Cinema

Cannes 2023

I più bei film della prima settimana

  • 25 maggio 2023, 09:21
  • 14 settembre 2023, 09:02
Cannes 2023
Di: Chiara Fanetti

Tra fuori concorso, proiezioni speciali, selezione ufficiale e programmi laterali, Cannes propone per la sua 76esima edizione un’ottima programmazione, ricca di spunti, temi, varietà, grandi nomi e interessanti scoperte. Al festival l’arrivo della nuova presidente Iris Knobloch - già dirigente Warner Bros, entrata in carica quest’anno accanto all’ormai storico delegato generale Thierry Fremaux - sembra aver aggiunto ulteriori prestigiosi contatti alla già lunga lista di affezionati della Croisette.
Dalla prima settimana, tre film molto diversi fra loro, che vale la pena recuperare, presentati a Cannes in tre sezioni diverse.

Killers of the Flower Moon, di Martin Scorsese (Fuori concorso)
Ambientato negli anni ’20 del Novecento, il film racconta una vicenda terribile e poco conosciuta: la serie di omicidi avvenuti in Oklahoma ai danni del popolo nativo degli Osage.

L’improvviso benessere economico degli Osage, divenuti estremamente ricchi dopo che nelle loro terre fu scoperto il petrolio, attirò numerosi bianchi che iniziarono a guadagnarsi la loro fiducia per poi manipolarli e raggirarli, imponendosi come tutori, combinando matrimoni o spingendosi fino all’omicidio, tra avvelenamenti, esplosioni e vere e proprie esecuzioni.

Scorsese con questo lavoro ricostruisce un altro capitolo di sangue della storia degli Stati Uniti, basandosi sull’omonimo saggio di David Grann e su un costante ed attento coinvolgimento del popolo Osage, condiviso in particolare con Leonardo di Caprio, co-protagonista del film insieme a Lily Gladstone e Robert De Niro. Il film regge perfettamente le sue tre ore e mezza di durata, grazie ad una regia magistrale e ad un gruppo di attori in ottima forma. È in particolare Di Caprio a fornire una prestazione notevole, tenendo in piedi un personaggio molto complesso, malgrado l’apparente semplicità.

“Killers of the Flower Moon" è un true-crime che incontra il western. Parla di capitalismo, di assenza dello Stato e anche della nascita di una nazione costruita su una terra che era già di qualcun altro.

The Zone of Interest, di Jonathan Glazer (Concorso)
Quanto dolore altrui siamo capaci di ignorare?
Moltissimo, secondo il quarto lungometraggio di Jonathan Glazer. Un film che si appoggia sull’omonimo romanzo dell’appena scomparso Martin Amis, da cui prende lo spunto centrale per poi discostarsene e addentrarsi in sentieri forse ancora più cupi di quelli percorsi dallo scrittore britannico. Glazer, nonostante la decennale carriera, ha realizzato pochi lungometraggi. Forse perché ogni elemento nelle sue opere è attentamente calibrato per ricreare un’atmosfera disturbante, sospesa tra il quotidiano e il surreale, in questo caso al fine di mostrarci cosa succedeva oltre le mura di Auschwitz, ma in senso inverso a quello che potremmo intendere: svela ciò che accadeva immediatamente fuori. Dall’altra parte del muro c’è la villetta con giardino del comandante del campo di concentramento, curata con amore e perfezionismo dalla moglie e animata dai numerosi figli. Il progetto di una vita bucolica di un burocrate e di una donna di casa, impassibili di fronte agli spari, alle urla e al fumo che arriva da poco lontano.

Non c’è un primo piano in “The Zone of Interest”, i personaggi sono spesso immersi nel loro ambiente quasi come fossero dentro un diorama, all’interno di un modellino; una sensazione resa possibile dalla fotografia e dall’atmosfera diurna, estiva. Il male alla luce del sole eppure mai mostrato direttamente. Con questo film l’idea di “banalità del male” trova un’altra devastante rappresentazione.

How to Have Sex, di Molly Manning Walker (Un Certain Regard)

Il debutto cinematografico della regista britannica ci porta in vacanza con tre ragazze inglesi dirette in Grecia, per quello che potremmo definire un rito di passaggio diventato ormai un classico. Fine delle scuole superiori, prima vacanza senza genitori, hotel di qualità media con piscina, un villaggio sul mare sorto praticamente solo per offrire divertimento a basso costo a ragazzi e ragazzi del centro-nord Europa. Tara (Mia McKenna Bruce) e le sue amiche hanno solo un obiettivo: tornare a casa dopo aver trascorso la vacanza “migliore della loro vita”.

Se lo scopo di questo viaggio è oggettivamente bere, ballare e fare sesso, il film non vuole mostrarci una gioventù dissoluta e annebbiata, non c’è l’intenzione di giudicare una generazione per le sue scelte e abitudini (ci sono state generazioni che non hanno mai ambito a questo tipo di distrazioni?). Quello che fa Molly Manning Walker è soffermarsi su due importanti concetti, il consenso e l’educazione al piacere femminile. Aiutato dall’incredibile interpretazione della protagonista, “How to Have Sex” si muove con il giusto equilibrio tra schiettezza, empatia e anche un po’ di dolcezza, senza mai giudicare. Un giusto approccio per avvicinare a tematiche tanto importanti per giovani e meno giovani. Un primo lungometraggio che lascia supporre un interessante futuro, per la regista e per il cast.

How to Have Sex, di Molly Manning Walker

How to Have Sex, di Molly Manning Walker

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