Teatro

La prima Biennale di Dafoe

53.esimo Festival internazionale del teatro, prima edizione diretta da Willem Dafoe. Il Leone d’Oro alla carriera va a Elizabeth LeCompte, fondatrice del Wooster Group di New York, figura centrale della sperimentazione teatrale

  • 5 giugno, 14:00
  • Ieri, 08:43
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Willem Dafoe, direttore di Biennale Teatro

Di: Elisabeth Sassi 
The Wooster Group was and is an ongoing experiment. 

Elizabeth LeCompte

La frase risuona come un manifesto all’interno del discorso schietto ed essenziale di Elizabeth LeCompte, pronunciato in occasione della cerimonia di conferimento del Leone d’Oro alla carriera che si è svolta domenica 1° giugno presso la sede della Biennale di Ca’ Giustinian. Un contributo essenziale e incisivo, coerente con lo spirito indipendente che contraddistingue la sua produzione artistica e l’identità del Wooster Group, storica compagnia statunitense di teatro sperimentale della quale LeCompte è cofondatrice. L’atmosfera nella Sala delle Colonne (nella quale si svolge la cerimonia) è distesa e scherzosa, un playground che mi riporta al caos di Symphony of Rats, lo spettacolo che il Wooster Group ha presentato in apertura al Festival.

Ambientato al contempo in un’astronave, nello studio di un artista e in una galleria d’arte, il caos di Symphony of Rats colpisce per la scenografia affollata come un dipinto fiammingo: tavoli di metallo, cavi, un vecchio punching ball, di quelli con la base a terra e l’asta; la metà di una colonna classica con un pallone da basket posato sulla sezione circolare mozzata, un verme troppo grande ma piuttosto vivo su un vassoio; una sedia a rotelle, schermi, un sipario costituito da una specie di lavagna mobile fatta scorrere su una corda tesa.
È uno spettacolo surreale, estremamente citazionista: una sorta di backup della civiltà umana che va dai mukbang video di YouTube alla tigre di William Blake. Ciò che vediamo è una sorta di Atlante Mnemosyne di Aby Warburg o la collezione di tavolette di ceramica dell’artista Martin Kunze raccontate in Memory of Mankind di Marcus Lindeen. Al centro di questo trip c’è il Presidente degli Stati Uniti: uno qualsiasi, basta che stia bene con gli occhiali da aviatore di Tom Cruise o incastonato nella colonna al posto della palla da basket. Poi c’è la musica, forse il più grande “tradimento” del lavoro originale di Richard Foreman. Le registe, Elizabeth LeCompte e Kate Valk, hanno infatti adattato il testo in versi, musicando diverse parti. 

Questo è in parte come si presenta il Wooster Group oggi, ma una testimonianza degli inizi della compagnia ce la fornisce anche il direttore artistico della Biennale Teatro, Willem Dafoe, anche lui tra i fondatori della compagnia.

Ho cominciato nel ‘77. New York, a quel tempo, era una realtà piuttosto tosta. Ma la cosa bella era che c’erano tante persone, che non erano formate nel teatro, e che comunque facevano teatro. C’era una forte estetica amatoriale. C’era un’estetica di comunità. Queste persone non facevano quello che facevano perché pensavano che ne sarebbe uscita una carriera, o che sarebbero diventate famose, o che avrebbero potuto sopravvivere grazie a quel lavoro. Lo facevano perché sentivano il bisogno di farlo, era una reazione alla loro vita. Anch’io mi sentivo così, cosa che viene naturale quando hai 22 anni.

Willem Dafoe

Da quella esperienza durata 27 anni è trascorso diverso tempo e oggi Willem Dafoe, per i più, è riconducibile soprattutto ai suoi ruoli nel cinema, allora la domanda che sorge spontanea è: perché questo ritorno al Teatro?

Mi affascina il rito delle persone che si riuniscono, è come un danzatore attorno al fuoco. Sono ancora molto legato a quella sensazione lì. Quando ho iniziato a vedere i video delle “Plastiques” di Grotowski e a leggere alcune delle teorie sul teatro polacco, mi sono sentito profondamente coinvolto, perché c’era un elemento spirituale o almeno un linguaggio che parlava di un’ambizione che puntava a una certa forma di liberazione, molto vicina a una vocazione spirituale. Una vocazione che ho sempre sentito possibile attraverso il corpo e attraverso il Teatro.

Willem Dafoe

Non a caso la frase che accompagna la programmazione di quest’anno è «Il teatro è corpo, il corpo è poesia».

E se per Willem Dafoe si tratta, in parte, di un’edizione che lo riporta alle sue radici di attore anche per lo spettatore si sta delineando in questi giorni un viaggio tra figure seminali come il Living Theatre, Grotowski, Eugenio Barba, le nuove drammaturgie contemporanee e opere liminari tra il teatro e altre forme espressive. Da dove nasce la scelta che ha portato a una programmazione così diversificata?

Ho cercato di avere una certa varietà, perché penso sia importante dare spazio alla diversità. Vorrei che il pubblico possa, almeno in parte, rivedersi in ciò che sta accadendo. Quindi volevo includere una gamma di esperienze che passa anche per i dervisci di Istanbul a un’artista come Gardi Hutter. È una questione di equilibrio. Questa varietà permette alle persone di considerare il teatro in un senso molto ampio e allo stesso tempo, tutti questi elementi svelano ciò che, secondo me, è il vero potere del teatro.

Willem Dafoe

16:03

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Alphaville 03.06.2025, 11:30

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  • Mario Fabio

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