Shain Boumedine è il volto di Amin in Mektoub My Love: Canto due di Abdellatif Kechiche, presentato in anteprima in concorso a Locarno 2025. Un film che ha avuto una realizzazione a dir poco travagliata.
Canto uno, presentato a Venezia nel 2017, aveva diviso la critica e lanciato una nuova star, Ophèlie Bau. Insistendo sul suo tema preferito – amore e sesso tra protagonisti giovani e bellissimi – Kechiche, nell’attesa di Canto Due, aveva realizzato nel 2019 Intermezzo, presentato in concorso a Cannes non esattamente tra le ovazioni, e mai uscito in sala anche per problemi di diritti sulla musica. La stessa Ophèlie Bau si era ribellata al film, accusando il regista di avere montato scene di sesso senza il suo consenso.

Così, sono passati altri sei anni prima che fosse terminato questo Canto due, dove ritroviamo gli stessi protagonisti, che non sono affatto invecchiati. Perché le riprese sono dello stesso periodo degli episodi precedenti, come conferma lo stesso Boumedine: «I tre episodi sono stati in realtà girati insieme, nell’arco di un anno e mezzo. Amin è dunque sempre lo stesso protagonista, aperto alle esperienze, scena dopo scena, ma sempre teso a sviluppare sé stesso e a tenere la sua rotta, traendo linfa da tutto ciò che è successo in precedenza».
Ma il mare nel quale deve tenere la rotta è quello burrascoso del mektoub del titolo, cioè il destino, anzi, letteralmente “ciò che è scritto”: «È qualcosa che guida anche la mia vita – chiosa Boumedine – qualcosa che non scegli. Mi sono lasciato trasportare anche io, da un’esperienza cinematografica che non avevo previsto, perché io stavo studiando altro, quando mi proposero il film… tendo a farmi guidare da quello che arriva, dagli incontri».
Nel caso di Boumedine, destino (e mentore) è stato proprio Kechiche: «Ho scoperto il cinema con lui – dice l’attore – non ho lavorato con altri registi, e non ho imparato tecniche di memorizzazione o di recitazione. Con lui ho incontrato un autore concentrato sullo sviluppo del personaggio, e sulla ricchezza che noi attori possiamo portare al film».

Pardo tardi
Pardo tardi 09.08.2025, 22:45
Delle polemiche e del clamore scaturiti dal secondo episodio, Intermezzo, Boumedine non è autorizzato a parlare. Preferisce dunque raccontare il metodo-Kechiche: «È molto aperto al dialogo e alla scrittura. Mi ha chiesto di lavorare su aspetti per lui essenziali nella costruzione del personaggio e nello sviluppo della sceneggiatura. Amin è un giovane che ama scrivere e vuole raccontare una storia, una storia fantascientifica. Così ho lavorato sulla fantascienza: mi ha fatto leggere il ciclo dei robot di Asimov, e vedere 2001: Odissea nello spazio, Black Mirror… per nutrirmi di quel mondo. Mi ha fatto studiare filosofia, soprattutto Platone, mi ha fatto conoscere pittura e scultura… Mi ha detto che Renoir, Modigliani erano elementi essenziali per il personaggio, che forse sarebbero entrati nei dialoghi, ma lo avrebbero nutrito. È così che ho lavorato. Poi ho cercato di aggiungere qualcosa di mio, del protagonista del romanzo di François Bégadeau da cui il film è tratto, e dall’atmosfera degli anni Novanta, io che sono nato in quegli anni, ma non li ho davvero vissuti».