«Tutti i film che ho fatto finora sono abbastanza buoni, ho ricevuto diversi elogi… ma personalmente li considero opere minori. Spero di riuscire a realizzarne uno davvero valido, nel corso della mia vita. Che potrebbe sembrare un’affermazione di umiltà, ma anche di grande ego». Solo una vecchia dichiarazione rilasciata a Indiewire intorno all’uscita di Paradiso amaro (The Descendants), nel 2011, però dentro c’è tutta la poetica di Alexander Payne. Il film lo proiettano nel pomeriggio al Gran Rex, alla presenza del regista Pardo d’Onore di questa settantottesima edizione del Locarno Film Festival.
Payne è uno di quei registi che, a ogni intervista letta, inevitabilmente rafforza l’illusione (pia) di noi spettatori, che crediamo di conoscerlo perché abbiamo visto i suoi film. Alexander dev’essere proprio come i suoi personaggi – pensiamo – non c’è dubbio: sincero, pieno di dubbi, colto, inadeguato, umano. Sicuramente ci sbagliamo: non sappiamo niente della vita di un regista-star di Hollywood, che gira con George Clooney e Matt Damon. Ma questo non è un saggio sulle cosiddette relazioni parasociali nel ventesimo secolo, le stesse per cui molti pensano di conoscere Taylor Swift sulla base del suo feed di Instagram. E non è neppure un articolo di celebrity journalism, che cerca di gettare luce sulla vita privata di un filmmaker milionario, peraltro deciso a mantenere parte della sua vita nella città natale di Omaha, Nebraska, lontano dalle mille luci di New York e Los Angeles. Al massimo, questo è un articolo sulla capacità di Alexander Payne di continuare a mettere in scena storie profondamente umane, cavalcando il mainstream hollywoodiano con spirito indipendente. Payne che si è trasformato, negli anni, in uno dei re di Indiewood. Un posto che, pare, esiste davvero. O meglio.
Per carità, quasi tutti i grandi registi hollywoodiani dell’ultimo mezzo secolo sono stati in qualche modo indipendenti nelle prime fasi della loro carriera, ma è altrettanto vero che dagli anni Novanta in poi si è delineato chiaramente un movimento – per quanto disordinato e poco organizzato – di autori capaci di offrire ai grandi studios un modo per occupare lo spazio vuoto che si trova a metà strada tra il classico blockbuster, prodotto da grandi conglomerati mediatici (per esempio Disney, o Universal) con un budget che oscilla tra i 150 e i 200 milioni di dollari, e il film davvero indipendente, il cui budget non supera i 5 milioni.
I film di Indiewood hanno generalmente un budget compreso tra i 15 e i 40 milioni, ancora drasticamente inferiore rispetto a quello delle grandi produzioni, ma ben più alto rispetto a quello dei film indipendenti. In questo tipo di produzioni, ai registi è concesso un buon grado di autonomia creativa da parte degli studios, ma i film riescono ad attrarre un pubblico ampio, pescando sia dal bacino degli spettatori abituati al cinema mainstream che da quello di chi frequenta le arthouse.
Indiewood è stato un paradiso terrestre per gente come Payne, Paul Thomas Anderson, Wes Anderson, Sofia Coppola, David O. Russell… L’elenco potrebbe andare avanti a lungo, e comprendere anche autori che, alla lunga, hanno finito per assaggiare anche i veri budget hollywoodiani, da Steven Soderbergh a Sam Mendes, a Quentin Tarantino. Però, ogni paradiso può diventare amaro, si sa. Nel 2004 Payne scriveva su Variety che il rapporto tra i grandi film “da studios” e i film indipendenti stava diventando più sano, riducendo l’abitudine dell’industria di «affamare i film di piccole e medie dimensioni, per alimentare la bestia dei tentpole movies», e imponendo sul mercato più cinema «intelligente, stimolante, umano» e meno orientato dal marketing, che desiderava la produzione di «cartoni animati glorificati».
Oggi sappiamo che il decennio successivo di Hollywood sarebbe stato dominato dal mainstream supereroico marvelliano (contro cui personalmente non ho nulla, anzi), e la frase con cui Payne chiudeva il suo intervento suona piuttosto ottimistica: «Abbiamo il potenziale per far nascere una nuova era, in cui gli studi cinematografici e i registi si uniscano come non accadeva da una generazione […] se gli studios sapranno cogliere i segnali e agire, avranno l’opportunità eccezionale non solo di collaborare con registi “indipendenti”, ma di assumere essi stessi il ruolo di veri indipendenti».
Oggi sappiamo che, neanche un lustro dopo il successo di Sideways – In viaggio con Jack (a oggi il più importante della carriera di Payne insieme al già citato Paradiso amaro), le major cinematografiche avrebbero reagito alla crisi economica del 2008 chiudendo le loro divisioni specializzate in produzioni indipendenti, da Miramax a United Artists. E che spesso i registi indipendenti (si veda, tanto per citare un caso eclatante, Chloé Zhao) finiscono a fare film popolati di tizi col mantello che volano.
E allora, ecco che continuare a fare il cinema umano di Payne diventa un atto di resistenza. Anzi, oggi suonano ancora più attuali – in un mondo in cui i teatri di guerra sono sempre più vicini e sempre più disumani – le sue parole: «Con la disumanità che ci viene imposta dai governi, dai terroristi e dalle multinazionali, realizzare un film puramente umano è oggi un atto politico. Realizzare un film su persone emarginate è un atto politico. Realizzare un film sull’amore è un atto politico. Realizzare un film su una singola emozione umana, è un atto politico». Il personale è politico, niente di nuovo sotto il sole. Ma nel caso di Payne è anche confortante – probabilmente il termine non gli piacerebbe – e perfino terapeutico.
La Payne-terapia prevede che ci vengano raccontate, con grande precisione estetica e narrativa, storie di personaggi che molto spesso possiamo catalogare come perdenti, falliti. Categoria che comprende quasi tutti noi, e quindi provoca naturalmente immedesimazione. Soprattutto se questi personaggi vengono presi in giro, con l’affetto e la consapevolezza «che non siamo migliori di loro, anzi, che anche noi siamo piuttosto patetici, a modo nostro». Mal comune, mezzo gaudio: anche questa non è certo una novità, ma forse ci fa davvero stare meglio. Soprattutto se questa consapevolezza arriva grazie a film meravigliosi.
Speciale Locarno 78
Tra le righe 15.08.2025, 13:00
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