Arte

Pellizza da Volpedo, un pittore tra verità ed emozione

Profondo osservatore della società e della natura, fu tra i principali interpreti della pittura divisionista. Un prezioso nucleo di suoi lavori è ora in mostra alla GAM di Milano

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Giuseppe Pellizza da Volpedo, Lo specchio della vita,  1895-1898

Giuseppe Pellizza da Volpedo, Lo specchio della vita, 1895-1898

  • Torino, GAM - Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea
Di: Francesca Cogoni 

Tre figure avanzano determinate e fiduciose. Alle loro spalle una “fiumana” composita e compatta le segue. Sono gli “antesignani del progresso” secondo Giuseppe Pellizza da Volpedo, il pittore che, a cavallo fra Ottocento e Novecento, li raffigurò in quello che è unanimemente considerato uno dei capolavori della storia dell’arte italiana.

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Pellizza da Volpedo: oltre il Quarto Stato

Voci dipinte 23.11.2025, 10:35

  • Imago Images
  • Emanuela Burgazzoli

«Un simbolo dove però l’utopia è dipinta con la forza della verità» per usare le parole dello stesso artista, Il Quarto Stato (1898-1901) è una tela maestosa in cui agli ideali socialisti ‒ ben incarnati dalla fitta schiera di lavoratori ritratti mentre si battono per l’equità e la democrazia ‒ si affianca la grande padronanza della tecnica pittorica divisionista, esito di un attento studio degli effetti di luce e colore. Un’opera proiettata verso il futuro sotto ogni punto di vista, e che tutt’oggi stupisce per la sua forte valenza espressiva e storica, arricchendo il percorso espositivo della Galleria d’arte moderna di Milano, che la accoglie stabilmente dal 2022.

Giuseppe Pellizza da Volpedo, "Il Quarto Stato", 1898-1901

Giuseppe Pellizza da Volpedo, "Il Quarto Stato", 1898-1901

  • Luca Carrà

Fino al 25 gennaio 2026, grazie alla mostra monografica Pellizza da Volpedo. I capolavoriIl Quarto Stato è in buona compagnia: altri quaranta splendidi dipinti del grande artista piemontese sono esposti al piano terra della GAM, offrendo un’occasione imperdibile per ammirare alcune delle sue opere più affascinanti ed emblematiche. Coloro che poi volessero approfondire la conoscenza della prima fase della sua carriera, possono fare tappa alla Pinacoteca Divisionismo Tortona, dove fino al 15 febbraio sarà allestito il focus Il giovane Pellizza. Accademie, maestri e prime esperienze: 1883–1890, che ripercorre gli anni della formazione attraverso una selezione di lavori raramente esposti.

Vissuto in bilico fra due secoli, in un’epoca di grandi rivoluzioni storico-sociali, Giuseppe Pellizza da Volpedo era un pittore sensibilissimo e attento al mondo che mutava intorno a lui, capace di captare quei fermenti e barlumi che di lì a poco avrebbero dato origine alle avanguardie. La sua produzione testimonia il costante desiderio di innovarsi, misurandosi con le novità tecniche del proprio tempo e ampliando i propri orizzonti creativi e intellettuali.

Non solo: nel corso della sua purtroppo breve carriera, Pellizza cercò sempre di elevare la sua arte, impregnandola di significati profondi, in primis la ricerca di una simbiosi fra uomo e natura e l’impegno verso una società più giusta. «Il mio scopo è il bene dell’umanità, è di esprimere le verità che arridono al mio intelletto. Cosa importa se sarò disprezzato, vilipeso? L’arte deve sublimarsi nel pensiero. Amo più esser giusto nel pensiero che nella forma» dichiarò.

Nato nel 1868 a Volpedo (AL), in una famiglia di piccoli proprietari terrieri e viticoltori, Pellizza manifesta fin da giovanissimo una forte propensione per il disegno e la volontà di compiere studi artistici. A quindici anni si trasferisce a Milano, grazie al sostegno dell’amico gallerista Alberto Grubicy, e inizia ben presto a frequentare i corsi dell’Accademia di Belle Arti di Brera. Si esercita con profitto nella copia dal vero, iniziando a realizzare alcuni dipinti di genere e di impronta realista. Conclusa la formazione a Brera, Pellizza decide di proseguire i suoi studi a Roma, dove si iscrive all’Accademia di San Luca e frequenta al contempo la scuola libera di nudo all’Accademia di Francia presso Villa Medici.

Immagini dalla mostra dedicata a Giuseppe Pellizza da Volpedo

Della Capitale apprezza la vicinanza alle bellezze dell’antichità e all’arte rinascimentale, ma non l’ambiente accademico, così si sposta prima a Firenze, dove ha come maestro Giovanni Fattori ed entra in contatto con il gruppo dei Macchiaioli, e poi a Bergamo, dove all’Accademia Carrara è allievo di Cesare Tallone. Un succedersi di esperienze, incontri e stimoli che permette a Pellizza di operare in contesti culturali diversi e di confrontarsi con molti altri artisti, portandolo a prendere progressivamente le distanze dagli stilemi del realismo tardo ottocentesco per sperimentare nuove soluzioni espressive.

