Arte e Spettacoli

Occasioni di una maschera

A colloquio con Bernie Schürch: la genesi e il percorso di una compagnia svizzera che ha lasciato il segno: i Mummenschanz

  • 28 maggio, 08:07
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Di: Daniele Bernardi 

Accogliendomi nell’assolato giardino della sua abitazione malcantonese, Bernie Schürch, oggi ottantunenne, mi sorride: «Vieni, ti stavo aspettando. Me ne stavo qui, sotto il mio cielo». Alto e robusto, l’attore-mimo mi guida lungo un vialetto che porta alla veranda di casa, dove sediamo di fronte a un caffè per rievocare la genesi e il percorso di una compagnia svizzera che ha decisamente lasciato il segno: i Mummenschanz.

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Realtà celeberrima tuttora attiva, ma da tempo nelle mani di nuove leve sotto la guida esperta di Floriana Frassetto (uno dei tre membri storici del gruppo), i Mummenschanz hanno mosso i loro primi passi alla fine degli anni ‘60, quando, a Parigi, presso la scuola di Jacques Lecoq, quasi per caso i destini artistici di Andres Bossard e Bernie Schürch si incrociano.

«Andres era il contrario di me. Frequentavamo entrambi il secondo anno e quando ci venivano affidate scene da improvvisare o realizzare, lavorando insieme ci rendevamo conto che fra noi era possibile un dialogo creativo. Tutto questo senza conoscerci molto dal punto di vista personale; certo, eravamo entrambi svizzeri, parlavamo lo stesso dialetto e ciò rendeva più facile tutto, ma non era questo il punto. Quello che era interessante era la continua possibilità di scoprire soluzioni e di stupirsi della risposta dell’altro a una propria proposta. In questo senso era estremamente affascinante lavorare con lui».

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Morto per AIDS a soli 48 anni, Andres Bossard (Zurigo, 1944 – 1992) è stato una delle anime portanti, generative, della compagnia. A guardare le fotografie che lo ritraggono appare come qualcuno di grande profondità e delicatezza, ma pure di notevole complessità caratteriale. «Terminati i due anni di formazione ci ritrovammo entrambi seduti per terra, fuori dalla scuola, con negli occhi la stessa identica domanda: “E adesso? Cosa facciamo?” Non sapevamo da che parte cominciare. Nessuno ci voleva, nessuno ci cercava. Ognuno di noi era un nulla e fu allora che capimmo – sulla base di un bisogno concreto, pratico – che forse avremmo dovuto fare qualcosa insieme».

Inizialmente, quindi, Bernie e Andres lavorano in coppia, realizzando i primi spettacoli di strada a partire da materiali elaborati presso la scuola, sotto i nomi di “Gody und Pas” e “Avant et Perdu”. Per entrambi – in verità soprattutto per Bernie, perché dapprincipio Andres si dedicò anche alla creazione di testi di cabaret – è chiaro che la cifra vincente del loro operare esclude la parola e privilegia il corpo, con le sue incredibili potenzialità espressive.

«La rinuncia della lingua – parlata – non è solo una sottrazione, una riduzione, ma pure un’aggiunta, un’amplificazione. Tutto d’un tratto il tuo movimento diventa ancora più importante e scopri che con azioni minime puoi creare un’infinità di cose delle quali, al principio, non eri cosciente. Questo lo avevo intuito presto, ancora prima di iscrivermi da Lecoq, quando ero alla scuola di arte drammatica di Berna. Inoltre, per me, è sempre stato importante dare un momento di gioia, di oblio del quotidiano, al mio interlocutore. E questo già da ragazzo: facendo una buona battuta, che facesse davvero ridere, era come se sentissi di aver avuto un mio primo successo».

Se Andres e Bernie furono il seme originario, sostanziale, da cui germogliò la creatività dei Mummenschanz, è però con l’arrivo di Floriana Frassetto che il gruppo si forma e trova il suo assetto completo. «Facevamo spettacolo a Roma, a Trastevere, in una sala che forse non era nemmeno un vero teatro: avevano montato una pedana di una ventina di centimetri in quello che era un ex-garage o qualcosa di simile. Con Andres eravamo d’accordo che fosse necessario l’arrivo di una terza persona. Lavorare con lui era molto stimolante, ma anche complicato e sapevo che un nuovo elemento sarebbe stato decisivo. Floriana proveniva dal lavoro con Roy Bosier e lo Studio Fersen ed è così che ci conoscemmo: quando ci vide sul palco a Trastevere, fu subito interessata a noi. Ma all’inizio non fu facile collaborare! Lei portò il “tre”, oltre a molto altro. Di colpo il lavoro mio e di Andres veniva messo in discussione da un “terzo”».

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Alla base dei Mummenschanz, nati ufficialmente nel 1972 e il cui nome è una sorta di crasi fra “maschera” e “possibilità”, c’è forse una principale e moderna intuizione, sulla quale il gruppo ha saputo inventare e reinventare formulazioni molteplici: non è ciò che la maschera rappresenta a contare, ma la materia con cui questa è fatta. Di colpo, il supporto diventa il protagonista assoluto della rappresentazione, rinunciando al resto e spingendo il gioco teatrale ad eccessi espressivi di grande impatto. Si pensi alle maschere di pasta modellabile, di carta igienica, a quelle, famosissime, realizzate con plichi di bloc-notes, o ai famosi tubi colorati: è sempre la messa in evidenza del materiale, inafferrabile o solido che sia, a catapultare l’attenzione dello spettatore nel “qui ed ora” (scanzonato, ma pure non scevro di inquietudini) dello spettacolo.

