Arte

La svolta vegetale

Raccolti e racconti: la bellezza del dipinto botanico per un restauro della diversità in agricoltura. Una proposta del MUSE di Trento dal 10 maggio al 22 giugno

  • 3 maggio, 11:57
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Angela Petrini, Limone

  • "Raccolti e Racconti"- MUSE Trento
Di: Annalisa Izzo 

«Vai in giardino a prendermi un limone di pane». «I mandaranci del giardino sono sempre dolcissimi… ». «La vuoi la fetta di pane col piennolo del giardino?». «Sali sulla pianta in giardino, e cogli le crisommole!».

Il giardino era quello di mia nonna, non grandissimo, rigurgitava, oltre il muro di cinta, di varietà di agrumi e frutti che, nutrite dalla terra lavica delle pendici vesuviane, crescevano solo lì ed erano apprezzate in tutta la penisola per i dilaganti profumi e il gusto fieramente dolce. L’onomastica, del resto, dichiarava subito la loro unicità. Si diceva addirittuta che chi non aveva mai assaggiato una crisommola non avesse mai veramente assaggiato un’albicocca. La crisommola è per l’appunto il nome che si dà all’albicocca nella zona vesuviana, dove vivevano i miei nonni e dove crescono alcune delle cultivar più gustose di questo splendido frutto. Crisommola è nome d’origine greca, naturalmente, kroisos melon, e significa frutto dorato. Così le chiama anche Giovanbattista Della Porta, filosofo, alchimista, uomo di scienze napoletano, che nel 1583 distingue dalle comuni bericocche (dallo spagnolo albaricoque), le più pregiate crisomele.

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Angela Petrini, Pompia

  • "Raccolti e Racconti"- MUSE Trento

La grande varietà di questi frutti, tuttavia, si sta riducendo da tempo: non solo per le virosi, non solo per i cambiamenti climatici, per le difficoltà dei produttori a consociarsi, per l’assenza di sostegni e incentivi. Le varietà più antiche scompaiono anche perché i mercati le rigettano. I mercati, che cercano prodotti esteticamente impeccabili, uniformi, resistenti al viaggio e perciò frutti della specializzazione produttiva e delle monocolture. L’effetto che si osserva su scala globale, da decenni oramai, è la drastica riduzione della diversità in agricoltura. La Rete Semi Rurali, una rete di associazioni che promuove attivamente la biodiversità agricola e che riunisce agricoltori, produttori, tecnici e consumatori nella selezione delle sementi, allerta da tempo sulle conseguenze: «perdita della conoscenza sulle varietà locali da parte degli agricoltori e con essa maggiore dipendenza dall’industria sementiera e minore autonomia decisionale; appiattimento e uniformizzazione del paesaggio agrario con conseguente perdita della biodiversità funzionale (ad esempio gli insetti impollinatori); inquinamento ambientale e squilibrio degli ecosistemi; dissociazione tra il mondo di chi produce e di chi consuma». Come sempre, i numeri parlano più della retorica. Il sistema agroalimentare si fonda sull’efficienza, risultato: il 67% della quantità di cibo prodotta sulla terra è fornito da sole nove specie delle seimila che l’uomo ha coltivato nella storia. 

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Adriana Basso, Barbabietola

  • "Raccolti e Racconti"- MUSE Trento

Nel caso del riso ad esempio – secondo fonti RSR – solo 4 varietà coprono circa il 65% della superficie coltivata. A monte di tutto ciò: la concentrazione del mercato sementiero e dei mezzi di produzione «nelle mani di quattro multinazionali agrochimiche che detengono oltre il 60% a livello mondiale della vendita di sementi e di prodotti fitosanitari». Ultimo pezzo del puzzle, le sementi ibride,  commercializzate dai mastodonti del settore, dopo una prima coltura risultano sterili, perciò i produttori di tutto il mondo, anche i più poveri, sono costretti a comprare sempre semi ibridi nuovi,  contrariamente alla tradizione di un mondo agricolo che i semi li conserva e li scambia.

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Castel Belasi a Campodenno, Trento

  • ®Castel Belasi

In Trentino, proprio nel cuore della monocoltura della mela, all’ingresso della Val di Non, s’innalzano le mura di Castel Belasi, una roccaforte del XIII secolo, costruita attorno a una rara torre pentagonale. Nel 2021 questo gioiello medievale ai piedi delle Dolomiti del Brenta è stato aperto al pubblico nella sua nuova veste di «Centro d’arte contemporanea per pratica e pensiero ecologici», a riprova che non è più soltanto il gesto dei singoli artisti e delle artiste a legittimare l’impressione che da qualche decennio (almeno dagli anni Sessanta) assistiamo ad una Botanical Turn, ma che tale svolta ha ormai assunto lo statuto di progetto culturale istituzionale. 

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Adriana Basso, Carciofo

  • "Raccolti e Racconti"- MUSE Trento

Dal 10 maggio e fino al 22 giugno Castel Belasi (diretto dall’artista “ambientale” Stefano Cagol) ospiterà la mostra Raccolti e racconti, la biodiversità nell’arte botanica organizzata da CABI – Comitato per l’Arte Botanica Italiana, in collaborazione con il MUSE – Museo delle Scienze di Trento. L’esposizione fa parte del progetto internazionale di Botanical Art Worldwide 2025, dedicato a celebrare la biodiversità nelle colture vegetali strettamente associate alla specie umana nel corso della storia millenaria dell’agricoltura. Perciò, in oltre trenta Paesi di tutto il mondo si inaugureranno in questi giorni altrettante mostre in cui l’arte botanica richiama all’attenzione di tutti la straordinaria varietà delle piante alimentari e usate dall’uomo a fini terapeutici, tessili, etc.  nel corso dei secoli. La bellezza semplice e raffinatissima dell’illustrazione vegetale si mette così al servizio di una riflessione sull’impoverimento delle varietà attualmente utilizzate nella coltivazione a livello mondiale.