Nel 1889, Pellizza si reca a Parigi per visitare l’Esposizione Universale, ma è costretto a interrompere il viaggio e a fare rientro a Volpedo in seguito alla morte della sorella minore Antonietta. Profondamente colpito dal tragico evento, realizza uno dei dipinti più significativi della prima fase della sua carriera: Ricordo di un dolore, un quadro carico di malinconia, essenziale ma fortemente incisivo; lavoro che l’artista donerà qualche anno dopo all’Accademia Carrara, come a sancire il proficuo periodo di formazione lì trascorso.

Dopo una breve esperienza presso l’Accademia Ligustica di Genova, nel 1890 Pellizza considera concluso il suo apprendistato e riadatta un locale adiacente alla casa di famiglia per ricavarne uno studio in cui dipingere. Gli anni immediatamente successivi rappresentano un periodo cruciale per la sua vita e la sua carriera: sposa la giovane Teresa, che ritrarrà in diversi quadri, e si avvicina alla pittura divisionista.

Frutto di lunghi studi sul colore, Speranze deluse (1894) e Sul fienile (1893-1894) sono i primi grandi quadri divisionisti di Pellizza, caratterizzati da una maggiore luminosità rispetto ai lavori precedenti, grazie all’uso di colori puri applicati a lunghi tratti o a puntini secondo le leggi della complementarità. Le scene di vita popolare e quotidiana, che tanto interessano al pittore, sono ora rese con estrema vividezza e con effetti luministici di grande intensità e suggestione.

Giuseppe Pellizza da Volpedo, Autoritratto, 1897-99

Giuseppe Pellizza da Volpedo, Autoritratto, 1897-99

  • Gabinetto Fotografico delle Gallerie degli Uffizi

L’adesione di Pellizza al divisionismo si accompagna all’infittirsi dei contatti e degli scambi epistolari con artisti a lui affini, come Angelo Morbelli e Giovanni Segantini. «Gli antichi glorificavano i loro dei, il Medioevo i suoi santi e noi glorificheremo la gran madre, la Natura, nei suoi spettacoli più grandiosi, nelle sue forme più tipiche – nei suoi organismi più vitali. Ma nella bisogna ci insegnano sempre i grandi artisti dell’antichità e del Medioevo, Raffaello più di tutti.

Sulle loro orme, non tralasciando le ultime conquiste dell’impressionismo e del divisionismo, anche la pittura moderna potrà lasciare i suoi capolavori al futuro» scrive l’artista in una lettera del 1894 indirizzata al pittore divisionista Matteo Olivero. E di capolavori Pellizza ne creerà tanti nel corso degli anni successivi, senza mai smettere di osservare la società e di contemplare la natura, e senza mai abbandonare la sua amata Volpedo, da cui si sposterà solo per brevi soggiorni nelle principali città d’arte e in Engadina, sulle tracce di Segantini.

Pensoso e sicuro, così come si raffigura nel peculiare Autoritratto del 1897-1899, dove posa nel suo studio circondato dagli strumenti di lavoro e da elementi che simbolicamente rimandano alla vita e alla morte, Pellizza inaugura il nuovo secolo ultimando la sua opera più nota, Il Quarto Stato, mantenendo viva l’attenzione verso le tematiche sociali (Membra stanche [Famiglia di emigranti], Fiore reciso o Il morticino…) e instaurando con il paesaggio un dialogo sempre più profondo, intriso di echi simbolisti e alimentato da forti emozioni (Idillio campestre, La Clementina, Valletta a Volpedo, Mattino d’estate…).

Tra i capolavori della maturità del pittore vi è senz’altro Il sole (1904), meravigliosa e vibrante celebrazione della natura. «Bisogna volgersi a Pellizza per sentirsi illuminati da un sole che sembri davvero quello dell’avvenire» scriverà anni dopo Primo Levi, rapito dalla bellezza di questo dipinto che è simbolo di rinascita e speranza. Purtroppo, la speranza e la fiducia che in questi primi anni del Novecento accompagnano l’artista, rinfrancato anche dall’acquisto del Sole da parte dello Stato per ampliare la collezione della Galleria d’arte moderna di Roma, non dureranno a lungo.

Nel 1907, la morte della moglie e del loro terzogenito fanno piombare Giuseppe Pellizza da Volpedo nel totale sconforto, tanto da indurlo al suicidio a soli trentanove anni. Saranno le figlie Nerina e Maria, una volta cresciute, a impegnarsi nella preservazione delle sue opere e a mantenerne vive la memoria e la straordinaria eredità artistica.

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