Endgültige Form wird von der Architektin am Bau bestimmt è il titolo del Padiglione svizzero alla 19.ma edizione della Biennale di architettura di Venezia un progetto a metà tra architettura e performance, tra realtà e finzione, un intervento progettuale che mette al centro la capacità relazionale, l’ascolto e la sostenibilità.
Curatori/Espositori: Elena Chiavi, Kathrin Füglister, Amy Perkins, Myriam Uzor e Axelle Stiefel (del Gruppo Annexe )
Annexe è un gruppo di quattro architette (Elena Chiavi, Kathrin Füglister, Amy Perkins e Myriam Uzor) formatosi nel 2021 e attivo in tutta la Svizzera, attivo in diversi ambiti: dall’architettura all’arredamento agli eventi. La sua missione è di mettere in primo piano una cultura della costruzione che parta da ciò che è già a portata di mano. Una pratica che intende collegare le risorse materiali con la conoscenza immateriale, mettendo in relazione il passato e il presente e renderlo fondamentalmente sostenibile. Questo, secondo Annexe dà senso all’architettura.
Il gruppo Annexe opera sotto l’egida dell’associazione no-profit Annexe, il cui scopo è quello di riunire architette e architetti per lavorare a progetti di stampo femminista in condizioni di equità.
Il padiglione è visibile alla Biennale di Venezia, alla sede dei Giardini, fino al 23 novembre 2025
Ha preso avvio il 10 maggio la 19.esima Mostra internazionale di architettura alla Biennale di Venezia.
Endgültige Form wird von der Architektin am Bau bestimmt (la forma finale è determinata dall’architetta sul cantiere), è il titolo del padiglione svizzero, curato da cinque donne, quattro architette e una artista, è stato ideato dal collettivo di architette Annexe, formato da Elena Chiavi, Kathrin Füglister, Amy Perkins, Axelle Stiefel e Myriam Uzor. Il progetto mette al centro della sua pratica il dialogo tra presente e passato, tra risorse materiali e conoscenze immateriali.
Le curatrici hanno così pensato di sovrapporre il progetto di Lisbeth Sachs, una delle prime architette registrate in Svizzera, realizzato per L’esposizione svizzera del lavoro femminile del 1952 a Zurigo, e poi demolito, al Padiglione svizzero ai giardini della Biennale, progettato dal suo contemporaneo Bruno Giacometti nel 1958. Il titolo è del resto una citazione della stessa Sachs «La forma finale è determinata dall’architetta sul cantiere».
La visita del padiglione svizzero ai Giardini della Biennale è un’esperienza multisensoriale, un cammino fluido, determinato da pareti di legno, tendaggi che si muovono al vento, strutture circolari che spezzano le ortogonalità della struttura modernista con elementi che collegano l’interno ed esterno del padiglione e creano connessioni con il parco.

Elena Chiavi e Axelle Stiefel al lavoro al Padiglione svizzero della 19.ma Biennale architettura di Venezia
La proposta era di creare uno spazio un’architettura che possa essere vissuta dalle persone che vengono alla Biennale e quindi la proposta diciamo l’obiettivo era di sovrapporre due architetture iconiche che collegano il passato e il presente e con questa esperienza spaziale noi volevamo anche coinvolgere il visitatore nel nostro processo che c’è dietro il progetto.
Elena Chiavi, co-curatrice, architetta

SAFFA 1958 Kunsthalle.
Un gesto progettuale che equivale a una pacifica rivoluzione. Si è lavorato sui dettagli della pavimentazione, portando per esempio degli elementi all’esterno. Un intervento fisico ma anche temporale e simbolico. Con questo gesto Annexe restituisce visibilità a un’architetta misconosciuta, una donna forte, indipendente negli anni ‘50, Lisbeth Sachs, colmando anche una lacuna storica, ovvero l’assenza di donne architetto nei giardini.
Per noi la sua visione è anche molto bella nel contesto attuale, perché si chiede di come usiamo le risorse e il contesto naturale intorno e lei aveva questo approccio inclusivo, innovativo che per noi è diventato un po’ un modello, invece di quelli che abbiamo conosciuto nei nostri studi o nella nostra pratica come giovani architette. E proprio per il progetto della Biennale abbiamo incluso Axelle Stiefel, che è una artista che si definisce come una “embedded artist”. Lei ci ha seguito proprio tutto il tempo, per poter fare le “traduzioni” di quello che volevamo fare nella ricostruzione.
Elena Chiavi, co-curatrice, architetta

L'artista Axelle Stiefel al Padiglione svizzero della 19.ma Biennale architettura di Venezia
Il pubblico è invitato ad immergersi, poco a poco, in questa tensione all’ascolto. L’ascolto delle voci delle quattro architette che durante un anno hanno registrato le loro conversazioni e le loro impressioni. La loro vita quotidiana sul cantiere e non solo. Registrazioni che in seguito hanno riascoltato e fatto in modo che l’installazione sonora potesse coabitare con l’ambiente circostante e fondersi con esso.
È ideale poter essere coinvolte fin da subito, dagli inizi del progetto, ho dovuto adattare la mia presenza a ogni tappa di questo progetto e trovare delle finestre spazio temporali per rendere attente le architette. Era un’esigenza condivisa quella di poter intrattenere un dialogo tra architettura e arte. Ma ho dovuto cercare degli stratagemmi per costruire questa tensione, questo ascolto.
Axelle Stiefel
Ci si muove negli spazi del padiglione arrivando a mettere in dubbio la provenienza dei suoni. Sentiamo, ad esempio, un applauso e pensiamo che sia legato a un evento della Biennale, invece no, si tratta di un suono dello sciopero delle donne del giugno scorso a Zurigo.
Il padiglione svizzero di Venezia
Alphaville 13.05.2025, 11:45
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