La mostra di Castel Blasi è un percorso visivo che intreccia scienza, arte e storie della specie umana. Un invito a riflettere su ciò che raccogliamo e scegliamo di custodire: semi, saperi, memorie, varietà, racconti.

Helen Catherine Wiesinger, botanica e curatrice per il MUSE

Le 73 opere pittoriche rappresentanto specie vegetali antiche e storiche, spesso coltivate solo in piccole quantità e a rischio di essere perdute. «Nel contesto di una popolazione in crescita, di profondi cambiamenti climatici e di perdita di habitat, la riscoperta e la promozione della diversità genetica vegetale è di straordinaria importanza. Le monoculture, lo sfruttamento industriale delle risorse della terra oltre ad impoverire il suolo rendono le piante coltivate estremamente deboli, inermi contro patogeni che possono improvvisamente devastare i raccolti su scala globale. L’urgenza di un ritorno alla diversità viene comunicata nella mostra dall’estetica stessa delle opere, che celebrano l’impegno e la dedizione di chi conserva e salvaguarda i semi del nostro futuro».

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Maria Lombardi, Farro

  • "Raccolti e Racconti"- MUSE Trento

Le sette sale della mostra mettono in scena vere e proprie storie di resistenza vegetale. Ecco infatti il farro di Monteleone di Spoleto, una varietà le cui prime tracce risalgono all’età del bronzo. Un cereale adatto alla semina in zone montane, dai terreni poveri e soggette al freddo. Un alimento da sempre essenziale per la popolazione locale, celebrato in miti e leggende popolari. Durante la seconda guerra mondiale, quando i nazisti falcidiarono i civili e facero razzia di ogni forma di nutrimento nei villaggi della Valle del Nera, il farro di Monteleone rimase il solo mezzo di sostentamento per la gente di quelle contrade. Ed ecco anche l’olivo Favolosa, una cultivar che si è dimostrata resistente alla peste degli olivi, la famigerata xilella. E il castagno, intorno al quale si è sviluppata un’intera civiltà, frutto che per la sua ricchezza ha dato sostentamento per secoli a popolazioni montane, e che oggi tende a sparire dalla nostra tavola per l’abbandono dei castagneti legato allo spopolamento delle montagne. E poi la cicoria comune, coltivata moltissimo nei tempi di guerra perché la radice torrefatta e macinata fungeva da surrogato del caffè. E il carciofo violetto di Sant’Erasmo, che prende il nome dall’isola della laguna veneta dove è coltivato: il terreno argilloso e dall’alta salinità conferisce agli ortaggi un tale sapore che fin dal Cinquecento l’isola di Sant’Erasmo è un unico grandissimo orto, i cui prodotti venivano trasportati sulle caorline fino al mercato di Rialto. Introdotto a Venezia dalla comunità ebraica, il carciofo violetto nel passato veniva concimato con conchiglie e gusci di granchio. E poi il “cibo mortale”, l’elleboro nero, cui la credenza popolare attribuiva virtù contro la pazzia. E l’arnica montana, che Goethe chiamava «pianta della rapida guarigione», dalle molteplici proprietà curative che cresce nei prati alpini e che, per le sue severe esigenze, non si lascia coltivare. E il vitigno ‘Groppello di Revò’, qui in Trentino capofila dei più strenui resistenti: non solo perché sopravvissuto alla filossera, che nell’Ottocento distrusse le coltivazioni a vite in tutt’Europa, ma soprattutto perché è un antichissimo vitigno autoctono della Val di Non, che viene coltivato sugli irti pendii del lago di Santa Giustina dai pochi agricoltori che non si sono arresi alla monocoltura della mela. Il ‘Groppello di Revò’, la pianta che potrebbe diventare l’icona di questa mostra per il messaggio che fa riverberare proprio da Castel Belasi.

«Raccolti e racconti – dice Helen Catherine Wiesinger – è un itinerario che permette di leggere la storia di homo sapiens nel suo rapporto col mondo vegetale: dalle prime piante addomesticate alle specie arrivate da altri continenti, passando per la selezione e la  trasformazione, fino agli alberi da frutto che hanno disegnato i paesaggi italiani, e alle piante spontanee che nutrono, curano e raccontano il nostro legame, ancora vivo, con il “selvatico”».

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Maria Lombardi, Lycopersicon lycopersicum

  • "Raccolti e Racconti"- MUSE Trento

Svincolata da uno scopo squisitamente tassonomico, l’arte antica dell’illustrazione botanica esce dagli erbari rinascimentali per farsi militante e stimolare un’operazione di vero e proprio «restauro» dell’agricoltura. Un concetto, quello di «restauro ecologico», introdotto dal biologo Roberto Danovaro (Restaurare la natura. Come affrontare la più grande sfida del secolo, Edizioni Ambiente, aprile 2025) e prelevato, non a caso, dal lessico dell’arte. Perché anche la scienza vive, forse, il suo Artistic Turn.

Da oltre trentacinque anni il giardino di mia nonna, dai cui muri di cinta pendevano sulla strada rami carichi di limoni di pane del Vesuvio, non esiste più. Ci è cresciuta sopra una palazzina di quattro appartamenti.

Raccolti e Racconti è la mostra di Arte Botanica (a cura di MUSE e CABI – Comitato per l’Arte Botanica Italiana) proposta per celebrare la diversità nelle colture vegetali strettamente legate alla specie umana, in occasione di Botanical Art Worldwide 2025.
A Castel Belasi di Campedenno (Trento) dal’10 maggio al 22 giugno.

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  • Imago Images
  • Francesca Rodesino e Marco Pagani

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