sento la grande necessità di rinnovarmi. Sono sempre clown, comico e semplice, popolare, ma voglio rischiare con qualcosa di nuovo. E per non finire in sordina, ho deciso di fare questa grande festa questo grande giro finale! Anche se tutta l’ondata di affetto che ho raccolto in queste 70 rappresentazioni mi ha commosso e un po’ spaventata, chissà se ci riuscirò ancora!»
Intanto, vai alla Biennale Teatro di Venezia…
«Sì, è bellissimo! C’è sempre questa distinzione tra arte popolare e arte considerata alta. Nella svizzera tedesca questo distacco tra divertimento e arte è sentito in maniera ancora più forte. Ma se la Biennale ti invita vuol dire, per me, riconoscere il nostro contributo artistico, è molto importante. Il tema proposto dal Direttore artistico di quest’anno, Willem Dafoe è The body, e il mio è teatro fisico, quindi…»
La libertà di ridere! (Centro, 14/06/1991)
RSI Audio Video 14.06.1991, 00:00
Ti sei creata sulle scene il tuo alter ego, Hanna… quanto ti ha aiutato questo nella vita reale?
«È carino, posso scaricarle addosso tutte le cose brutte. È il mio compostaggio. Dai rifiuti, dal letame, nascono le cose belle. Compostare è fantastico: dai rifiuti di cucina estraggo dopo un anno la terra ricca. Quindi alla Giovanna, a Hanna, butto addosso tutte rabbie, le angosce, lo stress, le frustrazioni, questo è il suo cibo! Non è di certo l’armonia che fa ridere, sono i problemi e il fallimento. E così, nella vita privata fuori dalla scena, mi posso rilassare».
Prima hai detto che tu avresti voluto occuparti di politica ma poi era difficile parlarne e quindi ti sei dedicata alla cultura. Poi però, nel 1991, sei entrata in Parlamento.
«Sì, questo è stato un momento speciale, una Sternstunde, un’ora stellare! Ti succedere una volta nella vita. C’era la sessione delle donne per il 700esimo della svizzera e i 20 anni del voto alle donne. Mi hanno invitata fare il buffone in parlamento. Sono entrata con il carrello vestita da donna delle pulizie e ho chiesto cosa facessero lì, mi hanno spiegato la questione del voto e io ho risposto: «Ma che 20 anni di donne in parlamento! Sono 700 anni che io ci lavoro qui dentro». Ha avuto una bella risonanza è stato incredibile!»

Gardi Hutter e famiglia
RSI Archivi 27.02.1991, 10:00
I tuoi figli, Juri e Neda, si sono uniti a te per uno spettacolo qualche anno fa, come è stato, cosa ha significato per te creare Gaia Gaudi con loro?
«I miei figli hanno avuto la fortuna di crescere nel nostro ambiente, sono sempre stati in tournée con me, finché hanno iniziato la scuola. Ma per me, ai fini di questa creazione, era fondamentale il fatto che fossero stati rispettivamente 10 e 14 anni fuori casa. Non sono due clown, lavorano con la musica, la danza, la recitazione, hanno vissuto all’estero, hanno le loro vite, ed è stato molto bello incontrarci, creare insieme, con le nostre rispettive compagnie, facendo quel che ci veniva meglio. Certo, anche difficile, perché già creare è complicato, immagina farlo con i propri figli. Il tema per fortuna era il conflitto generazionale, quindi tutti i contrasti che uscivano erano interessanti. Anche se avevamo un coach che ci aiutava nel gestire e separare le emozioni, quelle legate alla sfera famigliare da quelle utili alla creazione, non era evidente perché in fondo io sono la mamma e la produttrice. Ma ho chiarito sin da subito che non avrei messo nessun veto, che sarebbe stato interessante solo se avessimo creato insieme. E ora, siamo tornati insieme in tournée, poco tempo fa, in Messico, che bello che è stato».
Gardi Hutter
Il Gioco del Mondo 24.11.2019, 19:20