Cinema

Ai giudici non piaceva il tango...

Perché Ultimo tango a Parigi di Bernardo Bertolucci venne considerato così pericoloso da essere condannato alla distruzione?

  • Oggi, 10:00
Il regista di "Ultimo tango a Parigi"  (Parma, 1941 – Roma, 2018)

Il regista di "Ultimo tango a Parigi" (Parma, 1941 – Roma, 2018)

Di: Romano Giuffrida 

A Parigi, in un appartamento sfitto, avviene l’incontro casuale tra il quarantacinquenne americano Paul (Marlon Brando, 1924-2004) e la diciannovenne francese Jeanne (Maria Schneider, 1952-2011). I due, senza conoscersi e senza rivelarsi nemmeno i propri nomi, iniziano una relazione in cui il sesso sembra essere l’unica forma reale di linguaggio. In breve tempo, Jeanne comprende la natura malata del rapporto e decide di troncarlo. Sulle note in minore del sax di Gato Barbieri (autore della colonna musicale), si arriva così a un tragico finale. E’ questa, in massima sintesi, la trama del film Ultimo tango a Parigi del regista Bernardo Bertolucci (1941-2018). Proiettato per la prima volta in Italia Il 15 dicembre del 1972, dopo un calvario giudiziario di quattro anni, il 29 gennaio 1976 la Corte Suprema di Cassazione, considerando la pellicola «un cospicuo saggio di pornografia», ordinò la distruzione di tutte le copie del film esistenti, la condanna a due mesi di prigione (con la condizionale) per il regista, il produttore, lo sceneggiatore e i due attori principali, nonché la decadenza per cinque anni dei diritti civili di Bertolucci. Si dovette attendere il 1987 perché, grazie a una pellicola che era stata salvata clandestinamente, il film potesse essere nuovamente visonato da un giudice e, alla fine, considerato un’opera d’arte non offensiva per il senso del pudore.

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Ultimo tango ha numerose chiavi di lettura, ad esempio: la disperazione esistenziale di Paul che si illude di elaborare un drammatico lutto fagocitando la vitalità di una giovane; l’ultima ribellione post-sessantottina di Jeanne prima di convolare a nozze e vita borghesi; il senso di fine insito nelle scene erotiche, intese come «approvazione della vita fin dentro la morte» (L’erotismo – 1957, Georges Bataille, 1897-1962); il tango stesso, metafora dell’istinto passionale, ma triste perché consapevole della fuggevole illusorietà dell’esistere. Su tutte queste chiavi di lettura, si potrebbe scrivere più di un libro.

C’è però un altro tema che non può essere ignorato: la paura del sistema davanti al film, evidenziata dalla pesantezza della condanna subita.

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«La trasgressione? All’epoca era qualcosa nel vento, a cui non si poteva resistere. Era un atto politico». Disse così Bertolucci parlando anni dopo dello spirito che informò il suo film. L’epoca era appunto quella dell’inizio degli anni Settanta del secolo scorso, con il ’68 appena dietro l’angolo. Sull’onda dello slogan Vietato vietare che aveva entusiasmato i ragazzi del Maggio, indubbiamente la parola trasgressione era divenuta molto à la page in quel periodo. Osservandolo dal lato giudiziario, viene però il dubbio che Ultimo tango a Parigi fosse tutto fuorché trasgressivo. Infatti, come sostiene lo psicologo Umberto Galimberti (1942): «La trasgressione è la glorificazione del limite... la trasgressione non infirma l’intangibilità del divieto, ma semmai lo ribadisce e lo completa... la trasgressione non ha nulla di scandaloso o di sovversivo». In altre parole, la trasgressione è il momento festivo che sospende la regola per riaffermarla, immediatamente dopo, nella sua radicalità. Perché, allora, una condanna così dura per Ultimo tango quando, contemporaneamente, nelle sale italiane venivano proiettati senza clamore e senza crociate moralistiche, film a carattere erotico come Gola profonda di Gerard Damiano o Conoscenza carnale di una ninfomane di A.B. Greent?

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Si sa: l’atto di guardare non è neutro, la nostra visione è condizionata da parametri culturali e sociali. Ecco che, forse, altri due paragrafi della sentenza ci possono allora essere utili per capire il perché di tanto accanimento.

Secondo i giudici la pellicola era caratterizzata da «una narrazione astutamente infarcita di intellettualismo, esistenzialismo, psicanalisi» (lasciando così intendere che quest’ultimi fossero pericoli che minavano le basi della società). Non solo: sempre nella sentenza, la protagonista Jeanne, veniva giudicata «una ragazza spregiudicata del nostro tempo, disincantata, indifferente o contestatrice verso gli istituti e verso taluni valori etici della società che la esprime, propensa verso ogni forma di edonismo, sessualmente disponibile, apparentemente aliena ad ogni convenzionalismo». In altre parole, una strega.

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Nella famosa scena in cui viene mimato un atto di sodomia su Jeanne (un pessimo inciampo di Bertolucci e Brando che, pur di avere un effetto-verità durante la ripresa, decisero di girarla senza avvisare Maria Schneider, scelta che da lei venne vissuta come uno stupro psicologico), Paul recita: «Voglio farti un discorso sulla famiglia: quella santa istituzione inventata per educare i selvaggi alla virtù… E adesso ripeti insieme a me […]: santa famiglia, sacrario di buoni cittadini, dove i bambini sono torturati finché non dicono la prima bugia, dove la volontà è spezzata dalla repressione, la libertà è assassinata dall’egoismo…». Indubbiamente questo era un discorso politico sovversivo che metteva in discussione uno dei capisaldi fondanti la società occidentale, oltretutto in linea con i tempi: Morte della famiglia di David Cooper era stato pubblicato nel 1971 e il tema era nodale in tutto il movimento antisistemico di quegli anni.

Ecco quindi il punto: altro che trasgressione. Quella suggerita da Ultimo tango era perversione (dal lat. pervertĕre : «sconvolgere, mettere sottosopra», quindi mutare in modo radicale), infatti: «La perversione è rovesciamento, stravolgimento ... significa rovesciare tutta la struttura esistente a livello relazionale» (Giovanna Panigadi, Donne crude in valigia – 2017, Aletti).

Con la critica all’istituto familiare, superando un confine culturale politico e religioso considerato invalicabile, Bertolucci innegabilmente aveva messo in scena una perversione politica anti borghese. 

Dunque: la condanna era per erotismo o per eresia? L’atteggiamento inquisitorio che si affermò farebbe propendere per la seconda ipotesi.

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Approfondimento: Bertolucci sogna il cinema

Alphaville 08.01.2024, 12:35

  • Keystone
  • Mattia Pelli

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