Arte

Tita Carloni

La voce del territorio

  • 24 giugno 2023, 00:00
  • 31 agosto 2023, 11:54
Tita Carloni
  • TiPress
Di: Mattia Cavadini

Architetto, insegnante, uomo di cultura, grande lettore, amante della lingua e del dialetto … e ancora uomo politico, difensore della natura e degli animali, infaticabile camminatore: Tita Carloni (24 giugno 1931 – 25 novembre 2012) ha compiuto un percorso difficilmente circoscrivibile.

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  • © TiPress

Se si guarda alla sua formazione (diploma al politecnico federale di Zurigo nel 1954) e alla sua prima attività (studi con Rino Tami e Peppo Brivio, collaborazione con Luigi Camenisch dal 1956 al 1961, con Luigi Snozzi e Livio Vacchini dal 1965 al 1968; con Mario Botta per il progetto del Politecnico Federale di Losanna nel 1970; con Max Bill per la realizzazione dell'Esposizione nazionale di Losanna nel 1964) gli si dovrebbe assegnare la designazione di architetto. Salvo che per Carloni l’architettura non è mai stata sganciata né dall’uomo che la produce né dal territorio che la ospita. Ecco allora che la designazione di architetto risulta povera, incapace di descrivere un’attività e una riflessione (ricordiamo tra parentesi che Carloni è stato anche Professore all'Università di Ginevra, membro della Commissione cantonale della protezione dei monumenti, della Commissione federale delle belle arti e deputato del Partito socialista autonomo al Gran Consiglio ticinese) che hanno superato continuamente i limiti tecnici e specifici della professione, per aprirsi a un universo che ingloba la sfera dell’ oikos (l'ambiente) e del bios (la vita in tutte le sue forme).

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RSI Cultura 23.02.2016, 10:37

  • © Studio d'architettura Tita Carloni

L’etichetta allora che forse meglio descrive la figura di Carloni è quella di ecologista, etichetta che non va però intesa in termini politici quanto piuttosto in termini ontologici: ecologia come modo d’essere, come dimensione radicata nel profondo, che costantemente incide sul fare e sul pensare quotidiano. Già, perché quando Carloni diceva o scriveva qualcosa (non importa se l’argomento fosse la pianificazione, l’urbanistica, il restauro o i camosci) nella sua voce parlava anche il territorio, con i suoi abitanti, non solo umani, ma anche animali e vegetali, come se in essa riecheggiasse il suono di quella antica alleanza che saggiamente univa l’uomo alla natura (si leggano a questo proposito gli articoli raccolti nel libro Pathopolis, edito da Casagrande).

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RSI Cultura 23.02.2016, 10:31

  • © Studio d'architettura Tita Carloni

Natura ma anche cultura. Perché se da un lato c’è l’ambiente (da rispettare, da tutelare dal sopruso e dal saccheggio edilizio), dall’altro c’è l’uomo, con la sua storia, la sua evoluzione, le sue innovazioni. Che non vanno neglette, bensì usate non a detrimento, ma nel rispetto dell’ambiente. Ecco allora che il restauro deve essere critico, che le scelte architettoniche devono tenere conto tanto della tradizione quanto della modernità, in un gioco di equilibri contrapposti. Equilibri di cui rendono testimonianze le sue realizzazioni più significative, dalla Casa Balmelli a Rovio (1957) alla Casa Perucchi ad Arosio (1970), dalle Case a schiera di Balerna (1974) alle Case d'appartamenti, negozi e uffici a Lugano (1960), dalla Scuola a Stabio (1974) alla Casa del Popolo a Lugano (1971), dal restauro del Convento dei cappuccini e delle case parrocchiali a Sorengo (1971) a quello di Palazzo City a Chiasso (1989).

Carloni - Documenti video RSI

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