26:55

Bernie Schürch

Il Gioco del Mondo 14.06.2015, 21:15

  • RSI

«Ci siamo detti: esistono già milioni di maschere nel mondo, se è proprio con la maschera che vogliamo fare qualcosa, allora facciamolo con la sua sostanza! Questo è stato il nostro patto creativo, la nostra invenzione. E ciò ci ha fatto sentire molto liberi, perché non c’era stato ancora nessuno che avesse sviluppato quest’idea. Così abbiamo potuto realizzare tutto un alfabeto di possibilità, diverse le une dalle altre ma tutte con la stessa base, che ha dato vita ai caratteri e alle situazioni del nostro repertorio. Dal punto di vista estetico non avevamo influenze predominanti. E lo stesso si può dire rispetto al nostro rapporto col contesto storico-politico di quegli anni, dal quale ci sentivamo piuttosto distaccati».

L’ascesa dei Mummenschanz arriva quindi nel cuore degli anni ‘70, quando, in seguito alle tournées europee, dove il gruppo, specie in Francia, riscuote successo in moltissimi festival, l’agente americano Arthur Shaftman non si lascia sfuggire l’occasione di ingaggiare il trio fra Stati Uniti e Canada.

«Sono stati tre anni intensissimi, di grande soddisfazione, ma pure di enorme fatica. L’America è grande e percorrevamo migliaia e migliaia chilometri in tutte le direzioni. Alla guida stavo sempre io, perché ero il solo ad avere la patente. A un certo punto eravamo così esausti che ci dicemmo: lasciamo perdere. Fu allora che ci venne l’idea di tentare la scalata a Broadway, dove ci installammo in un teatro, il Bijou Theatre, che non aveva nemmeno il numero di posti richiesti per essere qualificato come “teatro di Broadway”. Ricordo ancora quando andammo lì per la prima volta, una mattina d’inverno, io e Floriana. In men che non si dica sostituimmo la compagnia di danza che vi aveva sede – praticamente li buttammo fuori – e iniziò una nuova epoca, che ci vide assumere, formare e istruire altri colleghi perché potessero andare in scena al posto nostro mentre noi, al contempo, eravamo impegnati altrove. Dovevamo farlo: il successo era tale che ci venivano richiesti fino a otto pezzi diversi a settimana!».

La risposta del pubblico è fortissima e quello che inizialmente era un piccolo gruppo si trasforma in un vero e proprio fenomeno di massa. Infatti, molto presto non è più solo il teatro a vedere impegnato il terzetto, ma pure la televisione: la presenza dei Mummenschanz è richiesta ovunque, anche in programmi popolarissimi come il mitico «Muppet Show».

Man mano la compagnia assume l’aspetto di una vera e propria azienda, con un considerevole numero di collaboratori e continui ingaggi che, durante il decennio degli anni ‘80, la vede muoversi fra la Rote Fabrik di Zurigo, dove per un periodo vi si installa, e gli Stati Uniti, in cui è costantemente richiesta la sua presenza. Gli impegni si moltiplicano, così come le collaborazioni in ambito coreografico o col Circo Nazionale Svizzero Knie. Sono gli anni di The News Show, spettacolo che, nuovamente, la vede trionfare a Broadway nel ‘86. Ma è proprio allora, all’apice del successo, che Andres Bossard si ammala e successivamente muore, lasciando sprovvisto il gruppo di una delle sue brillanti menti. Non è un momento facile per Bernie e Floriana, che si trovano a fronteggiare la perdita dell’amico.

«Per un periodo non ho veramente capito cosa avesse Andres. Non era chiaro, con lui, quanto fosse “gioco” e quanto realtà. Come Mummenschanz eravamo in un buon momento, dove tutto andava a gonfie vele e quando mancò fu molto doloroso, complicato. Non potevamo certo chiudere baracca. Bisognava sostituirlo e così facemmo, anche se devo ammettere di non aver mai più trovato un partner artistico alla sua altezza, proprio per il tipo di rapporto di lunga data che c’era fra noi. È chiaro che con la sua morte finì una stagione, anche se a quel punto eravamo già diventati un “prodotto”: da un po’ di tempo altri replicavano i nostri numeri e le idee portanti avevano ormai avuto luogo».

Nel 2022 i Mummenschanz hanno festeggiato i loro 50 anni di attività, mentre già da una decina, dopo 5’700 rappresentazioni che lo hanno visto sui palcoscenici di tutto il mondo, Bernie Schürch si è ritirato. I festeggiamenti hanno portato, naturalmente, alla realizzazione di uno spettacolo diretto da Floriana Frassetto (50 Years), come pure di una mostra, allestita presso il Kulturmuseum di San Gallo. Dal 1988 esiste inoltre una vera e propria fondazione, che si cura della conservazione e della trasmissione del patrimonio creativo della compagnia. Sarà forse per questo che per Schürch è stato estremamente naturale uscire di scena nel 2012.

«Quando ho annunciato che avrei smesso, inizialmente Floriana non voleva. Io le ho detto che ero pronto a tutto, anche chiudere il gruppo e concludere il percorso: ero molto fiero di quello che avevamo fatto, di come eravamo riusciti, fra mille difficoltà e sfide, a vivere dei nostri sogni e del nostro lavoro. Allora lei mi ha chiesto se potesse continuare senza di me, ed io ho risposto che se lo voleva, se se la sentiva, per me andava benissimo. Per quanto mi riguardava, invece, la fase più creativa della mia vita era trascorsa. Da tempo mi ritenevo più un interprete che un artista e ciò andava anche bene, perché ero molto grato al destino della fortuna e del successo. Ma, come accade con ogni mestiere, era venuto il momento nel quale era giusto smettere e lasciare il posto ad altri. Avevo avuto tanto e mi ritenevo soddisfatto».

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50 candeline per i Mummenschanz

RSI Info 10.12.2021, 06:49

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